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Politica & Istituzioni

Non lasciamo sola Aung San Suu Kyi

di Riccardo Bonacina

Dopo quasi 14 anni di arresti domiciliari, Aung San Suu Kyi il leader dell’opposizione birmana che a fine maggio avrebbe dovuto essere rimessa in libertà, è stata rimandata in carcere. Il suo stato di salute, come noto, è del tutto precario ed le settimane scorse è stata alimentata per endovena.  La leader della Lega Nazionale per la Democrazia, fu arrestata la prima volta nel 1989, ha potuto beneficiare di pochi periodi di libertà da quando il suo partito ha vinto le elezioni nel 1990. I tiranni di Rangoon ora hanno rimesso le lancette dell’orologio indietro di 20 anni. La mossa della giunta ha scatenato le proteste internazionali: il presidente Usa Barack Obama ha chiesto l’immediata liberazione, proteste sono venute dall’Ue e dall’Onu, Margherita Boniver, inviato speciale del nostro governo per le emergenze umanitarie, ha convocato l’ambasciatore birmano a Roma per una nota di protesta. Ma è ancora troppo poco.

Aung San Suu Kyi ha sempre detto riguardo ai suoi carcerieri: «Non mi hanno piegato perché non li odio. Se li avessi odiati avrei sconfitto me stessa». E a chi chiedeva: Il potere è mai riuscita a imprigionarla dentro, emotivamente o mentalmente? Rispose: «No, e penso che sia per il fatto che non ho mai imparato ad odiarli. Se lo avessi fatto sarei davvero in loro balìa. Ha mai letto il romanzo Middlemarch di George Eliot? C’era un personaggio, il dottor Lydgate, il cui matrimonio si era rivelato una delusione. Ricordo in particolare un’osservazione su di lui in cui si diceva che quello che temeva più d’ogni altra cosa era di non riuscire più ad amare sua moglie, perché per lui era stata una delusione. La prima volta che lo lessi rimasi alquanto perplessa. Questo dimostra come fossi immatura all’epoca. Mi dicevo: ma non dovrebbe piuttosto temere che sia lei a non amarlo più? Ora invece capisco il suo sentimento. Se avesse smesso di amare la moglie sarebbe stato completamente sconfitto. Tutta la sua vita sarebbe stata una delusione. Io ho sempre pensato che se avessi cominciato ad odiare i miei carcerieri, il partito al governo, l’esercito, avrei sconfitto me stessa. Questo spiega anche il perché non sono paralizzata dalla paura. Se davvero fossi impaurita avrei fatto i bagagli e sarei partita, perché loro non mi avevano mai negato il permesso di andarmene. La gente mi chiede perché non li tema. Penso che sia perché non li odio, non si può avere paura di chi non odi. Odio e paura vanno a braccetto».


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