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Il petrolio compie 150 anni. Qualche pensiero

di Riccardo Bonacina

Fu nell’agosto del 1859, esattamente la sera del 27 agosto, che un ex conduttore di treni fece sgorgare per la prima volta da un pozzo della Pennsylvania il primo getto di petrolio, una melma maleodorante e scura. Insomma in Pennsylvania si stava festeggiando esattamente in queste ore. Si chiamava Edwin Laurentine Drake, era un ex ferroviere e aveva un sogno: scoprire il petrolio. Vi riuscì, quel giorno dell’agosto del 1859, dopo aver dedicato l’intera esistenza a quella scommessa col destino che finì comunque per assorbirne ogni energia, lasciandolo alla fine solo e senza un soldo. Ma intanto, da quel primo pozzo scavato artigianalmente nei pressi di Titusville, un ammasso di case polverose sperduto fra i monti Appalachi, nello stato della Pennsylvania, prese a sgorgare il nero liquido infiammabile destinato a rivoluzionare la storia dell’umanità e a provocare un’infinità di guerre per il suo controllo.. Drake raccoglieva il petrolio dentro i barili da whisky della Pennsylvania i cui 159 litri di capienza sono ancora oggi l’unità di misura del greggio. È trascorso “solo” un secolo e mezzo, ma la distanza che separa l’uomo del 1859 da quello di oggi, dicono gli storici, è pari a quella che separava l’uomo di Neanderthal dagli antichi romani. Senza dubbio, da allora, è cambiato il volto dell’umanità. Il petrolio ha portato con sé i carburanti e quindi una mobilità impensabile, l’indutria e quindi il capitalismo e l’accumulazione di ricchezza e la speculazione, la plastica, la chimica, molte fibre tessili e un’infinità di altri prodotti che oggi consideriamo connaturati al nostro vivere quotidiano. A cause dell’oro nero, il mondo ha dolorosamente sperimentato il significato di parole come “guerra” e “carestia”, o le più recenti “inquinamento” ed “effetto serra”. Oggi, che dalle viscere della terra vengono pompati ogni giorno 83 milioni di barili (si consumano 981 barili al secondo, cioè 156mila litri al secondo che assicurano il nostro “stile di vita”) e il prezzo della benzina fluttua pericolosamente all’interno di una forbice sempre più ampia e sempre più all’insù, non siamo in grado di rispondere ad alcune (apparentemente) semplici domande: a) sino a quando il petrolio sarà ancora disponibile? b) quando finirà?; c) cosa lo sostituirà? Di certo, per il momento, c’è solo che l’oro nero, prima o poi, finirà. O, meglio, non sarà più economico estrarlo e raffinarlo. Mister Drake, con il suo pozzo artificiale ricavato modificando una trivella per la captazione dell’acqua, aveva dato il via senza saperlo a un conto alla rovescia. Trascorso un secolo e mezzo, quanti altri anni durerà “l’era del petrolio”? Almeno un altro secolo, questo è, in sintesi, il parere di Daniel Yergin, presidente dell’Ihs (Cambridge Energy Research Associates) nonché vincitore del premio Pulitzer con il libro Il premio (pubblicato in Italia da Sperling & Kupfer nel 1991), che ha firmato ieri l’editoriale di oggi sul Sole 24 Ore. Yergin sostiene che, a dispetto di un incremento della domanda di circa il 50% nei prossimi vent’anni – per effetto della richiesta crescente di Paesi emergenti come Cina e India – entro il 2030 il petrolio sarà ancora in grado di assicurare almeno il 30% dell’energia richiesta. Il resto dell’energia dovrà venire dal sole, dal vento, dalle maree, dal nucleare “pulito”. Lo studioso è certo che la “via del petrolio”, per quanto sia ancora lunga, non sarà simile a un tranquillo viale alberato. L’altalena dei prezzi del greggio, balzati nel 2008 a quasi 150 dollari il barile, per poi piombare in pochi mesi a 30 e riassestarsi oggi sui 70 dollari (ma c’è chi è pronto a giurare che si sta preparando un’altra “bufera” per il 2010) è lì a far da monito. Nonostante i perolieri più cinici dicano, dobbiamo ancora trivellare tutta l’Asia e l’Artico.

Sulla contrastata e spesso opaca storia dell’oro nero, è uscito da poco in Italia un libro illuminante. Si intitola I predatori dell’oro nero e della finanza globale (Baldini Castoldi Dalai editore, 377 pagine, 17,50 euro). L’ha scritto Benito Li Vigni, uno dei più accreditati conoscitori del settore, a lungo collaboratore stretto di Enrico Mattei durante l’epopea dell’Eni.  Li Vigni in apertura del suo saggio, che si addentra in specifico nelle trame ordite da governi e “Big Oil” per assicurarsi il controllo di tutti i giacimenti più importanti, dall’Iraq all’Africa equatoriale (dove da alcuni anni è molto attiva la Cina) fino all’Iran, al Venezuela e al Messico, mette questa frase come esergo: “Il petrolio ha alimentato le lotte globali per il primato politico ed economico. Molto sangue è stato versato in suo nome. L’intensa e a volte violenta ricerca del petrolio – per le ricchezze e il potere che comporta – continuerà fino a quando questa materia prima occuperà una posizione centrale”.

Il deficit nelle nuove scoperte è però oggi così grande che l’IEA stima un fabbisogno dell’equivalente di sei nuove “Arabia Saudita” che dovrebbero essere messe a disposizione, se si vuole “incontrare” la domanda stimata nel 2030. Insomma, è probabile che quella melma maleodorante scoperta da Drake arriverà a festeggiare i suoi 200 anni.

Una di queste sere, se avete tempo, vedetevi il bel fil di Paul Thomas Anderson con un grande Daniel Day-Lewis, Il Petroliere (2007). Ciò che sarebbe successo nei 150 anni che ci separano dalla scoperta di Drake è già tutto lì, Anderson e Day-Lewis raccontano con sapienza e intensità l’antropologia dell’uomo nell’era del petrolio. Ecco il Trailer

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