Cultura
Alla Biennale dell’Architettura c’è un padiglione che celebra l’arte di riparare relazioni
È un cantiere partecipato il Padiglione della Santa Sede alla Biennale di Architettura in corso a Venezia fino al 23 novembre: «Un organismo vivo» nel complesso di Santa Maria Ausiliatrice. Si chiama "Opera Aperta" e qui il restauro architettonico supera la funzione conservativa per diventare strumento in grado di attivare connessioni umane, in grado di restituire alla comunità occasioni di partecipazione reale. Mentre i restauratori sono all’opera, i visitatori possono avvicinarsi, porre domande e dialogare direttamente con gli esperti. Intervista alla curatrice Giovanna Zabotti
Cura, apprendimento e riparazione: sono queste le parole chiave che guidano il progetto del Padiglione della Santa Sede alla 19ª Mostra Internazionale di Architettura di Venezia. Opera Aperta, questo il titolo scelto, trasforma il complesso di Santa Maria ausiliatrice, nel sestiere di Castello, in un laboratorio vivente.
Non si tratta di una semplice esposizione. Opera Aperta è un cantiere attivo, un luogo in cui il restauro architettonico si emancipa dalla sola funzione conservativa per diventare processo generativo, spazio dinamico in cui accadono cose. L’architettura non è più oggetto da contemplare ma strumento di relazione e attivatore di connessioni umane.
Mentre si restaurano muri e dettagli architettonici, si riparano anche le relazioni: quelle di vicinato, quelle intergenerazionali, e il tessuto sociale della città. Perché oggi, uno dei problemi più profondi è la difficoltà a entrare in relazione
Giovanna Zabotti, co-curatrice del Padiglione della Santa Sede
Riparare relazioni
«Mentre i restauratori sono all’opera, i visitatori possono avvicinarsi, porre domande e dialogare direttamente con gli esperti» racconta Giovanna Zabotti, direttrice artistica di Fondaco Italia e curatrice del Padiglione della Santa Sede insieme all’architetta Marina Otero Verzier.
«In questo modo», prosegue Zabotti, «mentre si restaurano muri e dettagli architettonici, si riparano anche le relazioni: quelle di vicinato, quelle intergenerazionali, e il tessuto sociale della città. Perché oggi, uno dei problemi più profondi è la difficoltà a entrare in relazione. Ecco perché abbiamo voluto un padiglione che generasse incontro e partecipazione reale. Lo facciamo non solo attraverso il restauro ma anche con workshop-laboratori di restauro, organizzati insieme alle associazioni del territorio, e attraverso la musica. Abbiamo creato degli spazi accessibili dove, su prenotazione, i ragazzi possono suonare liberamente strumenti messi a disposizione. Questa idea è nata ascoltando gli studenti del Conservatorio di Musica “Benedetto Marcello” di Venezia, che ci hanno raccontato quanto in città manchino luoghi adeguati dove potersi esercitare insieme».
Volevamo trasmettere l’idea che la Biennale non è qualcosa che si impossessa di spazi per toglierli alle persone che vivono Venezia, ma al contrario è un’occasione per aprire spazi alla comunità
Giovanna Zabotti, co-curatrice del Padiglione della Santa Sede
Un organismo vivo
Per sei mesi Opera Aperta ridà nuova vita agli ambienti del complesso, che si estende su oltre 500 metri quadrati e conserva importanti elementi storici e artistici, e offre attività creative a cui i visitatori possono partecipare liberamente. In questo modo Opera Aperta non è un’opera conclusa, ma un organismo vivo: un luogo di partecipazione, coinvolgimento e trasformazione, profondamente radicato nella comunità che lo abita. Per arricchire tutte le persone.
«Volevamo trasmettere l’idea che la Biennale non è qualcosa che si impossessa di spazi per toglierli alle persone che vivono Venezia», prosegue la curatrice, «ma al contrario è un’occasione per aprire spazi alla comunità mettendo insieme persone che altrimenti non
si incontrerebbero mai. Un’occasione anche per capire meglio, vivendo l’esperienza, cosa vuol dire prendersi cura di un bene che è della comunità».
Dove idee e opinioni circolano liberamente
In questo modo, Opera Aperta dà forma a un’idea di riparazione che non si limita agli aspetti materiali ma si estende allo scambio culturale, alla convivialità e alla musica. Dal martedì alla domenica, gli spazi del padiglione si aprono ai musicisti, che possono prenotare strumenti come clavicembalo, pianoforte e pianoforte a coda, per esercitarsi. Le loro prove, improvvisazioni e composizioni si diffondono liberamente nell’edificio, trasformandolo in un paesaggio sonoro in continua evoluzione, dove chi ascolta si ritrova spontaneamente coinvolto.
Nei pomeriggi del martedì e del venerdì, grazie alla collaborazione con l’Università Internazionale dell’Arte, si tengono i laboratori di restauro e riabilitazione: un’occasione preziosa per trasmettere le tecniche costruttive tradizionali alle nuove generazioni, rafforzando l’impegno per la conservazione del patrimonio. Ogni appuntamento si apre con una visita guidata del padiglione e prosegue con workshop di restauro condotti insieme agli studenti dell’Uia e alle associazioni del territorio. A chiudere, una merenda condivisa attorno alla grande tavola aperta, cuore conviviale dello spazio, dove idee e opinioni circolano liberamente.
Connessioni inattese
Tutto questo è un processo che genera incontri, connessioni inattese e nuovi dialoghi che difficilmente nascerebbero altrove. Spiega Zabotti: «Abbiamo voluto coinvolgere le associazioni del territorio nei laboratori per offrire loro un’occasione concreta di visibilità e incontro. Al termine di ogni attività organizziamo sempre un momento conviviale, un’occasione per mangiare qualcosa insieme e conoscersi meglio. I laboratori, gratuiti ma su prenotazione, stanno già dando frutti importanti: si stanno creando legami, relazioni, reti di supporto. Ricordo in particolare un laboratorio a cui ha partecipato un’associazione che poche ore prima aveva subito un furto di tutte le attrezzature. Nonostante tutto, hanno voluto esserci e condividere con gli altri partecipanti anche questa esperienza difficile. Da lì si è attivata spontaneamente una catena di solidarietà».
Zabotti conclude: «Il lavoro manuale durante i laboratori abbatte barriere, rilassa e apre le persone al dialogo. È un modo semplice, ma potente, per ritrovare un senso di comunità».

Sul numero di VITA di settembre, a partire da una ricerca inedita dell’Università Iuav abbiamo ricostruito il cortocircuito sociale della città più bella del mondo. Il secondo capitolo contiene una mappa dell’attivismo civico. Tra i luoghi individuati, c’è anche il Padiglione della Santa Sede alla Biennale di Architettura. Se hai un abbonamento leggi subito Venezia, non più Serenissima e grazie per il tuo sostegno. Se vuoi abbonarti puoi farlo a questo link.
La fotografia in apertura è di Marco Cremascoli
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