Arte

Antonio Viganò: «Venite a teatro, vi ferirò»

Antonio Viganò ha fondato a Bolzano l’Accademia Arte della Diversità-Teatro la Ribalta, l'unica compagnia teatrale in Italia formata da attori professionisti con disabilità. «Si dice sempre che il teatro cura le ferite. Così facendo il teatro diventa il luogo della conferma di quello che conosciamo già. Ma il teatro non è questo: deve essere il luogo della contraddizione. Ti deve sorprendere, ti deve portare dove non hai voglia di andare. Perché solo attraverso il dolore della ferita, noi riusciamo ad andare oltre». L'intervista

di Diletta Grella

una scena di Il suono della caduta

«Il teatro è come un ospedale, dove però si va non per curare le proprie ferite, ma per riconoscerle, per scoprirle, per prenderne coscienza. Il teatro te le deve infettare queste ferite»: è un teatro che spiazza, quello che propone Antonio Viganò, regista che, nel 2009, a Bolzano, fonda l’Accademia Arte della Diversità-Teatro la Ribalta e dà vita a una compagnia professionale formata da attori con disabilità, l’unica in Italia.

Viganò è uno dei protagonisti de “I segni dell’anima”, iniziativa in programma fino a domenica 21 settembre al Monastero del Carmine di Bergamo, prima tappa di un percorso di ricerca sull’accessibilità culturale, avviato dal Teatro tascabile di Bergamo – TTB nel 2023.

Al centro del suo lavoro, c’è l’idea della ferita o della malattia che curano il teatro. Ci racconti…

Si dice sempre che il teatro cura le ferite e che andare a teatro fa bene. A me piace ribaltare il cannocchiale e pensare che le ferite possano curare il teatro. Cioè credo fermamente che quei corpi disabili, asimmetrici e malati, quegli uomini e quelle donne che hanno sguardi e modi diversi di leggere il mondo, in realtà possano arricchire il teatro.

Il teatro ti deve spiazzare, deve portare a galla la tua ferita. Perché solo attraverso il dolore della ferita, noi riusciamo ad andare oltre

Antonio Viganò, regista teatrale

Secondo lei il teatro ha bisogno di essere curato e arricchito?

Stiamo andando sempre di più verso una dittatura dei numeri, per cui i grandi teatri si riempiono accogliendo i divi televisivi. Alcuni teatri sembrano più simili a centri commerciali: spazi lucidi e levigati, senza alcuna traccia di negatività, senza ombre. Così facendo il teatro diventa il luogo della conferma di quello che conosciamo già. Ma il teatro non è questo: deve essere il luogo della contraddizione. Ti deve sorprendere, ti deve portare dove non hai voglia di andare. Se io esco da uno spettacolo uguale a come sono entrato, senza alcuna domanda, o peggio, sentendomi – come oggi spesso succede – dalla parte giusta del mondo, nel senso culturale, politico, intellettuale… significa che il teatro ha perso la sua funzione. Il teatro ti deve spiazzare, deve portare a galla la tua ferita. Perché solo attraverso il dolore della ferita, noi riusciamo ad andare oltre. La ferita è la condizione esistenziale del teatro. Paradossalmente lo rende sano.

Come ha iniziato a lavorare con la disabilità?

Mi sono formato alla Scuola d’Arte del Piccolo Teatro di Milano e all’École Jacques Lecoq di Parigi. Poi, fra il 1995 e il 2002, ho lavorato molto con la Compagnie de l’Oiseau-Mouche in Francia, la prima compagnia teatrale europea formata da attori professionisti con disabilità. Tornato in Italia, a Bolzano, ho dato vita a una compagnia professionale che oggi conta 16 persone, tutte assunte e stipendiate, di cui 12 con disabilità. L’età va dai 27 ai 37 anni. Inoltre, essendo noi a Bolzano, siamo una compagnia mista dal punto di vista linguistico: metà sono persone di madrelingua tedesca e metà italiana. Nel nostro Paese, ci sono tante esperienze teatrali realizzate con persone con disabilità e questo è bellissimo perché significa che il teatro assume, come atto politico, l’impegno di trasformare la società. Per quanto riguarda invece le compagnie formate da attori professionisti con disabilità, ci siamo solo noi in Italia.

Se esco da uno spettacolo sentendomi – come oggi spesso succede – dalla parte giusta del mondo… significa che il teatro ha perso la sua funzione. Il teatro ti deve spiazzare, deve portare a galla la tua ferita

Antonio Viganò, regista teatrale

Durante la Settimana d’arte “Segni dell’Anima”, insieme a Cantieri Teatrali Koreja, porterete in scena uno spettacolo, Il Suono della Caduta

Sì, è uno spettacolo di teatro civile e di testimonianza, che racconta lo sterminio delle persone disabili nel periodo nazista. In scena ci saranno i nostri attori “diversi”. Uomini e donne che, secondo i parametri nazisti dell’epoca, non erano degni di vivere e che oggi stanno sul palco, a raccontarci una storia che, un tempo, voleva impedire loro di esistere. Sono dei “sopravvissuti” a quella tragedia. Attori con disabilità ma con una grande capacità attoriale, in grado di generare poesia, di scuotere lo spettatore e di farlo uscire dall’ovvietà. E questo è il teatro.

In apertura, una scena dello spettacolo Il Suono della Caduta: foto di Eduardo De Matteis, Archivio Koreja

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