Enti inutili. Anche nel non profit?

di Marco Piazza

Enti inutili da rottamare, burocrazia da snellire, apparato statale da mettere a dieta: slogan sacrosanti, che vanno di moda ormai da parecchi anni e che ora sembrano cominciare, timidamente, ad esser messi in pratica. E che dire di un’altra famiglia di luoghi comuni, come quelli che chiedono più spazio per la società civile e consigliano allo Stato di prendere esempio dal Terzo settore? Eppure c’è qualcosa che non torna.

Me ne rendo conto in un’affollata sala del Policlinico Umberto I di Roma, dove assisto all’ennesimo convegno sulle malattie rare. Un incontro fuori tempo massimo (qualcuno mi deve spiegare a cosa serve, allora, la Giornata europea delle medesime malattie fissata da anni il 28 o 29 febbraio) in cui il ministro della Salute Lorenzin e il presidente della Regione Lazio Zingaretti ascoltano interessati le istanze delle associazioni.

Per chi ancora non lo sapesse le malattie rare si chiamano così perché colpiscono poche persone. Nel loro insieme però sono tante, oltre seimila, e coinvolgono un bel po’ di gente. A tante patologie corrispondono quindi una miriade di associazioni. La gran parte sono piccolissimi gruppi di genitori, qualcuna è più grande e strutturata. Naturale che per far sentire la propria voce queste organizzazioni sentano il bisogno di raggrupparsi in una federazione. Fin qui nulla di strano.

Basta leggere la scaletta degli interventi al convegno del Policlinico, però, per accorgersi che intervengono ben 3 federazioni. C’è Uniamo, federazione italiana malattie rare, che è quella più conosciuta e “legittimata” perché rappresenta in Italia la federazione europea Eurordis. Ma ci sono anche la Consulta nazionale delle malattie rare e il Movimento italiano rari. Iscritti a parlare sono anche la neonata LavoRARE che si occupa di volontariato ospedaliero per i malati rari e Telethon, che ha il suo gruppo di associazioni amiche, ma almeno questi ultimi due soggetti hanno una missione specifica, senza la pretesa di essere rappresentante istituzionale di nessuno.

Obiettivo della giornata, leggo sulla stessa scaletta, è fare il punto con tutti gli attori coinvolti, sia a livello nazionale che regionale (perché anche le federazioni e le associazioni hanno i loro bravi delegati regionali, mica solo lo Stato) per una politica sempre più ispirata al miglioramento dell’assistenza e della ricerca. Auguri!

Nel dibattito si parla molto di dare più spazio ai rappresentanti delle associazioni, di allargare i tavoli di lavoro a nuovi partecipanti e a me vengono in mente i tavoli sui contratti di lavoro, con le federazioni delle associazioni nella parte dei sindacati confederali. Dietro a tutto aleggia il fantasma della spending review, di un ministero che a fronte di un numero di malattie crescente e di una ricerca che costa sempre di più, potrà spendere sempre meno. L’unica strada, lo dice chiaramente anche il ministro Lorenzin, è quella di razionalizzare e di riportare le politiche sanitarie ad un livello centrale. Mi chiedo se un percorso del genere non lo debbano cominciare ad intraprendere anche le organizzazioni del terzo settore. Cominciando a ridurre il numero delle associazioni e delle federazioni doppie o triple.


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