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Trasformate la merda in oro

di Giulio Sensi

Avessi un figlio in età matura, in questo momento cercherei di tenerlo lontano dalla politica: “divertiti -gli direi-, vai in discoteca, bevi pure, cerca più ragazze possibili, magari non drogarti, ma stai lontano dalle piazze digitali e reali, potresti trovare, oltre a qualche pugno rimediato a caso, molto turpiloquio“.  Meglio il centro commerciale allora, almeno lì il volgare e l’inutile sono ben travestiti con confezioni brillanti e costose.

Negli ultimi giorni il vomito è diventata la parola più gettonata di chi schifa, magari giustamente, quello che è definito “inciucio” fra Pd e Pdl. La merda è stata appena ri-sdoganata dal blog di Beppe Grillo per l’arco parlamentare che sta cercando di creare un governo, con annessi insulti a Beppe Severgnini, uno che io invidio perché sa parlare in maniera interessante del banale. Poi il “cazzo” riferito alle accuse subite dal Movimento 5 Stelle per la parole di Grillo della Liberazione.

Merde, cazzi, vomiti, vaffanculi: non manca nulla, non solo in zona 5 Stelle, e c’è un gusto triviale in rete a riportare queste parole, quasi che fosse mancato fino ad oggi un guru dall’alto a ricordarci che il lessico quotidiano, oltre che forma, diventa anche sostanza e si riversa, inesorabilmente, su chi lo ripete. Provate ad inserirle in google news, i nomi di politici appariranno subito. Quasi che fino ad oggi qualcuno ci avesse frustrato e oppresso con le buone parole e le buone maniere. Finalmente possiamo offendere chi ci pare, come ci pare. Quasi come se non fosse stato lo stesso Berlusconi e tutta la sua corte intercettata telefonicamente a farci spostare l’asticella dell’accettabile sempre un po’ più in là, rompendo infine gli argini salvo far naufragare, astutamente, gli altri e salvarsi lui.

E in questo oltrepassare i confini del linguaggio pubblico è avvinghiato più di un tabù che si sgretola, una sorta di liberazione dei sentimenti più irrispettosi e arrabbiati di un popolo che, diciamolo, è confuso dalla sua stessa rabbia, molto spesso senza capire bene perché è così tanto arrabbiato, né essere in grado di stabilire come uscirne. Tranne, appunto, iniziare a mandare tutti a quel paese.

La politica in Italia è un enorme macchina che rende possibile l’impossibile e, molto più spesso, possibile parlare di tutto, compreso dell’impossibile senza che nulla cambi. Il politico che urla fa notizia, meglio se urla parolacce, ma va bene qualsiasi cosa. Se una parola o un’idea dimenticate vengono pronunciate contemporaneamente da più politici insieme, raggiungono la vetta del topic. Qualche tempo fa erano i “clandestini” “fuori dalle palle”, poi il “amico mio che cazzo te ne frega tu fatti i cazzi tuoi qua tutti si fanno i cazzi loro” del sempiterno, e sempre garantito, “onorevole” Razzi, e poi ancora altre brutte parole che non scandalizzano più nessuno.

Allora una proposta: visto che i politici, soprattutto quelli famosi, appena aprono bocca diventano gli opinion leader ribattuti da tutte le agenzie e che le loro parolacce diventano uso comune, invitiamoli a parlare, non a tacere. Parlare sì, e ripetere ossessivamente e rabbiosamente parole utili, come se fossero offese: non profit, benessere, cooperazione, Ministero dell’Economia sociale, startup, equità, lavoro, dignità, coesione etc. etc.

Un po’ alla Benigni, con lo stesso gusto del ridicolizzare il turpe e seppellirlo di gentilezza. Sia mai che anche queste parole diventino realtà, in fondo sono molto più reali della così detta “merda” che credono di farci digerire.


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