Idee Fra burocrazia e politica

Perché rendere difficile il lavoro di Terzo settore, scuola e università nelle carceri italiane?

Da luglio un crescendo di circolari del Dap sta complicando burocraticamente la vita alle realtà sociali impegnate nei trattamenti, ossia nelle attività volte al recupero dei detenuti, come la Costituzione prevede. Nei giorni scorsi, un'irrealistica centralizzazione su Roma di tutte le autorizzazioni, mette a rischio tutte le iniziative. Un intervento del fondatore della Cooperativa Giotto di Padova

di Nicola Boscoletto

Faccio fatica a commentare le circolari emanate in questi ultimi mesi dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – Dap (l’ultima del 21 ottobre 2025 a firma Ernesto Napolillo, responsabile della Direzione generale Detenuti in trattamento) in merito alle attività trattamentali svolte per la quasi totalità dal Terzo settore, dalle Università e dalle scuole. Si tratta, in buona sostanza, di un provvedimento che centralizza sul Dap l’autorizzazione di tutte queste attività per la quasi totalità delle carceri italiane, svuotando dei loro compiti direzioni degli istituti, provveditorati e magistratura di sorveglianza. Pensiamo che, mediamente, ogni giorno, negli istituti penitenziari si svolge un’attività: ne deriverà, inevitabilmente, il rallentamento, se non il blocco, di molte attività.

Faccio fatica a commentarle perché faccio fatica a capirle e a capirne il senso e il fondamento giuridico. Concentrarsi sulle poche cose che funzionano, che hanno sempre funzionato e che aiutano a rendere un pochino più umano il carcere e la vita delle persone detenute, credo non sia la scelta giusta, soprattutto perché ancora una volta calata dall’alto senza alcun approfondimento e confronto.  

Nicola Boscoletto con Riccardo Bonacina

Credo che la poca conoscenza di un sistema a dir poco complesso (anche per chi ci lavora da decenni) e timori infondati possano essere la causa di decisioni frettolose che causeranno grossi danni, e non in primis a chi porta avanti in Italia una miriade di iniziative, ma alle persone detenute oltre che soprattutto a tutto il personale dell’amministrazione penitenziaria, in testa i direttori, gli agenti e gli educatoti, il personale sanitario e delle scuole che si trovano tutti i giorni in trincea. Non è da trascurare la ricaduta negativa su tutta la società civile in ordine a sicurezza sociale e aggravio della spesa (credo che la recidiva reale ormai superi il 90%, ma qui credo dovrebbe intervenire la Corte dei conti a tutela dei cittadini).

Se qualcosa funziona in carcere
è grazie al Terzo settore

Se oggi nelle carceri qualcosa funziona sono proprio le iniziative del Terzo Settore e della società civile che riempiono vuoti e carenze strutturali che si sono creati in questi decenni. Nessuno può dire io non c’entro.

Quando dico questo spero che nessuno si offenda e si senta chiamato in causa anche perché lo siamo tutti. Chi oggi si ritrova a gestire il sistema penitenziario italiano si deve considerare un curatore fallimentare, non si deve sentire da una parte il colpevole né pensare dall’altra di avere la bacchetta magica. Si può diventare colpevoli solo se “si fa finta di conoscere” e non si collabora. Invece occorre confrontarsi in maniera sincera e trasparente con tutti i soggetti a vario titolo coinvolti. C’è bisogno di ascoltare tutti (non solo i propri “tifosi”, lo Stato non è una squadra di calcio ed il welfare non è uno scudetto di una “società calcistica” ma di tutta la società), cercando soluzioni a problemi a cui non basteranno alcuni decenni per invertire e migliorare un pochino il sistema penitenziario. La non collaborazione può solo inevitabilmente peggiorare la situazione e allontanare sempre di più le soluzioni tese a migliorare le condizioni delle carceri o meglio la dignità delle persone detenute, perché della vita delle persone stiamo parlando. Si invoca spesso il concetto di trasparenza, ma mi chiedo: come si può chiedere trasparenza se non si è serenamente e sinceramente trasparenti e non si lavora assieme?

Il Codice del Terzo settore inapplicato. Arbitrariamente

Il Codice del Terzo settore, che nulla ha a che fare con il codice degli appalti, è arbitrariamente non applicato. Lo strumento dell’amministrazione condivisa, della coprogrammazione e della coprogettazione, oggetto tra l’altro di sentenze della Corte costituzionale, vengono trattati come leggi di serie “Z”, quando addirittura non applicate.

