Ecogiustizia
Eternit, l’imprenditore svizzero condannato perché sapeva
Consapevole che le polveri di amianto erano letali, continuò a produrre. È questa la motivazione della condanna a nove anni e sei mesi di carcere per lo svizzero Stephan Schmidheiny, proprietario dell'Eternit. Ora le vittime e i famigliari, lavoratori e cittadini di Casale Monferrato, si aspettano dalla Cassazione una conferma della decisione dei giudici di Torino. L'ombra è quella di dieci anni fa, quando il primo processo si concluse con l'amarezza della prescrizione
Era consapevole che i lavoratori potevano sviluppare gravi patologie, con esito letale, ma non si fermò. Accettò la possibilità che, dall’esposizione continuativa e massiccia alle polveri di amianto prodotto nella sua fabbrica, derivassero numerosi decessi. Sono queste, in sintesi, le motivazioni della sentenza di condanna della Corte d’Appello di Torino a nove anni e sei mesi di carcere per omicidio colposo all’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, ex proprietario dello stabilimento Eternit di Casale Monferrato, in provincia di Alessandria. Adesso bisogna attendere la Cassazione, per la conclusione definitiva. L’auspicio è che, questa volta, si possa scrivere una storia diversa rispetto a quella del precedente processo Eternit per disastro ambientale, concluso con prescrizione.
Questione di causalità
Il processo d’appello è terminato lo scorso 17 aprile con la condanna a una pena inferiore rispetto a quella di primo grado della Corte d’Assise di Novara, di dodici anni. I giudici infatti hanno riconosciuto la responsabilità dell’imputato per 92 morti, e non 147. C’è stata assoluzione per 28 casi, mentre 27 sono andati in prescrizione. Inizialmente, i morti contestati erano 392. Nel suo blog, la giornalista Silvana Mossano, di Casale Monferrato, segue ogni tappa della vicenda Eternit e, a proposito delle motivazioni della sentenza, sottolinea che uno dei punti centrali, in questo come in altri casi di inquinamento ambientale, è riuscire a stabilire, grazie alla scienza, un nesso di causalità tra le morti e l’attività produttiva. Scrive Mossano: «in questa vicenda, significa accertare che ogni vittima si è ammalata di mesotelioma per aver inalato fibre d’amianto nel periodo in cui l’imputato era l’effettivo responsabile dell’Eternit (il cosiddetto “periodo di garanzia”), cioè nel decennio tra il 1976 e il 1986».
La richiesta di ecogiustizia
Un anno fa, proprio da Casale Monferrato, è partita la campagna nazionale di Legambiente “Ecogiustizia subito – In nome del Popolo inquinato”, realizzata in collaborazione con Libera, Agesci, Acli, Azione Cattolica e Arci. Chiedono le bonifiche dei Siti contaminati di interesse nazionale – Sit e regionale – Sir e il rispetto del principio che chi inquina paga. All’indomani della conclusione dell’appello Eternit bis, l’associazione ambientalista ha espresso soddisfazione per la sentenza, nonostante tutto: «È stata riconosciuta la colpa, la corresponsabilità dell’imputato per le morti per mesotelioma, la corresponsabilità per una ferita ancora aperta sul territorio casalese. Ancora oggi si muore per mesotelioma legato all’esposizione all’amianto, a Casale Monferrato ma non solo. La sentenza va nella direzione auspicata, pur nella limitatezza delle pene erogate: oltre alla condanna detentiva, infatti, sono stati riconosciuti cinque milioni di euro al Comune e mezzo milione allo Stato italiano».
Capitale dell’amianto
Sono passati quasi quarant’anni dal fallimento e chiusura dello stabilimento Eternit di Casale Monferrato, nel 1986. Era tra i più grandi d’Europa. Da lì, negli anni Settanta, proveniva il 40% della produzione nazionale. A ricostruire tutta la vicenda è un dossier di Legambiente, nell’ambito della campagna “Ecogiustizia subito”. Nel 1985, l’Università di Torino realizzava la prima indagine epidemiologica, dimostrando che l’amianto aveva causato, durante tutto il periodo di attività dell’azienda, la morte di centinaia di dipendenti. Poi le indagini venivano estese ai familiari degli operai e alla popolazione locale. Nel 1986 il mesotelioma, tumore legato all’esposizione all’amianto, era riconosciuto quale malattia professionale. Nel 1988 nasceva l’Associazione famigliari lavoratori Eternit deceduti – Afled, che dieci anni dopo diventava Associazione familiari e vittime amianto – Afeva. La messa al bando dell’amianto è legge nel 1992, «dopo almeno tre anni di sit-in e incontri a Roma, in particolare con la Cgil di Casale Monferrato e i disoccupati della Eternit», si ricorda sempre nel dossier Legambiente.
Le attività di bonifica dell’ex stabilimento Eternit sono durate dal 2000 al 2006. Finora è l’unico intervento di bonifica e demolizione di un vasto insediamento di fabbricazione del cemento-amianto portato a termine in Italia.

La vicenda giudiziaria
Il primo processo Eternit, per disastro ambientale, è iniziato nel luglio 2009 e si è concluso in Cassazione a novembre 2014. Gli imputati principali erano lo svizzero Schmidheiny e il barone belga Louise De Cartier (deceduto nel 2013), entrambi ex proprietari. Il procedimento, scrive ancora Legambiente nel dossier “Ecogiustizia”, riguardava i decessi legati alla lavorazione dell’amianto nelle quattro sedi italiane dell’azienda: Cavagnolo, in provincia di Torino, Casale Monferrato, Rubiera, in provincia di Reggio Emilia e Bagnoli, Napoli. Nel 2013 la Corte d’Appello di Torino condannava Schmidheiny a 18 anni di reclusione, aumentando la pena rispetto ai 16 del primo grado. Ma il 19 novembre 2014 la Corte suprema di Cassazione annullava senza rinvio la condanna: il reato contestato, commesso dal 1966 fino alla chiusura dello stabilimento nel 1986, si era estinto per prescrizione, maturata già prima della sentenza di primo grado. Le parti civili venivano condannate al pagamento delle spese processuali. «Tutto questo nonostante il disastro fosse, e sia tuttora, in pieno svolgimento nei suoi drammatici effetti», sottolinea Legambiente.
Il procuratore generale della Cassazione Francesco Iacoviello, nella requisitoria del novembre 2014, commentava: «Ci sono dei momenti in cui diritto e giustizia vanno da parti opposte: è naturale che le parti offese scelgano la strada della giustizia ma, quando il giudice è posto di fronte alla scelta drammatica tra diritto e giustizia, non ha alternativa. Un giudice sottoposto alla legge tra diritto e giustizia deve scegliere il diritto».
Il processo Eternit bis, ora, potrebbe scrivere un’altra storia.
In apertura, un momento della tappa a Casale Monferrato il 27 novembre 2024 della campagna di Legambiente “Ecogiustizia subito”
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.