Solidarietà & Volontariato

Volontariato e politica, gli stessi mali?

di Giulio Sensi

Il volontariato, ma in generale l’intero terzo settore, è da tempo oggetto di molte ricerche. Alcune di queste rappresentano la prova scientifica dell’esistenza dell’acqua calda, vale a dire dimostrano, con complessi metodi di rilevazione ed articolate analisi, ciò che agli occhi degli osservatori attenti e dei protagonisti è da tempo del tutto evidente. Altre si spingono un po’ più in là per cercare di capire dinamiche inedite e fornire strumenti di comprensione e (re)azione per le associazioni. Talvolta dalle semplici risposte dei volontari ai questionari si capiscono molte cose. Come accade ad esempio per una recentissima ricerca promossa dal Cesvot (Centro servizi al volontariato della Toscana) che ha indagato il valore extra-economico del volontariato, mettendo insieme alcuni indicatori interessanti.

Uno degli intenti espliciti dei curatori è ribellarsi all’idea del “volontariato-merce”. Per fare questo mettono direttamente il dito in alcune ferite aperte del volontariato.

Vediamone alcune.

La prima è la partecipazione giovanile: le porte delle organizzazioni sono spalancate e, a parole, i dirigenti più anziani fanno carte false per far crescere i giovani e inserirli in ruoli di responsabilità. Ma all’atto pratico intervengono spesso sentimenti di gelosia e notevoli resistenze a cambiare i modi di agire e delegare le decisioni. Così si è sviluppato un volontariato a due velocità: quello “esaltante” della base che è contatto con i bisogni delle persone e del territorio, e quello un po’ più “grigio” dei dirigenti che lavorano, spesso con grande passione e competenza, dietro le quinte per far proseguire le attività, ma rischiano di perdere di vista la mission originaria delle proprie associazioni.

Un ricambio generazionale difficile, che riguarda soprattutto i ruoli dirigenziali, come conferma anche la ricerca “Caratteri e tendenze delle Organizzazioni di volontariato in Italia” curata dalla Fondazione Volontariato e Partecipazione e dal Centro Nazionale per il Volontariato.

Le tensioni fra le persone sono un ingrediente ineludibile di qualsiasi forma di azione condivisa, ma il grado di frammentazione del volontariato è molto alto e trova uno dei suoi alimenti base nella conflittualità interna, più o meno latente. Essa si esprime a diversi livelli anche a causa della mancata condivisione da parte di tutte le componenti della mission associativa.

Ma molto spesso all’interno delle associazioni si creano delle fratture che vogliono fare emergere “sottogruppi con identità proprie”. La visione autonoma che rivendicano è legata più alla composizione del gruppo che alla diversità di visione su temi specifici. Oltre all’identità, anche la progettualità è spesso materia di divisione e le dinamiche conseguenti portano talvolta alla fuoriuscita di questi sottogruppi che fanno nascere nuove associazioni.

Altro elemento di conflittualità si basa sull’anzianità di ruolo. Ecco come risponde a tal proposito una volontaria interpellata. “Mah, di solito si tratta più di conflitti interpersonali. Faccio un esempio di un caso che ho vissuto io personalmente, diciamo, all’interno del mio gruppo: a volte, le operatrici più anziane […], diciamo, si sentono scavalcate se le operatrici più giovani hanno delle rivendicazioni per esempio rispetto a fare alcune cose, non so, a gestire personalmente il rapporto con le assistenti sociali […]. Mettevamo a disposizione nell’ambito di un progetto una stanza per i giovani, qualcuno ha brontolato dicendo questa è roba nostra, perché i giovani vengono, spaccano, rompono…”.

Ma cosa è cambiato in questo senso rispetto al passato? Forse, azzardano i curatori della ricerca, che le battaglie per i ruoli, o cose simili, sono diventate gli elementi portanti degli scontri interni. Sono terreno di divisione molto più frequente rispetto alla visione di società o alla coerenza nella mission delle associazioni stesse.

Adesso provate a rileggere questo post che inaugura il blog L’Involontario. E a sostituire alle parole “associazioni”, “organizzazioni” etc. la parola “partito” e a “volontari” parole come “attivisti dei partiti” o “politici”. Vediamo cosa ne esce fuori. Ma più interessante sarebbe vedere come se ne esce fuori laddove queste dinamiche sono presenti e influiscono negativamente il mondo del volontariato. Il quale, altro dato noto, è visto ancora come una grande speranza per il nostro Paese.


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