La discriminazione di genere in campo

Donne e sport, più di un’atleta su quattro ha subito violenza psicologica

Discriminate, spesso testimoni di comportamenti di allenatori e dirigenti inappropriati e dannosi, in difficoltà nel conciliare attività agonistica con lo studio e lontane dalle posizioni di vertice nello sport che decide, questa la fotografia di "Donne nello sport", report di Soroptimist International d’Italia, curato da Antonella Bellutti. La presidente Adriana Macchi: «la misurazione del gender gap, attraverso un continuo aggiornamento e monitoraggio è fondamentale per poter implementare politiche attive di promozione dello sport femminile»

di Alessio Nisi

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Il 44% delle atlete dichiara di aver subìto violenza psicologica. Un’esperienza perpetrata per l’81% da persone dello staff tecnico e per il 15% dello staff dirigenziale. Non solo. Tra le atlete che dichiarato di aver subito violenza psicologica, il 77% si percepisce discriminato.

Sempre il 77% dichiara di essere stata testimone di comportamenti di allenatori e dirigenti ritenuti inappropriati e dannosi psicologicamente. Ancora il 77% conferma di non avere mai avuto un contratto o un accordo di collaborazione con la società di appartenenza, mentre l’86% ha la percezione che non vi sia parità tra atlete e atleti relativamente ai soldi investiti per l’attività.

Non da ultimo, per il 48% delle donne è ancora difficile conciliare l’attività agonistica con lo studio. Senza contare, poi, la percezione che la disciplina praticata non viene promossa per le donne in modo equo rispetto agli uomini (67%), la prevalenza di uomini nel ruolo di presidente del club di appartenenza delle intervistate (69%), l’avere vissuto disagio per il proprio aspetto fisico  (38%). 

Sono alcuni dei punti critici che emergono da Donne nello sport, analisi dati per una fotografia in un’ottica di genere che analizza le condizioni di carriera delle atlete, ricerca sostenuta dal bando del Soroptimist international d’Italia e curata da Antonella Bellutti (campionessa, medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Atlanta 1996 e di Sydney 2000 nel ciclismo su pista, laureata in Scienze motorie, con molteplici esperienze di profilo tecnico, dirigenziale e didattico), autrice dello studio Progetto S.i.m.o. Sport inclusion modern output: ricerca sul gender gap nello sport italiano

Nonostante la continua crescita dei risultati delle atlete, sia in discipline individuali che di squadra, le donne sono solo il 24% degli italiani che praticano attività fisica e sportiva in modo continuativo e rappresentano, mediamente, circa 1/3 dei tesserati totali nelle età agonistiche dai 15 ai 35 anni (Report Sport e Salute 2024) 

Atlete ed ex atlete

La ricerca di Antonella Bellutti si basa su un campione di 876 questionari di cui 506 di atlete in attività e 370 di ex atlete. Nel dettaglio il campione è risultato composto per il 60% da atlete agoniste, per il 20% da atlete sub élite, per l’11% d’élite nazionale e per il 9% da atlete d’élite internazionale, medagliate o finaliste in grandi eventi internazionali 

Sono state poste domande relativamente a cinque aree ritenute significative: partecipazione, leadership, sicurezza, rappresentazione e allocazione di risorse.

Soroptimist International d’Italia ha presentato i risultati del bando di ricerca “Donne nello Sport, analisi dati per una fotografia in un’ottica di genere” che analizza le condizioni di carriera delle atlete. Nel video Antonella Bellutti, atleta olimpionica, formatrice e curatrice dello studio, e la presidente nazionale Adriana Macchi

L’importanza della misurazione del gender gap

Per la presidente del Soroptimist International d’Italia, Adriana Macchi «la misurazione del gender gap, attraverso un continuo aggiornamento e monitoraggio è fondamentale per poter implementare politiche attive di promozione dello sport femminile».

Macchi ha ricordato come «l’esperienza biennale su queste tematiche ha fatto emergere la consapevolezza e conoscenza che nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni, sul fronte della parità di genere nello sport italiano, persistono molteplici criticità strutturali, culturali e sistematiche».

