Salone Csr 2025
Dal dare al fare: la nuova filantropia si racconta
L’innovazione sociale ha preso forma nel dialogo con Marisa Parmigiani (Fondazione Unipolis), Franco Parasassi (Fondazione Roma) e Maria Cristina Ferradini (Fondazione Amplifon). Appunti dall’incontro di presentazione del numero di ottobre del magazine in quel “laboratorio a università aperta” che è l'evento alla Bocconi. Link al video integrale
Al Salone della Csr non può mancare VITA. E infatti c’è. Nella prima giornata della tredicesima edizione dell’evento sulla sostenibilità e l’innovazione sociale ospitato dall’università Bocconi è andata in scena anche la presentazione del numero di ottobre del magazine. Un grande racconto “nella testa dei filantropi” con l’intervento di alcuni dei protagonisti, sul palco e tra il pubblico, in un dialogo che è stato capace di emozionare.
Per iniziare
A partire da un dato: i 2 miliardi di euro all’anno prudenzialmente stimati come indotto di questo mondo un tempo nascosto e oggi, per molte ragioni, sempre più visibile nella costruzione di “futuri di valore”, come inviata a fare il titolo dell’edizione numero 13 del Salone. Il direttore, Stefano Arduini, lo ha sottolineato in apertura: «La crescita del movimento filantropico che abbiamo documentato in questo numero del magazine è l’espressione di una cultura del Terzo settore che si allarga e coinvolge nuovi attori».
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Volti e numeri
Tra i protagonisti di questa crescita ci sono le fondazioni d’impresa ed ex bancarie. Nell’incontro milanese, le loro voci sono state coordinate dal caporedattore, Giampaolo Cerri, che ha curato questo numero del magazine, svelandone l’ambizioso obiettivo: «Rompere i recinti. Per anni il filantropo era visto come una persona che amava il genere umano e, generosamente, disponeva il suo patrimonio in favore di alcune buone cause». Ma questo è il passato.
La trasformazione a cui stiamo assistendo ci fa incontrare nuove figure professionali: «Sono i manager chiamati dalle aziende a guidare fondazioni corporate, i civil servant che la riforma delle fondazioni bancarie ha chiamato in causa nella gestione di ingenti patrimoni e sono tanti altri professionisti impegnati a realizzare nuove forme di redistribuzione della ricchezza».
Libertà di sperimentare
A che cosa serve, dunque, la filantropia? Ha il ruolo gli spazi che si merita? Potrebbe fare di più e meglio? Questa la domanda d’ingresso posta da Cerri agli ospiti dell’incontro e le cui interviste complete trovate sempre nel numero di ottobre. Marisa Parmigiani, consigliere delegato di Fondazione Unipolis ha espresso la sua preferenza: «La filantropia più innovativa è quella che ha capito di poter essere un laboratorio nel quale sperimentare interventi da consegnare all’attore pubblico». Non certo per mettere delle “pezze” dove il welfare non arriva: «Noi siamo fautori di uno stato che non viene meno alle sue responsabilità.

Però la filantropia può permettersi di essere coraggiosa, sperimentare, testare, sbagliare e poi riallineare finché non trova degli schemi efficaci e scalabili da offrire al settore pubblico». La strada è dunque quella di completare la riforma del Terzo Settore aprendo definitivamente lo spazio al metodo della coprogettazione e coprogrammazione.
Passaggio all’azione
Su questa scia, Franco Parasassi, presidente di Fondazione Roma, ha lanciato un’immagine molto chiara e potente dell’evoluzione in corso: «La filantropia classicamente intesa è un concetto superato. Perché la filantropia non è dare, è fare. Non è più sufficiente mettere a disposizione del denaro, ma realizzare iniziative utili di per sé ma che, al tempo stesso, siano concepite in modo da poter essere replicate. In questo senso, la filantropia non è un’attività esclusiva». Senza dimenticare il controllo e la valutazione d’impatto.

Ed è quello che l’organizzazione fa dal 1992, quando ne è stata avviata la progettazione, fino ad aver raggiunto le dimensioni attuali, con un gruppo di 350 persone al lavoro, la gestione di 1,5 miliardi di euro di risorse liquide complessive e un deliberato di 50 milioni di euro l’anno: «Una filantropia aziendalistica, ma sempre orientata al bene comune», ha sintetizzato Parasassi.
Un cambiamento provvidenziale
Maria Cristina Ferradini, oggi consigliere delegato di Fondazione Amplifon dopo una lunga esperienza in Fondazione Vodafone Italia può considerarsi una pioniera della filantropia corporate nel nostro Paese. In precedenza, ha lavorato come avvocato in varie organizzazioni, fin quando non le è stato chiesto di dirigere un dipartimento composto da sostenibilità e fondazione. Nonostante qualche titubanza, brillantemente risolta in famiglia, ha accettato.

Oggi, dopo anni di impegno professionale e umano, la sua appassionata visione è questa: «La filantropia è un modo di essere che possiamo incarnare tutti. È un guardare alle relazioni e ai bisogni in un modo sobrio. Siamo in una società di assoluto surplus: di informazioni come di beni. Le dialettiche tra genitori e figli sono ridotte al “mamma voglio questo”. E il regalo è già ordinato. La filantropia è una possibilità, che tutti abbiamo, di vivere una dimensione collettiva nuova, sobria, dove c’è spazio per riconoscere il bisogno accanto a noi». Come è evidente proprio fuori dalle mura della Bocconi, nei pressi della quale ogni giorno si possono incrociare gli sguardi delle persone in coda per entrare all’associazione Pane Quotidiano: «Apparteniamo a una comunità dove ciascuno di noi è fondamentale».

Da rivedere
Questo bellissimo incontro è proseguito con il racconto dei progetti più emblematici delle tre organizzazioni intervenute e altri aneddoti di ispirazione personale al mondo della filantropia. Al pari di tutti gli eventi del Salone, si può rivedere per intero sul canale YouTube del Salone della Csr. Il recinto è aperto. La “transizione filantropica” va verso un ruolo politico, non partitico, per la costruzione delle comunità.

Le foto in apertura e nel testo di A. Mola.
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