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Hotel Ostiense, addio

Storie e voci da un campo dove anche l'acqua è un lusso

di Redazione

I 150 profughi afghani che da due anni vivevano nelle tende nei pressi del terminal sono stati finalmente trasferiti nei centri di accoglienza. Ma è l’ennesima soluzione provvisoria. E il futuro di questi ragazzini in fuga dalla guerra rimane ancora una volta in sospeso
Niente acqua per lavarsi, nessun servizio igienico, un rettangolo d’asfalto per cucinare, poche tende da campeggio per ripararsi durante la notte. Ciò che più colpisce delle storie dei 150 afghani che fino a qualche giorno fa dormivano nel campo di via Capitan Bavastro, nei pressi del faraonico Terminal Ostiense, a Roma, è la granitica abitudine a superare le avversità e a fare gruppo. Anche ora che, dopo una lunga battaglia, sono riusciti ad ottenere dal Comune di Roma lo spostamento in strutture più idonee come il Centro Forlanini, la Casa della Pace e il Faro.
Le operazioni di trasferimento sono iniziate a metà luglio dopo che un centinaio di rifugiati aveva occupato la sede dell’assessorato alle Politiche sociali. Ma si tratta di una soluzione temporanea. Fino al 30 settembre.
E i migranti lo sanno. Le strutture potranno accoglierli solo per la notte, e certamente in tanti torneranno al campo durante il giorno. Il terminal Ostiense continuerà ad essere il punto di riferimento che da due anni è stato per tutti coloro che scappano dall’Afghanistan e giungono in Italia.
Ordinarie odissee
Samiullah è uno di loro. Ha 22 anni e viene da Ghazni, vicino Kabul. Quando è scappato, nel 2007, era da poco diventato maggiorenne. È espatriato dapprima in Pakistan, a Quetta. Da qui il lungo viaggio attraverso l’Iran fino al confine con la Turchia. L’altro confine, quello con la Grecia, dunque con l’Europa, l’ha valicato a bordo di una piccola barca, assieme ad altre 30 persone. Si è imbarcato da Izmir, di notte, e in circa tre ore è arrivato nei pressi di una motovedetta greca, che lo ha accompagnato a riva, sull’isola ellenica di Samos. Qui ha trascorso un mese in detenzione, poi il trasferimento ad Atene, dove ha vissuto qualche settimana, dalle parti di Attiki square, la “piazza degli afghani”. Infine Patrasso e Igoumenitsa, da dove si è imbarcato due anni fa per Bari, nascondendosi dentro un tir. Nel campo di via Capitan Bavastro vive dal 2008. «Mai però la vita è stata difficile come in questi giorni», ci racconta, in una delle giornate più calde dell’anno. «Non abbiamo più neanche la possibilità di lavarci tutti. Non ce la facciamo più a vivere così».
Harun annuisce. Ha appena 13 anni e nel campo è arrivato da quattro mesi. Racconta di essersi imbarcato da Patrasso per Ancona. «Ero aggrappato sotto un tir», racconta. «Sono scivolato nei pressi di Forlì, a un semaforo, fortunatamente senza conseguenze». Qualcuno lo ha soccorso, dopodiché lo ha consegnato alla locale Questura, che lo ha identificato. Mi mostra i documenti rilasciatigli in Emilia Romagna, che comprovano la sua età e la modalità con cui è giunto in Italia. Ora vive in una tenda, assieme ad altri due adulti. Ma la sua non è una storia isolata. Nel campo della stazione Ostiense un rifugiato su quattro ha meno di 18 anni.

A secco
Nelle immediate vicinanze del campo di via Capitan Bavastro sorge un cantiere. Un consorzio sta costruendo centinaia di alloggi. Di qui la decisione di chiudere, un mese e mezzo fa, l’unica fonte d’acqua disponibile nella zona. Ma il mondo del non profit non è rimasto indifferente. L’associazione L’albero della Vita, oltre a donare due cisterne d’acqua, ha attivato uno sportello informativo e di orientamento tra i servizi sanitari, legali e amministrativi. I Medici per i diritti umani (Medu) avevano denunciato la situazione precaria dal punto di vista igienico e sanitario. La Rete di supporto ai profughi afghani ha cercato di premere sulle istituzioni cittadine, ottenendo il risultato del trasferimento. Ora la speranza è che queste persone, in fuga da guerre e deportazioni, possano ottenere l’asilo in Italia.

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