Il mio caro papà mi ripeteva spesso “male non fare paura non avere, devi poter camminare per strada sempre a testa alta. Non sarà facile ma è l’unico modo per poter al mattino guardarsi allo specchio senza vergognarsi”. 

La domanda che mi sorge è: ma stiamo veramente, pur nella diversità di pensiero, compiti e responsabilità, tutti lavorando per una applicazione corretta e coerente della nostra Costituzione?

Nicola Boscoletto, fondatore Cooperativa Giotto

La domanda che mi sorge è: ma stiamo veramente, pur nella diversità di pensiero, compiti e responsabilità, tutti lavorando per una applicazione corretta e coerente della nostra Costituzione? E non penso solo al più conosciuto e straripetuto art. 27. Ripeto quanto ho detto alcuni giorni fa: ciò che più in assoluto mi addolora è constatare che non ci si ascolta, non ci si guarda, non ci si tende la mano, non si affronta insieme un problema che riguarda tutti, … la cosa più triste è che ogni episodio, ogni circostanza viene usata per rafforzare la propria parte (i propri tifosi, ultras compresi), modalità che non fa altro che incentivare e incrementare l’odio e la contrapposizione … a mancare non è principalmente il personale ma soprattutto la qualità, la motivazione, il senso e la responsabilità, diciamolo senza vergognarci: un po’ di amore … per un vero cambiamento è essenziale una collaborazione sincera tra tutti gli operatori coinvolti nel sistema carcerario. Serve un cambio di mentalità, dove l’ascolto reciproco, la condivisione e la valorizzazione delle competenze siano al centro. 

Il carcere non sia una discarica umana

“Non ci si salva da soli, bisogna costruire ponti, non muri, bisogna essere generatori di processi e non occupare semplicemente spazi” (Papa Francesco). La dignità di una persona non dipende dal ruolo o dallo stipendio, tutti possono e devono contribuire al cambiamento. Tutti sono preziosi.  Ciò che serve è un po’ più di amore per il proprio lavoro, per le varie figure che operano e per le persone detenute … il messaggio del giovane don Bosco, che non mi stancherò mai di ricordare fino allo sfinimento, rimane un faro: prendersi “amorevole cura“ di chi ci viene affidato, soprattutto di chi ha bisogno di essere accompagnato in un percorso di reinserimento, integrazione e responsabilizzazione. Il carcere deve essere un luogo di cura e di recupero, non una discarica umana né un’istituzione vuota e chiusa, punitiva, violenta e perciò disumanizzante. Questo don Bosco lo testimoniava con la sua vita, (non a parole) ai suoi direttori, educatori, operatori e responsabili”.

Occorre che tutti i soggetti siano coinvolti, occorre parlarsi e confrontarsi serenamente per capire se le decisioni che si vanno a prendere aiutano o creano più difficoltà. Tutte le decisioni che ognuno di noi prende, tutte le attività che ognuno di noi con grande fatica e sacrifici cerca di fare sono tutte dei tentativi ironici, siamo tutti consapevoli che la soluzione perfetta non la possiede nessuno. Ogni volta che prendiamo una decisione scontentiamo qualcuno. Tutti abbiamo bisogno di tutti, soprattutto quando si parla di un bene che poco o tanto riguarda tutti, dobbiamo servire e non servirsene.

Ritirate quelle circolari, sarebbe segno di spessore umano e professionale

Dialoghiamo, ascoltiamoci, confrontiamoci e costruiamo pezzi di bene con grande disinteresse, cioè con nel cuore il solo desiderio di lasciare ai nostri figli, alle nuove generazioni un po’ più di speranza e un po’ meno di macerie. Questa è la vera responsabilità a cui tutti prima o poi dovremmo rendere conto a qualcuno. Concludo con un appello chiedendo di ritirare le circolari di questi ultimi mesi che riguardano il trattamento e di avviare un lavoro di confronto condiviso. Cambiare idea o semplicemente sospendere un giudizio, una decisione non è un segno di debolezza anzi è un segno di un grande spessore umano e professionale. Il grande Albert Einstein diceva: La misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario”.

Riteneva che cambiare idea fosse un segno di intelligenza, e che la follia consistesse nel continuare a fare le stesse cose sperando in risultati diversi. Sottolineava come il cambiamento sia necessario per il progresso e la creatività, spesso nascendo dalla crisi.

Nella foto di apertura, di Giacomo Longo per LaPresse, l’ingresso del carcere di Torino.

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