Idee Società

Se i diritti dei fragili diventano inesigibili

Le storie di Pietro, Carlotta e Naomi rivelano come lo sguardo delle istituzioni sulle persone in difficoltà può fare la differenza. Nel male (soprattutto), ma anche nel bene

di Fabrizio Floris

Pietro ha dovuto lasciare la sua casa da quando ha iniziato a credere che i vicini lo spiavano. Poi la depressione, l’età, la malattia lo hanno portato a vivere sempre più nell’immobilità finché una banda di ragazzi lo ha picchiato e derubato, così lo hanno scoperto i servizi. Adesso sta su una panchina di fronte al Comune dopo che ha saputo che non esistono nel territorio politiche pubbliche per chi è senza casa. Con un volontario si rivolge al Comune vicino dove c’è una struttura di ospitalità notturna, ma non può entrare se non è residente nel Comune, va quindi all’anagrafe per la residenza, «si può fare», scopre che per accedere al dormitorio deve essere residente in quella città da almeno 6 mesi: «Quindi dormo fuori sei mesi e poi mi ospitate per un mese?».

Carlotta vive in una comunità da quando è stata abbandonata dai genitori soffre di anoressia, attacchi di panico, ansia e quando il dolore “sale” si taglia con qualsiasi cosa trova in giro: pezzi di vetro, lamette, coltelli, plastica e fili di rame. Viene inserita in una famiglia perché si ritiene che un ambiente affettivo possa calmare la sua sofferenza interiore, ma i genitori affidatari si rendono conto che ha comunque necessità di un supporto psicologico si rivolgono al centro sanitario presentando la situazione: «si va bene, ma il personale è troppo impegnato possiamo riceverla una volta al mese, dovete trovare un supporto privatamente».

Naomi è una studentessa keniana arrivata in Italia con un visto di studio entusiasta per la prospettiva di una borsa di studio “garantita”. Inizia le pratiche per il visto ad agosto 2024 e arriva a giugno 2025 a quel punto niente borsa di studio, per l’iscrizione deve pagare tutte le tasse dell’anno accademico trascorso altrimenti non si può iscrivere, ma senza iscrizione non può avere permesso di soggiorno per motivi di studio. Si rivolge ad un Caf per fare l’Isee perché pensa che «se ho reddito zero ci sarà una riduzione sulle tasse». Scopre che il codice fiscale che le ha dato l’università non esiste nella banca dati dell’Agenzia delle Entrate, prenota un appuntamento presso Agenzia delle Entrate, ma le spiegano che il codice fiscale vero le viene dato al momento del rilascio del permesso di soggiorno (indicativamente dopo 8/10 mesi). Quindi niente codice fiscale, niente iscrizione, nessun permesso. 

Un avvocato le spiega che nei suoi confronti c’è una violazione e dovrebbe fare ricorso al Tar anche a Pietro dicono di contattare un legale, ma «secondo te sono in mezzo ad un strada e mi metto pure a fare causa al Comune?». Carlotta ha 13 anni e tutto questo ancora non lo sa, ma nella nostra Italia c’è un problema di esigibilità dei diritti che sembra grande come un amore impossibile, ma è forte come una morte promessa.

Dopo un anno Pietro dorme ancora fuori, Carlotta è stata ricoverata in un reparto psichiatrico, Naomi ha ottenuto un permesso di soggiorno di sei mesi grazie alla buona volontà di diverse persone e alla sensibilità istituzionale. Se si ha voglia di guardare le cose da sei lati, non c’è altro finale che si addica: le persone possono sempre fare la differenza (ma le istituzioni di più).

Ps: i nomi delle persone citate in questo articolo sono di fantasia, le loro storie invece sono reali.

Foto di Sunrise su Unsplash

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