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Politica & Istituzioni

Questioni di pene

di Riccardo Bonacina

C’è un deprimente file rouge che lega tra loro gli scoop veri e presunti sulle smanie sessuali del premier e gli scoop veri e presunti sulle molestie telefoniche a sfondo sessuale fatte dal superdirettore dell’informazione cattolica in Italia. È tutta una questione di pene. Sostantivo da intendersi nella sua doppia accezione, da vocabolario, quella che nomina “l’organo genitale maschile” e quella che indica “i danni fisici o morali inflitti o da infliggere a chi ha commesso il male o è ritenuto colpevole”. Non voglio scartare di lato alle palate di merda che stanno volando sulle teste dei cittadini da troppo tempo in qua, e che comunque è meglio schivare, voglio provare, con questi pochi pensieri, a interrogarmi sulla sostanza della questione. Dal giugno scorso ad occupare massivamente la piazza dell’informazione nazionale, e non solo, sono i gossip a luce rossa, rosa o arcaboleno. È un trionfo di toccatine, svolazzi di biancherie intime, gnocche in vacanze o in giostra, foto rubate, sussurri e grida pubblici e privati che hanno un unico ossessivo argomento: gli organi genitali, vera macchinalità del potere così come oggi si va configurando. Al centro ci sta l’amplesso, le molestie, il gioco erotico come sfoggio di potenza e come arma da usare una banda, o tribù o salotto, contro l’altra per la conquista di pezzi di Paese o, più realisticamente, delle sue spoglie. Tutto il resto fa da contorno svilito e svillanneggiato, e viene usato nella rappresentazione, squalificata, odiosa, grottesca e volgare che il potere, volontariamente, fa di sè: la vita e il Paese reale, il Parlamento, i sacri palazzi Vaticani, la deontologia dei giornalisti, sino alla dignità dei corpi e delle biografie. Persino il Vangelo e uno dei pilastri dell’antropologia occidentale, l’idea di peccato originale, vengono svilite e svillaneggiate nell’uso strumentale della frase evangelica “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”.

È un via libera generalizzato al fango la nuova anatomia della politica, tutta sesso e furberie (dai privilegi delle caste alle evasioni fiscali, dal tramonto definitivo del rispetto ad un minimo principio di verità sino alla fine di ogni deontologia). Già Foucault avvertiva (a proposito non perdetevi il n. 34 di Communitas dedicato a Michel Foucault) di questa “meccanica grottesca o questo ingranaggio grottesco nella meccanica del potere”. Un’anatomia politica che oggi non ci promette più niente e non predice più nulla; piuttosto ci rende il potere odioso, insegnandoci, si spera, a non cedere alle sue dolcezze e a suoi deliri desideranti e apparentemente democratici e per tutti. Il vero esercizio democratico, però, dovrebbe essere quello di provare a smascherarlo, il potere, in ogni luogo in cui si esercita, qualunque sia la forma e il colore che esso assume. L’alternativa è quella di rassegnarsi ad essere “utili idioti” dell’una o dell’altra banda e, quel che è peggio, di rassegnarci ad uno sguardo contaminato da cinismo, scetticismo e rancore. Sostenendo che “tutto va bene, madama la marchesa”, di fronte a un premier che nei suoi atti di citazione contro L’Unità arriva a sostenere che il quotidiano è reo di: «Affermazioni false e lesive dell’onore del premier, del quale, scrive il legale, hanno leso anche l’identità personale presentando l’onorevole Berlusconi come soggetto che di certo non è, ossia come una persona con problemi di erezione» (sic!). O, dall’altra parte, apporre firme o presenziare in piazza in una delle tante e annunciate manifestazioni illudendosi che il problema si chiami Silvio Berlusconi. La Videocracy ha cambiato noi e il potere, come suggerito da Michel Maffesoli in una recente intervista raccolta da Marco Dotti per il Manifesto: “C’è stato uno spostamento fondamentale del nostro asse politico: il passaggio dalla convinzione alla seduzione. La seduzione non è tanto un’attitudine programmatica, un contenuto preciso, quanto una tonalità emotiva che ha assunto come punto privilegiato il sentire.” Da qui la macchinalità genitale esibita.

Da dove ripartire quindi? Da un atto d’amore verso la realtà. Un giovane collega mi ha segnalato in questi giorni una canzone degli Afterhours, Il paese è reale (cantato, mi si dice, nell’ultima edizione del Festival di Sanremo), il cui testo mi pare di un’urgenza e di una verità di cui i soloni, variamente arruolati dalle diverse bande in lotta per il potere che stanno prendendo parola in questi giorni con commenti ed appelli, non sono più capaci. Recita l’ultima parte della canzone:

Adesso fa qualcosa che serva Che è anche per te se il tuo paese è una merda

C’è una strada in mezzo al niente Piena e vuota della gente E non porta fino a casa Se non ci vai tu Io voglio far qualcosa che serva Fammi far solo una cosa che serva

Dir la verità è un atto d’amore Fatto per la nostra rabbia che muore.

Qui la canzone per intero

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