Mondo
I rapinatori del delta, robin hood del petrolio?
Il gruppo armato Mend chiede il controllo delle risorse per redistribuirle, ma ci sono anche ambientalisti non violenti, gruppi criminali ... di Francesca Lancini
di Redazione
Chi c?è dietro i rapimenti dei dipendenti delle multinazionali petrolifere – Shell, Chevron, Agip e la cinese Cnooc le principali – che operano nella regione del Delta del Niger, nella Nigeria del sud? Di sicuro gente che sa il fatto suo, se è vero che il 10 gennaio 2006 la Cnooc, la più grande società petrolifera della Cina controllata direttamente da Pechino, per entrare nel Delta ha pagato alla Sap -South Atlantic Petroleum 1,8 miliardi di euro per una licenza, salvo vedersi, meno di un anno dopo, rapire nove suoi dipendenti.
Il ?ratto? dei cinesi, tuttavia, è solo l?ultima novità, data la recente entrata nell?area di Pechino: negli ultimi mesi, infatti, sono stati almeno un centinaio i dipendenti rapiti fra nigeriani e stranieri (italiani, britannici, statunitensi, filippini e libanesi), in cambio di un riscatto e/o per motivazioni politiche.
Una democrazia imperfetta
Nell?immenso Delta la situazione è molto più complessa di quanto appare e per comprendere le lotte degli autoctoni contro il governo e le compagnie petrolifere non si possono dimenticare il degrado e gli abusi cui sono costretti da anni milioni di nigeriani, in uno dei paradisi perduti dell?Africa dove gli oleodotti scorrono in superficie senza protezioni e sono spesso danneggiati dagli abitanti del luogo per sottrarne benzina. Le fiamme che salgono dagli inceneritori rendono l?aria irrespirabile, mentre l?inquinamento di terra e acqua impedisce di bere, pescare e coltivare al 95% della popolazione che vive con meno di un euro al giorno, senza strade né elettricità.
«Tutti i movimenti del Delta sono nati per lottare contro lo sfruttamento della regione. Uno sfruttamento che non ha nessuna ricaduta positiva sulla gente del posto», spiega a Vita Itala Vivan, docente di Scienze politiche all?università degli Studi di Milano. Nonostante le estrazioni petrolifere contribuiscano all?80% della ricchezza della Nigeria, un recente rapporto di Human Rights Watch accusa i funzionari del governo di aver dissipato i proventi destinati a sanità ed educazione. «I movimenti del Delta», continua la Vivan, «sono il prodotto di un regime economico ancora coloniale. Sono comparsi al tempo della dittatura militare e continuano tuttora perché nulla è cambiato dopo l?arrivo alla democrazia nel 1999: il presidente Obasanjo è un generale e la classe al potere è la stessa di prima».
Nnamdi Obasi, analista per l?Africa Occidentale dell?International Crisis Group, insiste sulla genesi di questi movimenti: «I primi scontri armati si verificarono negli anni 60 tra l?esercito e la Niger Delta Volunteer Force, guidata da Isaac Adaka Boro, uno ijaw. Oggi questi militanti sono soprattutto ragazzi di minoranze etniche come gli ijaw, anche se col tempo si è formato un mix esplosivo. Ai giovani che protestavano contro problemi ambientali, economici e politici si sono aggiunti gruppi criminali, al servizio dei politici locali».
Le colpe di Obasanjo
Il gruppo di rapitori più noto è il Mend – Movement for the Emancipation of the Niger Delta che ogni volta, dopo aver rivendicato il sequestro, promette di non uccidere i rapiti. Spesso ci s?interroga sulle reali intenzioni e sulla natura di questo movimento nato solo due anni fa dalla fusione di gruppi politicizzati e di un altro movimento guerrigliero con rivendicazioni a base etnica, l?Ndpvf – Asari?s Niger Delta People?s Volunteer Force. Il gruppo di Alhaji Dokubo Asari, in prigione e in attesa di essere processato per tradimento, cominciò negli anni 90 ad attaccare petroliere e oleodotti perché le compagnie non rispettavano i Mou (Memorandum of understanding), accordi fra le comunità locali e le multinazionali. Il Mend, in cui è confluito il Ndpvf, oggi si presenta come un soggetto tecnologicamente all?avanguardia, abituato a usare l?email per comunicare con le agenzie stampa e deciso a chiedere il controllo delle risorse del Delta e la liberazione del governatore di Bayelsa, Diepreye Alamieyeseigha, e di Mr. Asari.
Anche i non violenti
Oltre a movimenti politici armati e criminali comuni, non mancano nella regione anche gli attivisti non violenti. È il caso del Mosop – Movement for the Survival of the Ogoni People, fondato nel 1990 dal poeta Ken Saro-Wiwa e da altri esponenti ogoni (altra etnia del Delta) per opporsi pacificamente alla distruzione dell?ecosistema della regione.
Nel 1993 Saro-Wiwa riuscì a riunire 300mila manifestanti, ma due anni dopo fu impiccato con l?accusa di aver fatto uccidere quattro ogoni che non avevano aderito alla linea del Mosop. «Fu vittima di accuse false e di un processo farsa. A quel tempo una multinazionale britannica aveva fatto pressione sul governo nigeriano affinché mettesse fine alle proteste ogoni», spiega la Vivan. Che sui veri responsabili dell?uccisione dei quattro ogoni che non appartenevano al Mosop si è fatta un?idea inquietante: «Probabilmente i responsabili furono esponenti dell?allora dittatura militare. Gli stessi che, d?accordo con Obasanjo, oggi continuano ad assoldare milizie per compiere sabotaggi e accusare, poi, i movimenti del Delta».
Nelle violenze, dunque, le responsabilità del governo sono notevoli. «Fra i criminali nigeriani che rubano il petrolio, smerciano armi e compiono atti di pirateria marittima», spiega Obasi, «ci sono anche persone al servizio di importanti politici locali».
Ma non basta. Per Javier Gonzalez Diez, responsabile del coordinamento Africa Occidentale di Amnesty International, «le bande sono la conseguenza di una situazione di anarchia, dove lo Stato ha un controllo limitato e, di fatto, delega la sicurezza alle stesse multinazionali. Queste ultime assoldano forze private, formate anche da persone con precedenti penali, che infliggono abusi alla popolazione. Da anni le compagnie di sicurezza devastano i villaggi, saccheggiando e uccidendo in modo sommario».
Una situazione che, secondo Diez, non è cambiata dall?arrivo nel 1999 della democrazia e di Obasanjo che, in vista del voto del prossimo aprile, è disposto a cambiare la Costituzione. Pur di essere eletto presidente per la terza volta.
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