Idee A cosa serve il Terzo settore?

Il non profit vale 93 miliardi di euro, ma la sua ricchezza è “politica” non “economica”

Il non profit non è “un’istituzione che manca di profitto”, bensì un attore riconosciuto che genera valore pubblico. In questo senso il senso il suo ruolo è molto più politico e culturale che economico. Se avremo il coraggio di riconoscerlo, allora quei 93 miliardi saranno solo la punta dell’iceberg di una ricchezza molto più grande: quella che rende la società italiana più giusta, resiliente e vivibile. L'intervento del direttore di Aiccon

di Paolo Venturi

Gli ultimi dati diffusi da Istat sulle istituzioni non profit ci restituiscono l’immagine di un settore che in Italia muove quasi 93 miliardi di euro, con una crescita del 32% rispetto al 2015. Numeri impressionanti, che attestano il peso economico di un universo fatto di oltre 360mila organizzazioni, più di 5 milioni di volontari e quasi un milione di occupati. Eppure fermarsi alla dimensione economica significa cogliere solo la superficie. La vera questione non è quanto vale il non profit in termini monetari, ma quanto pesa in termini sociali, politici e culturali. La sua forza non risiede nei bilanci, bensì in una moltitudine di valori intangibili che non entrano nei registri contabili: la cura, la fiducia, le relazioni, la coesione, la democrazia, il dono. È qui che si trova la vera ricchezza, quella che – per dirla con Robert Kennedy – rende la vita degna di essere vissuta.

Ed è proprio qui che emerge la contraddizione: mentre le statistiche ci raccontano di una crescita, lo scenario rivela una fragilità sistemica. La maggioranza delle organizzazioni è piccola, radicata nel locale, preziosa nella prossimità ma incapace di incidere sulle grandi scelte di policy. Solo il 17% fa fundraising e pochissime utilizzano strumenti finanziari evoluti. Il rischio, così, è quello della polverizzazione: un arcipelago di buone pratiche che non riesce a diventare politica né a influenzare il futuro. Questa fragilità nasce anche da una postura concettuale sbagliata. Troppo spesso il non profit si percepisce come un soggetto privato che deve innanzitutto garantirsi la sopravvivenza. Ma il non profit non è “un’istituzione che manca di profitto”, bensì un attore riconosciuto che genera valore pubblico. Come ricordava Peter Drucker, sono “organizzazioni per il cambiamento umano”. Non un fornitore a basso costo di welfare, ma un generatore di beni comuni, di capitale sociale, di processi democratici.

Perché questo accada è necessario un cambio di paradigma. Servono percorsi di capacity building per rafforzare le competenze, un funding mix capace di combinare risorse filantropiche, capitali finanziari e strumenti di impatto. Ma soprattutto serve una prospettiva ecosistemica, che metta in relazione società civile, Stato e mercato secondo le logiche dell’amministrazione condivisa e della creazione di valore condiviso. Uscendo dalla gabbia domanda/offerta, occorre costruire relazioni sartoriali e processi di co-progettazione in grado di ottimizzare le risorse e orientarle verso progetti trasformativi.

In questa transizione il ruolo delle banche e degli attori finanziari è decisivo. Non basta che eroghino credito o sponsorizzino iniziative: devono diventare partner di sviluppo, sedersi ai tavoli di co-progettazione, contribuire a ideare strumenti finanziari pazienti e metriche di impatto condivise. Solo così il capitale finanziario può incontrare il capitale sociale, generando un autentico moltiplicatore di impatto. Il punto, dunque, non è appena contare i 93 miliardi, ma pesare ciò che il non profit significa per il Paese. Perché il suo valore vero non è quello che appare nei bilanci, ma quello che vive nei territori: nella fiducia che ricuce comunità frammentate, nella cura che restituisce dignità a chi resta indietro, nella partecipazione che rafforza la democrazia. I numeri Istat sono solo “il dito che indica la luna”: l’errore sarebbe limitarsi a contare le transazioni e non valutare il patrimonio relazionale e generativo che il settore produce.

Se avremo il coraggio di riconoscerlo come istituzione generativa, allora quei 93 miliardi saranno solo la punta dell’iceberg di una ricchezza molto più grande: quella che rende la società italiana più giusta, resiliente e vivibile.

Foto di Markus Spiske su Unsplash

Vuoi accedere all'archivio di VITA?

Con un abbonamento annuale potrai sfogliare più di 50 numeri del nostro magazine, da gennaio 2020 ad oggi: ogni numero una storia sempre attuale. Oltre a tutti i contenuti extra come le newsletter tematiche, i podcast, le infografiche e gli approfondimenti.


La rivista dell’innovazione sociale.

Abbònati a VITA per leggere il magazine e accedere a contenuti
e funzionalità esclusive