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Arrivano i mostri

di Franco Bomprezzi

“Undateables”. Provate a tradurlo, non è semplice. Vuol dire più o meno che stiamo parlando di persone con le quali è assai difficile immaginare di mettere in agenda un appuntamento galante. Insomma persone fisicamente messe assai male. Perfette, dunque, per il trash di una televisione che riesce a macinare, a getto continuo, gli esseri umani, prelevandone l’anima e la dignità e restituendoli al pubblico sotto forma di immagini, storie improbabili e assurde, paradossalmente trasformate in realtà dalla parola magica “reality show”. Accade nel puritano e politicamente corretto Regno Unito, dove Channel Four non si fa scrupolo di proporre, dal 3 aprile, un nuovo appuntamento seriale, appunto gli “undateables”.

Non sono mai stato un moralista, e neppure mi stupisco di fronte ai tentativi, spesso goffi, delle televisioni di mezzo mondo, di sdoganare la disabilità, fisica, sensoriale, intellettiva, attraverso il meccanismo della storia ad effetto, per tenere alta l’audience, e per commuovere un pubblico di bocca buona, ignorante in materia, ma pronto a riempirsi di buoni sentimenti e di parole ad effetto. Noi, in Italia, non abbiamo nulla da insegnare a questo proposito. Ma il tentativo di programma, ora contestato duramente dalle associazioni delle persone con disabilità, a partire dallo European Disability Forum, che lo definisce “Unwatchables” (“inguardabili”), mi porta a qualche considerazione che non è solo di banale esecrazione, che pure non è fuori luogo.

In pratica nel reality si realizzano incontri al buio, altrimenti assai improbabili, se non impossibili, fra uomini o donne “normali”, e persone il cui corpo è sfigurato dagli effetti di patologie devastanti, quelli che in altri contesti si chiamerebbero “freaks”. Orribile, vero? Oppure è giusto? Perché negare a persone che liberamente accettano di partecipare a questa esposizione di sé, tale diritto che appare normale per tutti gli altri? E perché non immaginare che comunque, in qualche modo, anche un programma così assurdo potrebbe servire almeno a far capire a tutti che esistono, con pari aspirazione all’amore e alla relazione affettiva, anche persone il cui involucro sembra impedire tali opportunità?

Io credo che il vero problema sia un altro. E cioè l’unicità del modello di riferimento. Che è quello televisivo, dei reality, dei programmi seriali, dei format imposti dall’industria dell’immagine, che ha bisogno di nuovi riti sacrificali per rinnovarsi, per andare oltre, per superare il limite precedente. Lo strapotere della televisione è tale che qualsiasi persona, a determinate condizioni, è disponibile ad “apparire” in un programma, perché solo così pensa di “esistere”. Altrimenti risulterebbe incomprensibile il perché il casting del programma di Channel 4 non sia andato deserto. Gli aspiranti “lovers” con effetti speciali non sono mancati, e ci hanno messo la faccia, persino sui manifesti che tappezzano le strade inglesi.

E’ giusto, come fa lo European Disability Forum, richiamare i princìpi di dignità contenuti nella Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. Ma è terribile constatare come per molte persone, uomini e donne, tali princìpi non valgano nulla, e addirittura, in un grottesco rovesciamento della realtà, si arriva a pensare che programmi come questo siano invece una grande prova di liberalità, e di inclusione sociale. I danni collaterali del voyerismo, magari perfino del “devotismo”, passano in secondo piano, triturati dal meccanismo televisivo. Eppure è abbastanza facile riconoscere i mostri che hanno concepito questo programma. Più difficile, più delicato, rendersi conto che altrettanti mostri, magari più subdoli e apparentemente corretti, sono fra noi, e propongono, mitridaticamente, l’assuefazione a una immagine deformata della disabilità. Dove spesso le vittime sono carnefici di se stessi, magari senza rendersene conto. E’ la televisione, bellezza.


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