Politiche abitative
Il futuro dell’housing sociale: «Non bastano i Piani Casa, serve una finanza paziente»
Pierpaolo Forello è presidente della più grande cooperativa di abitanti d’Italia, unica a Doha per il Summit mondiale delle cooperative, disegna gli scenari dell'edilizia solidale: «Il nostro modello è replicabile, ma serve chi copra i costi che ci permettono di tenere un affitto calmierato alla metà del prezzo di mercato»
Dialogo con le istituzioni e una «finanza paziente». Sono questi i presupposti per rendere l’housing sociale e solidale, in particolare nella forma delle cooperative di abitazione a proprietà indivisa, una risposta strutturale al problema della casa che rimbalza da Milano a Bologna e da Barcellona a New York, senza risparmiare i centri più piccoli. A dirlo è Pierpaolo Forello, presidente di UniAbita, la più grande cooperativa di abitanti d’Italia, che in questi giorni si trova a Doha per il Summit mondiale delle cooperative organizzato dall’Onu.
In Qatar, UniAbita è l’unica cooperativa di abitanti italiana e, con il Consorzio nazionale servizi (il più grande consorzio cooperativo italiano), e Insieme Salute, (la principale mutua italiana nel campo della sanità integrativa), rappresenta la delegazione nazionale che aderisce al CM50 (Cooperatives and mutuals leadership circle, il network globale di cooperative e mutue lanciato ufficialmente in occasione del Summit). Per l’ente abitativo di Cinisello Balsamo si tratta del riconoscimento di un impegno pluridecennale capace di generare valore per la comunità. Il modello delle cooperative di abitanti a proprietà indivisa (cioè in cui il socio non è proprietario della casa, che rimane sempre alla cooperativa) è più che centenario – UniAbita, per esempio è stata fondata 122 anni fa – e si basa sulla costruzione di caseggiati destinato all’affitto calmierato per i soci. «La caratteristica della nostra offerta – spiega a VITA Forello – è che il canone è di 70 euro al metro quadro all’anno, più o meno il 50% più basso rispetto al mercato, e soprattutto il contratto vale tutta la vita, per cui il canone non cresce: chi è diventato socio 50 anni fa mantiene il proprio, anche se chi diventa socio oggi ce l’ha più alto».

Oggi, UniAbita conta circa tremila alloggi in una quarantina di caseggiati sparpagliati tra Cinisello Balsamo, Sesto San Giovanni, Milano e Monza. «Stiamo facendo un grande lavoro per fare conoscere il nostro modello, che funziona ed è replicabile e che può essere sia una risposta sia al problema di dare una casa alle persone, sia uno strumento di calmierazione dei prezzi nell’area circostante», sottolinea Forello. Per ampliare l’offerta, però, servono più caseggiati ed è qui che interviene il dialogo con le istituzioni. «Innanzitutto, quello che chiediamo alle amministrazioni è di ragionare, sul problema della casa, in ottica di città metropolitana, perché l’idea di venire a vivere a Cinisello Balsamo non può essere assurda, ma credibile. È un tema culturale, ma anche politico», sostiene Forello.
In secondo luogo c’è un tema di carattere «etico», spiega il presidente di UniAbita. «A livello teorico, le cooperative di abitanti non hanno problemi di conti a costruire le case. Per rientrare dei costi, però, dovremmo metterle in affitto con prezzi in linea col mercato, ma siccome il nostro obiettivo è offrire un canone calmierato serve coprire il differenziale che si viene a creare. E noi, questa forza non ce l’abbiamo». È qui che possono intervenire il settore pubblico e privato. Un esempio è il Piano Casa presentato a suo tempo dal Comune di Milano, che aveva previsto per l’housing sociale l’affido in usufrutto del terreno su cui edificare. «In questo modo si abbattono molti costi, dall’acquisto dell’area alla bonifica, ma il rischio è comunque di dover presentare un canone più alto rispetto ai 70, 80 o 90 euro al metro quadro che vogliamo mantenere». Siccome reperire risorse a fondo perduto è difficile, una soluzione potrebbe essere l’intervento di una «finanza “paziente”», spiega Forello. «Se mettessimo un alloggio in affitto a 200 euro al metro quadro con un tasso al 3 o 4%, ripagheremmo la banca in dieci anni. Noi, però, facciamo una scelta etica e quindi c’è bisogno di un finanziatore che accetti di rientrare in 30 o 40 anni dal suo prestito e con un interesse un po’ più basso».
Questo richiamo a una finanza etica è insito anche nella mission di CM50. Il suo obiettivo, illustra Forello, è duplice: «Da un lato, è uno strumento che serve per scambiare buone pratiche. Per esempio, qui a Doha ho parlato moltissimo con cooperative ucraine, perché lì si pensa alla cooperazione abitativa come modello di ricostruzione per diverse aree del Paese. Dall’altro lato, invece, è uno strumento che serve per dire che esiste un pezzo di economia civile che trasmette il messaggio che si può fare impresa in maniera diversa, cioè senza mettere il profitto al primo posto».
Il Summit mondiale della cooperazione di Doha, svoltosi dal 3 al 4 novembre, ha preceduto il secondo Summit mondiale per lo sviluppo sociale, organizzato dal 4 al 6 dalle Nazioni unite sempre nella capitale qatariota. Qui verrà adottata formalmente la Dichiarazione politica approvata dall’Assemblea generale Onu il 9 settembre scorso e in cui viene citato l’impegno a «sostenere l’imprenditorialità creando un ambiente favorevole, in particolare per le donne, le persone con disabilità, gli anziani e i giovani, sostenendo le micro, piccole e medie imprese, le cooperative, nonché l’economia sociale e solidale». Un’attenzione alla comunità che UniAbita prova a replicare nel proprio piccolo. Tutti i caseggiati, infatti, hanno sale e spazi comuni a usufrutto degli inquilini. «La nostra idea è che la casa non finisce quando inizia il pianerottolo», dice Forello. «Vogliamo rivitalizzare dei processi di partecipazione e condivisione, ma devo dire che in praticamente tutti i nostri caseggiati è tradizione un brindisi in occasione delle feste in arrivo, cosa che spesso non accade negli altri condomini».
In apertura: alcuni caseggiati costruiti da UniAbita a Cinisello Balsamo (via UniAbita)
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