Le percentuali «emerse dalla ricerca, ha aggiunto, «ci raccontano una realtà in cui le atlete continuano a scontrarsi con barriere visibili e invisibili, ad avere difficoltà nel conciliare il percorso di studio e la carriera sportiva, disparità nell’accesso ai ruoli di leadership, della presenza di discriminazioni e violenza psicologica, di una diversa distribuzione di risorse e riconoscimenti economici, così come un contratto di lavoro, oltre ad una limitata rappresentanza femminile nelle posizioni decisionali».

Barriere visibili e invisibili

«I dati raccolti», scrive Bellutti nello studio, «raccontano di una realtà in cui le atlete continuano a scontrarsi con barriere visibili e invisibili: dalla difficoltà nel conciliare percorso di studio e carriera sportiva, alla disparità nell’accesso a ruoli di leadership, dalla presenza diƯusa di discriminazioni e violenze psicologiche, fino all’iniqua distribuzione di risorse e riconoscimenti economici».

La rappresentanza delle donne negli organi elettivi

La raccolta dati sulla rappresentanza femminile nei principali organi elettivi sportivi italiani e nelle prevalenti professionalità correlate al sistema sport (dirigenziale e tecnica) ha confermato tra i principali rilevamenti che: solo 22 Federazioni sportive nazionali su 50 hanno raggiunto o superato la percentuale minima (30%) richiesta dal Comitato olimpico internazionale) per la quota del genere meno rappresentato.

Il 95,9% dei presidenti federale è uomo, così come il 76,95% dei tecnici delle squadre nazionali. Nel 53.3% delle fsn non c’è una donna né nel ruolo di Vicepresidente, né di Vicepresidente vicario. Il Coni nei suoi 111 anni di storia non ha mai avuto una donna né nel ruolo di presidente né di segretario generale. 

Il divario di genere nello sport italiano

Dallo studio emerge come solo il 21% delle intervistate, nel corso della carriera, non ha mai avuto un’allenatrice donna. Il dato si spiega alla luce del campione formato per l’80% da atlete agoniste e sub élite: i ruoli tecnici di livello medio-basso sono ancora gli unici a cui le donne possono ambire. Conclusione legittimata dal dato relativo alla presenza femminile nei quadri tecnici federali, risultato del 23%. 

Per superare questa fase di stagnazione, occorre un impegno continuo e trasversale: le istituzioni sportive, i club e le federazioni devono investire risorse non soltanto nell’attività agonistica, ma anche in percorsi di formazione, prevenzione e tutela, valorizzando la diversità e promuovendo una cultura sportiva realmente inclusiva 

Conciliazione sport e studio

Le atlete in attività hanno percepito difficoltà nel conciliare sport e studio nel 54,9% dei casi di cui, la percentuale prevalente (30,5%) afferma che l’impatto dell’attività agonistica sulla formazione scolastica è iniziata dopo i 16 anni. Il restante 69,5% ha iniziato ad avere difficoltà nel combinare i due percorsi, in età inferiore ai 16 anni. 

Le ex atlete hanno avvertito il peso nel conciliare sport e studio nel 41,1% dei casi e sempre dopo i 16 anni è la risposta con maggior frequenza (31,2%). Il restante 68,8% ha iniziato ad avere difficoltà prima dei 16 anni. 

Complessivamente, atlete ed ex, sono il 48% del campione coloro che dichiarano di aver percepito difficoltà nel conciliare sport e studio. La percentuale più alta tra le atlete si potrebbe spiegare come una conseguenza dell’ipercalendarizzazione dello sport agonistico degli ultimi decenni. Ciò sosterebbe la necessità di promuovere e migliorare i programmi per la doppia carriera (dual career per studenti – atleti) con carattere inclusivo, quindi non solo per agonisti vertice. 

Sport e violenza psicologica

Il dato sulla violenza psicologica conferma poi la necessità di un approccio attento da parte delle federazioni sportive nazionali per una formazione degli allenatori che non sia esclusivamente tecnica ma orientata alla consapevolezza del loro ruolo prosociale e alla capacità di esercitarlo attraverso una leadership trasformazionale e non transazionale.

Così come suggerisce l’opportunità di una formazione, sebbene non obbligatoria per regolamento, a chi ricopre ruoli dirigenziali a vario titolo. In tutte le forma di violenza indagate infatti le figure su cui ricadono le percentuali maggiori di frequenza dei casi di violenza agita, sono i tecnici ed i dirigenti. 

In apertura foto di Andrei Dascalu per Unsplash. Nel testo foto e video di Alessio Nisi

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