Pietro Barcellona: “La comunicazione non è informazione. La parola non è un segno vuoto”

di Marco Dotti

Che cos’è una “chiacchiera”? Una parola che è venuta meno al suo legame con l’azione. Una parola, avrebbe detto Theodor Adorno, in cui l’innovazione lessicale è solo apparenza,  finto movimento che maschera passività, conformismo, alienazione e acquiescenza.  Quando parola e azione non sono più né conseguenti, né coerenti, uomini e donne sono parimenti esonerati dal problema di cambiare praticamente il mondo. L’unico loro impegno – un impegno che consuma energia, comporta stress, malumori, rapide illusioni e rapidissime disillusioni – si concentra nel cambiarlo a parole. Ma siccome queste parole “scadono” e, dopo un po’, rischiano di mostrare tutta la loro pochezza, la fatica si concentra nel cambiare parole. Il mondo è nelle mani del marketing, come ultima “vision” riduzionista di vita. Come ultimo orizzonte – possibile? plausibile? – a cui confidare quella che un tempo si sarebbe chiamata utopia.

Pietro Barcellona scava a fondo in questo  inaridimento del linguaggio che sembra sempre più consono a nuove forme di potere e di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, in un’epoca che non esita, però, a definire “post-umana”. 

In Parole potere. Il nuovo linguaggio del confitto sociale (Castelvecchi, prefazione di Bruno Amoroso, Roma, 2013), Barcellona ricorda: «possiamo intendere la parola in due modi, come mezzo di comunicazione (parola-strumento)  e, più propriamente, come modo di essere (parola-gratuita)».

La parola è però al centro di un processo di desostanzializzazione e derealizzazione che ne sta riducendo sempre più il peso simbolico. La parola, osserva Barcellona, si sta più riducendo a segno.  Segno: qualcosa si apparentemente neutro che disciplina il reale, lo ingabbia in una rete di input e output tra i quali e oltre i quali non c’è più nulla. Non ci sono i volti, i corpi, il loro vissuto e le loro storie. Non c’è più comunicazione.

Ecco allora che «il rapporto con il mondo viene ridotto a uno scambio di informazioni. Mentre la comunicazione è sempre stata un lavorio di interpretazione e comprensione, un’elaborazione creativa di senso che attiene fortemente ai significati affettivi».

Oggi, proprio questa elaborazione di senso e questa pratica del sapere affettivo vengono meno, travolti da un potere senza centro, reticolare e impersonale che «tenta di controllare e manipolare l’eccedenza sovversiva dell’inconscio attraverso un mutamento profondo delle forme di comunicazione».

Forse non ci rendiamo ancora conto, prosegue Pietro Barcellona, di quanto «la comunicazione virtuale deformi la percezione dello spazio e del tempo, perché si propone come priva di centro e trasmette una sensazione di infinità e di potenza, ma nel suo flusso nasconde, invece, nuove forme di dominio che si fondano, da un lato, sull’assenza della verità dei corpi, dall’altro sulla rigidità del codice semantico, che non permette l’espressione di senso che abita la profondità degli esseri umani».


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