Idee Diritti
L’inaccessibile aiuto al disabile viaggiatore
«Abbiamo già avuto altri clienti portatori di disabilità. C’è solo un gradino per accedere alla sala ristorante, ma aiutiamo noi». Quante volte le persone con disabilità si sono sentire offrire un aiuto in questo modo. Ma il problema è proprio lì: perché quell'aiuto è il paravento dell'inaccessibilità
«Buongiorno, vorrei sapere la disponibilità di una camera per i giorni X. Avrei bisogno di una stanza accessibile perché mi muovo in carrozzina e viaggio con mia moglie. Il vostro hotel è accessibile?».
«Certo, guardo subito… ma lei rimane sempre seduto? Non si alza mai? Sa, il nostro hotel è accessibile per persone come lei. Abbiamo già avuto altri clienti portatori di disabilità. C’è solo un gradino per accedere alla sala ristorante, ma aiutiamo noi».
Ecco, la scena è servita.
Una delle tante conversazioni che ogni viaggiatore con disabilità conosce bene: cortesia apparente, ma nessuna reale consapevolezza. E quel “aiutiamo noi” che diventa la formula magica dietro cui si nasconde l’assenza di accessibilità.
Il problema non è solo il gradino, ma l’approccio culturale.
Per molti operatori turistici e commerciali un piccolo dislivello “non è nulla”, per altri basta scrivere “accessibile” sul sito per sentirsi a posto.
Ma la verità è che un’informazione sbagliata o incompleta può trasformare una vacanza o un acquisto in un ostacolo insormontabile.
Basterebbe poco: dichiarare in modo trasparente, oggettivo e verificabile le caratteristiche della struttura — presenza di gradini, larghezza delle porte, tipo di ascensore, allestimento del bagno. Sono dettagli tecnici, ma rappresentano il confine tra autonomia e dipendenza, tra accoglienza e esclusione.
Accanto a questo serve formazione, tanta formazione: su come accogliere, come comunicare, che linguaggio usare. Perché anche le parole possono ferire: “portatore di disabilità”, “poverino”, “non si alza mai” sono espressioni che rivelano una mentalità pietistica, non professionale.
E un turismo pietista non è mai un turismo di qualità.
Quando chiudere diventa progresso etico
C’è chi si indigna quando un piccolo negozio, un bar o un ristorante chiudono.
Ma io dico: ben venga la chiusura di chi, pur potendo rendere accessibile la propria attività con una semplice rampa da 50 euro, non lo fa.
Perché quell’imprenditore, per anni, ha detto di no a centinaia di clienti potenziali — persone in carrozzina, anziani, genitori con passeggini — senza mai porsi la domanda più semplice: “Cosa potrei fare per accoglierli?”.
E se non si è posti quella domanda, non si è veri imprenditori, ma solo gestori di muri. Questo è il progresso etico: una società che non premia più chi esclude, ma chi accoglie. Chi chiude perché non si è adeguato, chi ha sempre pensato “tanto vengono lo stesso”, chi si è nascosto dietro “è solo un gradino” o “li aiutiamo noi”, semplicemente paga il conto della propria miopia.
E spesso, guarda caso, sono proprio questi operatori a lamentarsi di tutto: la crisi, le tasse, l’energia, la concorrenza. Ma quasi mai della mancanza di accoglienza. Eppure è lì che hanno perso clienti, fiducia e credibilità.
Accessibilità come economia
Essere accessibili non è solo una questione morale, ma una scelta economica intelligente. Perché ogni persona con disabilità che trova un luogo accogliente non viaggia da sola: viaggia con la famiglia, con gli amici, con chi si fida del suo giudizio. Ogni struttura realmente accessibile guadagna clienti fedeli e soddisfatti, non per obbligo ma per riconoscenza.
Il turismo accessibile non è un segmento di nicchia: è il turismo del futuro, perché la società invecchia, perché aumentano le esigenze di mobilità ridotta, perché la qualità dell’accoglienza sarà presto la vera misura del successo.
Il turismo italiano, fatto in gran parte di piccole e medie imprese, riflette il nostro Paese: bello, creativo, accogliente, ma ancora troppo spesso cieco di fronte ai propri limiti. Eppure, proprio dal turismo può partire una rivoluzione: un cambiamento che obblighi tutti — albergatori, commercianti, amministrazioni — a misurarsi con il diritto di ogni persona di vivere e viaggiare senza barriere. Perché i primi turisti di una città sono i suoi cittadini.
E una città che accoglie chi la abita sarà anche una città capace di accogliere chi la visita.
Foto di Ernst-Günther Krause (NID) su Unsplash
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