Anziani

Caregiver, la tragedia della solitudine

A Castelfranco Emilia, un uomo di 92 anni ha ucciso la moglie 88enne, malata di Alzheimer e poi si è tolto la vita gettandosi dal secondo piano. Tra i 7 milioni di caregiver familiari, l'8,4% ha più di 75 anni. Non possiamo più rubricare questi episodi come "tragedie familiari": dicono che le risposte del sistema non bastano, nemmeno dove ci sono, nemmeno nella regione che per prima ha riconosciuto il caregiver familiare. Cosa serve? La legge nazionale promessa dalla ministra Locatelli, certo. Ma anche servizi e comunità che sappiano mettersi in relazione con i caregiver, anche nei luoghi informali: perché solo dentro la relazione è possibile chiedere aiuto

di Sara De Carli

soggiorno in ombra

Nel tardo pomeriggio del 7 ottobre, a Castelfranco Emilia, un uomo di 92 anni ha ucciso la moglie 88enne, malata di Alzheimer e poi si è tolto la vita gettandosi dal secondo piano. L’ennesima tragedia della solitudine, che mostra l’urgenza inderogabile di dare una risposta solida e appropriata alle sfide della long term care senza lasciare sulle famiglie tutto il peso della cura.

La solitudine dei caregiver, titolavamo il numero di VITA di aprile. Ma in questa storia si sommano due solitudini, anzi tre: quella del caregiver, quella delle persone anziane (gli over75 sono l’8,4% dei caregiver), quella specifica di chi si prende cura di una persona che non è più in grado di esprimersi e relazionarsi. Una quotidianità che appartiene a tante storie, oggi, in Italia.

Chiedete aiuto, ripetono sui social i commenti alla notizia. «Quale aiuto?», rispondono sconsolati in tanti, «siamo completamente soli». E anche: «Nessuno può vivere solo con un malato di Alzheimer. Dobbiamo superare l’idea che la risposta sia sempre la famiglia». Il tema dei costi ricorre con insistenza: «Convivere con un malato di questo genere è una fatica immensa. Le strutture adeguate sono poche e molto costose e spesso le famiglie non se le possono permettere».

Il punto è che non possiamo continuare a fingere che sia solo “un dramma familiare”. Questa famiglia o un’altra, la fatica è la stessa. È il fallimento di un sistema, che esige una risposta nuova, perché quelle messe in campo finora – che pure ci sono – non bastano.

Anche in Emilia

Castelfranco Emilia non sta nel deserto dei servizi, ma nella prima regione d’Italia ad aver approvato una legge per il riconoscimento del caregiver: era il 2024, più di dieci anni fa. «Affrontare la solitudine oggi è una questione vitale. Occorrono più servizi, ma anche una presenza maggiore della comunità per creare opportunità di ascolto, inclusione, accompagnamento», annota Loredana Ligabue, segretaria di Carer, la prima associazione nazionale dei caregiver familiari che ha sede proprio in Emilia Romagna, a Carpi. «Il riconoscimento del caregiver è necessario, per questo la legge nazionale serve, ma un altro tassello cruciale della questione è il fatto che il caregiver deve avere la volontà di essere visto, non pensare di poter gestire tutto da solo». Per bussare, però, deve sapere dove farlo: «Serve rafforzare i servizi, ma anche tutta un’azione informativa per cui i caregiver sappiano che è possibile attivare una relazione, prima ancora che dei servizi specifici. È quella relazione il punto di ingresso per poi proporre attività, supporti».

Il riconoscimento del caregiver è necessario, per questo la legge nazionale serve, ma un altro tassello cruciale della questione è il fatto che il caregiver deve avere la volontà di essere visto, non pensare di poter gestire tutto da solo. E perché possa farlo serve mettere in campo un’azione informativa più forte

Loredana Ligabue, segretaria Carer

Accesso alle relazioni, prima che ai servizi

Occorre creare punti di contatto, “luoghi di accesso a bassa soglia”. Altrimenti il dire “chiedete aiuto” rischia quasi di essere una vittimizzazione secondaria. L’innovazione delle risposte alla solitudine dei caregiver, scrivevamo già sul magaine di aprile, sta innanzitutto nella trama del quotidiano: collocare lo sportello informativo dentro un mercato rionale, in ospedale, in una biblioteca, andando a intercettare i caregiver nei luoghi che già frequentano nella vita quotidiana (lo fa a Milano per esempio Fondazione Ravasi Garzanti con gli sportelli di CuraMi & ProteggiMi), portando lo psicologo in strada, con un pullmini itinerante (è l’esperienza proposta da Società Dolce a Bologna), accompagnando le famiglie nell’orientamento fra i servizi  per rispondere a quel “non esiste una bussola” che tanto li assilla (è questo il focus point per Teseo, il progetto coordinato da Fondazione Don Gnocchi), inventando modalità di supporto per i tanti caregiver a distanza, cioè quei figli che vivono lontano dai genitori di cui devono prendersi cura. C’è il grande lavoro della Federazione Alzheimer Italia per realizzare delle Comunità Amiche delle Persone con Demenza. Sono solo alcune dei modelli già esistenti in Italia per “prendersi cura di chi cura”, esperienze che dicono che non lasciare soli i caregiver è possibile.

La legge sui caregiver

La ministra per le disabilità, Alessandra Locatelli nel magazine di aprile diceva a VITA che dopo tanti anni e tante proposte di legge per il riconoscimento del caregiver familiare «è venuto il momento di trovare un punto di caduta e un accordo trasversale per un’adeguata cornice normativa. Il Tavolo di lavoro ha ultimato la discussione, abbiamo presentato in Consiglio dei ministri un’informativa per l’avvio dell’analisi di un testo condiviso e nelle prossime settimane verrà presentata al Tavolo una bozza che poi porteremo in Consiglio dei ministri come disegno di legge».

Di settimane ne sono passate parecchie, ma non è questo il punto. Il punto è non lasciarne passare altre. Non serve un testo perfetto già in partenza, serve aprire la discussione e farlo – questo sì – con delle risorse adeguate da mettere in campo. Lo sa benissimo la ministra, che infatti sottolineava quanto la divergenza di opinioni – per esempio sul requisito della convivenza per il riconoscimento o meno del caregiver – «in passato ha contribuito ad arrestare la norma. Oggi io dico che dobbiamo andare avanti. Non porteremo in Consiglio dei ministri un testo perfetto, ma quello che consentirà di trovare quel punto di caduta utile a definire una cornice normativa condivisa il più possibile. Sono convinta poi che nel corso dell’iter parlamentare il testo potrà essere condiviso e migliorato grazie anche all’esperienza che le stesse commissioni parlamentari hanno coltivato negli anni. La volontà di dare finalmente una risposta alle persone che amano, che curano e che non vogliono essere sostituite ma accompagnate in questo percorso di accudimento, è trasversale». Ministra Locatelli, sette milioni di caregiver familiari la aspettano.

Il numero di VITA magazine, titolato La solitudine dei caregiver è dedicato proprio ai caregiver familiari: se hai un abbonamento puoi scaricare subito qui la versione digitale, se vuoi chiedere una copia arretrata scrivi a abbonamenti@vita.it.

Foto di Carmen Tehillah su Unsplash

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