Giornata mondiale salute mentale
Dalla cura alla vita: così funziona il budget di salute
L'alternativa alla residenzialità esiste ed è praticabile, come dimostrano le esperienze di Regioni come l'Emilia Romagna, che attiva progetti di questo tipo già da tempo. Si tratta di uno strumento innovativo, che mette al centro la persona, valorizza le sue risorse e le restituisce la libertà di scelta. Tutto all'interno di una comunità che si fa luogo di incontro, di attenzione all'altro e di riscatto
«Il budget di salute è allo stesso tempo un approccio e uno strumento. Pone la persona che ha una situazione di sofferenza in condizione di esprimere i propri bisogni e utilizzare le proprie risorse per unire programma di cura e progetto di vita». Pietro Pellegrini, direttore del Dipartimento assistenziale integrato salute mentale dipendenze patologiche Ausl di Parma spiega così la natura del budget di salute. «Si tratta di uno strumento di integrazione sociosanitaria che porta a capacitare chi vive una condizione di disagio e che unisce tutte le risorse disponibili nel sistema, da quelle sociali, sanitarie e quelle di comunità, attivando una rete sociale e familiare». Non si tratta solo di un “voucher” che viene dato alla persona: c’è una regia pubblica, che mette in campo tutte le strategie – sociali, sanitarie, di relazione – per permettere alla persona, anche in condizione di patologia o di sofferenza di realizzare il proprio progetto di vita. Che è suo, deciso per sé, non del Servizio sanitario nazionale. Attraverso il budget di salute, per esempio, si è messi in condizione di scegliere dove vivere, come e con chi.
Come funziona il budget di salute
Ma all’atto pratico, come si esplica il budget di salute? «Per esempio, per una persona con disturbo mentale severo ospite di una residenza, che però ha una casa, un alloggio fuori in cui tornare», continua Pellegrini, «si può pensare di affrontare la sua sofferenza in modo diverso, costruendo un approccio che la capacita, che la mette in grado di fare delle scelte. Potrebbe decidere di tornare a casa propria, magari insieme a qualcun altro». Il budget permette di mettere in campo interventi sanitari: oltre a quelli dei servizi, rende possibile l’attivazione di altri, aggiuntivi, realizzati di concerto col Terzo settore. «Per stare a casa uno potrebbe aver bisogno di un aiuto sociale, perché non ha un reddito per pagare le bollette», dice lo psichiatra, «o per gestire la propria abitazione; sembra sia facile, ma non lo è affatto. Può servire qualcuno che dia una mano col sistema di manutenzione o con le faccende domestiche». Grazie al budget di salute, si può attivare la persona perché scelga come e con chi vivere, o mettere in campo la sua rete sociale. Non si parla solo di abitare, infatti, ma anche di lavoro e tempo libero. Le residenze, così, possono essere solo un passaggio per arrivare a una vera autonomia, non un parcheggio per 30 o più anni. Anche perché è dimostrato: l’istituzionalizzazione – o la neoistituzionalizzazione, che spesso viene subita da chi è povero e solo – causa regressione e trattiene l’evoluzione delle persone; nega, in più, la complessità delle persone, gli aspetti di vita relazionale, intima e di rapporto con la propria comunità che è giusto che un individuo abbia. Un altro elemento importante è legato ai costi: le residenze costituiscono una spesa ingente per il sistema sanitario.
L’evoluzione del budget di salute
Il budget di salute si è evoluto nel tempo, da quando, negli anni ‘90, lo psichiatra Angelo Righetti lo utilizzava in maniera pionieristica come strumento di deistituzionalizzazione. Oggi tante Regioni lo implementano – anche se a volte ha nomi diversi, come budget di progetto, per esempio – e nel tempo potrebbe diventare uno strumento utile per tutti i cittadini, non basato sulla patologia, ma sul funzionamento, sul livello di risorse di ciascuno. «Si tratta di un sistema di welfare che sa sostenere le autonomie parziali», commenta Pellegrini, «valorizzando competenze, capacità e relazioni per realizzare un progetto di vita».
Il Budget di salute, soprattutto, dimostra che un altro modo di vedere e agire sulla salute mentale è possibile. «Come spesso accade in Italia, la realizzazione di questo strumento è a macchia di leopardo», conclude lo psichiatra, «ma tutte le Regioni stanno iniziando a metterlo in campo. In Emilia Romagna abbiamo circa 3mila progetti all’anno, più della residenzialità. È un sistema alternativo ed evolutivo rispetto alle residenze, che permette di prendersi cura delle persone nel contesto in cui vivono. La base è il diritto di ciascuno di vivere, dove vuole, una vita che abbia un senso, ovunque lo trovi l’individuo, nell’arte, nella cultura, nel volontariato».
Foto in apertura da Unsplash
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