Politica & Istituzioni

Ici e non profit, un altro schiaffo?

di Riccardo Bonacina

La decisione del governo di «chiarire ulteriormente e in modo definitivo la questione dell’imposta comunale sugli immobili riservata a tutti gli enti non commerciali» che tanto è piaciuta a Bruxelles, rischia di aprire l’ennesimo vaso di Pandora interpretativo e, quel che è peggio, di dare l’ennesimo schiaffone a tutti coloro, persone e organizzazioni, che cercano ostinatamente, e spesso Spes contra spem, di costruire comunità e fiducia dentro la società attivando servizi e risposte non per profitto ma con una finalità pubblica.Come è noto dopo varie peripezie legislative (due leggi, un pronunciamento dell’Alta Corte, un paio di procedure di infrazione europea) e campagne stampa del tutto speciose e piene di mezze verità e bugie intere, ad oggi sono esenti dall’Ici (IMU)  gli immobili di enti ecclesiastici, ma anche di associazioni, fondazioni, comitati, onlus, organizzazioni di volontariato, organizzazioni non governative, associazioni sportive dilettantistiche, circoli e istituzioni culturali, sindacati e partiti politici (che sono associazioni), enti religiosi di tutte le confessioni e, in generale, tutto quello che viene definito come il mondo del “non profit”. Non si dimentichi inoltre che fanno parte degli enti non commerciali anche gli enti pubblici, a queste realtà giuridiche lo stato italiano concede un’esenzione fiscale proprio in ragione dell’utilità sociale e della finalità pubblica delle attività che vi si svolgono.

Ora, quando il Monti parla di  modifiche al regime di esenzione Imu pare (vedremo il testo che tarda ad affiorare forse proprio perchè qualcuno è cosciente del delirio che si annuncia) pare riferirsi a tutto il settore non profit che così dopo il deserto realizzato dei trasferimenti di fondi al welfare, l’azzeramento (quasi) del servizio civile, l’aumento di tassazione alle cooperative sociali, ed altre infinite bad news dell’ultimo anno, rischia di vedersi totalmente comparato a Fiat o a Unicredit, tanto per dire. Dovrebbe risutare ovvio a tutti (tranne i pochi in malafede) che non tutte le attività commerciali sono uguali perchè diverse sono le finalità, c’è chi persegue la massimizzazione dei profitti e chi la risposta low cost dei bisogni delle fasce deboli, c’è chi ti vuole vendere un debito e una cooperativa di genitori che mette su una scuola.

Ora è importante che il professor Monti e i suoi si rendano conto che l’unico ambito in cui parlare di crescita non è oggi un’idiozia è proprio il settore non profit che in questi anni di crisi ha incrementato il numero di occupati (+6%) ha moltiplicato i servizi (35milioni gli italiano che ne usufruiscono) e che se si impedisce la sola ipostesi di un Terzo settore produttivo cioè capace di erogare servizi, non resterà che il disatro sociale, peraltro costosissimo. Certo si potrà andare in Chiesa a pregare (il culto sarà esente da Imu), ma per il resto? Mangiare, studiare, associarsi, lavorare? Ricordo che l’Italia (grazie a un codice civile fascista, scritto nel 1942) è l’unico Paese in cui una non profit non può fare atttività commerciale liberamente per finanziare le sue buone cause. Questa resta una frontiera di modernità che pare estranea anche al pensiero dei dotti bocconiani che ci stanno governando.

Satremo a vedere, prendiamo atto, intanto, che alcuni politici con un briciolo di buon senso si stanno rendendo conto del disastro che si sta annunciando. Per esempio il vice presidente del Senato Vannino Chiti (Pd) che  ha ammonito come occorra «muoversi con responsabilità perchè è doveroso distinguere tra le attività commerciali, per cui è giusto che valgano le regole degli altri esercizi commerciali, e quelle che hanno, nel sociale, una destinazione comunitaria».


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