Idee Attivismo
Il volontariato per la pace ha bisogno di scelte radicali, altrimenti diventa complice
Se il volontariato non sceglie con coraggio la strada della nonviolenza attiva, del dialogo a oltranza, della denuncia delle ingiustizie, rischia di diventare una forma di schizofrenia pericolosa. E invece la solidarietà, quando è autentica e coraggiosa, può diventare un potente strumento di pressione politica e di risveglio delle coscienze
L’eco di una canzone, “Mamma tedesca” di Carmen Consoli, risuona potente e terribilmente attuale, costringendoci a guardare in faccia una verità ineludibile: la guerra è una merda. Un giovane soldato, il poeta Ignazio Buttitta a cui la Consoli dà voce, scrive alla madre di un ragazzo tedesco che ha ucciso. Non c’è eroismo, non c’è gloria, solo il peso insopportabile di una vita spezzata e il riflesso del proprio dolore negli occhi di una madre sconosciuta, unita a lui da un lutto insensato. Quella lettera struggente è un monito che attraversa i decenni e ci interroga oggi, mentre il mondo brucia di conflitti dimenticati e guerre che riempiono le cronache di orrore.
Basta guardare alle migliaia di morti a Gaza, una ferita aperta dove la popolazione civile è intrappolata in un incubo di bombe, fame e disperazione. Le immagini dei bambini, vittime innocenti di una violenza cieca, sono un pugno nello stomaco che non può lasciare indifferenti. E poi l’Ucraina, con le sue città martoriate e una popolazione costretta alla fuga, e tutte le altre guerre, grandi e piccole, silenziose ma non per questo meno devastanti, che insanguinano il pianeta.
In questo scenario desolante, c’è chi cerca di accendere una luce, di rompere il muro dell’indifferenza. La Freedom Flotilla, con il suo carico di aiuti umanitari e la sua rotta ostinata verso Gaza, è stata criticata, definita un’azione inutile, persino pericolosa per i delicati equilibri della pace. Ma come si può parlare di inutilità di fronte a un’azione che, sfidando i blocchi e le minacce, ha costretto il mondo a parlare di pace?
La Flotilla non è stata solo una spedizione di aiuti, è stata una grande oasi nel deserto dell’inazione. Un’azione coraggiosa che ha gridato al mondo l’urgenza di non voltarsi dall’altra parte, di non accettare come ineluttabile la sofferenza di un popolo. Ha dimostrato che la solidarietà, quando è autentica e coraggiosa, può diventare un potente strumento di pressione politica e di risveglio delle coscienze.
Oggi abbiamo un disperato bisogno di queste oasi di coraggio. E qui entra in gioco il ruolo fondamentale del volontariato. Chi, come me, si dedica al volontariato, sa quanto sia importante l’impegno per gli altri. Ma di fronte all’orrore della guerra, non possiamo accontentarci di un volontariato che si limita a gestire l’emergenza, a curare le ferite senza interrogarsi sulle cause.
Se il volontariato non diventa esso stesso un’oasi di pace, se non sceglie con coraggio la strada della nonviolenza attiva, del dialogo a oltranza, della denuncia delle ingiustizie, rischia di diventare una forma di schizofrenia pericolosa. Da un lato si cerca di alleviare le sofferenze, dall’altro si tace di fronte alle logiche di potere e di violenza che le generano. Si rischia di diventare complici silenziosi di un sistema che produce morte e distruzione.
Essere volontari per la pace oggi significa non solo portare un aiuto concreto, ma anche avere il coraggio di schierarsi, di fare scelte radicali. Significa educare alla pace, promuovere la cultura del dialogo e del rispetto, fare pressione sui governi perché abbandonino la via delle armi e intraprendano quella della diplomazia e della cooperazione.
La lezione di “Mamma tedesca” è tutta qui: nella guerra non ci sono vincitori, ma solo vinti. Madri che piangono figli, giovani le cui vite vengono sacrificate sull’altare di interessi che non gli appartengono. Di fronte a questo, non possiamo più permetterci di essere tiepidi. C’è bisogno di un sussulto, di un’azione coraggiosa, individuale e collettiva. Che si tratti di una nave che solca il mare per rompere un assedio o di un’associazione che lavora in un quartiere difficile, la direzione deve essere la stessa: costruire oasi di pace, ovunque e con ogni mezzo necessario. Perché, semplicemente, la guerra è una merda. E non c’è più tempo per girarci intorno.
Foto: Acli/Marcia della Pace 2025
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