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Education & Scuola

Cinque anni: età dei giochi o della scuola?

di Don Antonio Mazzi

Non sono mai stato un grande amante della scuola. O meglio, da quando avevo dieci anni, ho sempre pensato che la scuola sarebbe bella se non fosse scuola con tanto di aule brutte, banchi scomodi, gabinetti con le serrature rotte e gli insegnanti per il 50% nervosi o poco simpatici. Più tardi ho tentato, attraverso la strada e incontrando i rom (sono stato tra i primi a fare lezione in tenda, in roulotte e nei parchi) di fare qualcosa di alternativo. Non ci ha creduto nessuno, anche se i risultati sono stati eccellenti. Stefania Giannini, attuale Ministro dell’Istruzione, in una recente intervista a proposito dell’ipotesi di abbreviare la durata delle superiori, ha detto: “Lo strumento migliore non è una scuola superiore di soli quattro anni ma la possibilità di mandare i figli a scuola un anno prima, una scuola dell’infanzia che duri solo due anni, come accade già in altri paesi”. Leggere che qualcuno pensa di anticipare a cinque anni la scuola elementare, senza cambiare la scuola, mi fa saltare il sangue alla testa. I nostri bambini quando faranno i bambini, quando potranno giocare nei parchi senza bidelle, badanti e signorine varie che li richiamano, inventando pericoli dove non ci sono ed evitando loro di sbucciarsi le ginocchia, di buttarsi nelle ortiche per curiosità o di scalare, con l’impegno dei più scafati alpinisti, l’albero di fichi o i tronchi di abeti? Se i bambini non fanno i bambini e non vivono la dimensione infantile, nel mondo vero, cioè trasformando i primi anni di vita in anni colmi di capricci, di macchinette stupide e di giocattoli informatici, non saranno capaci di fare il secondo passo dell’infanzia con l’ingresso a scuola. La scuola non è solo il luogo degli apprendimenti, ma soprattutto è il luogo degli incontri, delle conoscenze, delle prime regole, dei confronti, dell’accettazione delle diversità e delle prime difficoltà e incomprensioni. Andare a scuola per venti anni (dai cinque a venticinque) significa o cambiare profondamente l’ambiente scolastico o rovinare buona parte del carattere “in costruzione” dei nostri figli. Forse ho detto eresie. Ma vi garantisco che non ho detto bugie o ipocrisie. E, poi, per controprova, perché non chiedete una consulenza particolare a Rodari?


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