Disuguaglianze
Il paradosso della Lombardia: crescono i redditi, aumentano le vulnerabilità
Il nuovo rapporto Over promosso da Acli conferma il trend rilevato anche a livello nazionale: salgono i salari, ma diminuisce il potere d'acquisto. Risultato? Crescono le diseguaglianze economiche: il 20% dei contribuenti più ricchi guadagna sei volte di più del 20% meno abbiente
Anche in Lombardia crescono i redditi nominali ma cala il potere d’acquisto. È quanto emerge dal terzo rapporto dell’Osservatorio vulnerabilità e resistenza – Over promosso da Acli Lombardia e Istituto per la Ricerca Sociale -Irs, in collaborazione con Associazione per la ricerca sociale – Ars e con il sostegno delle Società fiscali caf Acli della Lombardia e con Fap Lombardia.
Un trend negativo
Lo studio, ha analizzato i dichiarativi fiscali presentati dal 2020 al 2024 (e quindi afferenti al quinquennio 2019-2023) da oltre 455mila contribuenti. «Purtroppo si tratta di un rapporto di conferma di una situazione di declino pesante e di un progressivo scivolamento verso la vulnerabilità», soprattutto delle fasce di popolazione più a basso reddito, il commento di Martino Troncatti, presidente di Acli Lombardia. Nel periodo analizzato, i redditi nominali dichiarati tramite il modello 730 sono cresciuti dell’8%, sfiorando i 30 mila euro. I redditi equivalente a valore costante, cioè quelli che permettono di calcolare il potere d’acquisto, sono calati del 5%, attestandosi sui 26.250 euro. Un altro esempio dell’aumento della vulnerabilità è nel numero di chi rinuncia alle cure perché non può permettersele: un fenomeno che interessa il 13% dei contribuenti che si appoggiano su Acli, cioè circa 60 mila persone. Considerando tutti i modelli 730 presentati in Lombardia, non solo tramite Acli, mantenendo la proporzione si tratterebbe di circa 250 mila persone.

Per quanto riguarda le abitudini di spesa, se la percentuale di persone che dichiara di spendere per immobili, servizi sanitari, istruzione, assicurazioni ed erogazioni liberali rimane pressoché invariata, Over mette in luce come ad aumentare sia il volume della spesa, dettato in particolare dall’aumento dei costi di beni e servizi a causa dell’inflazione. A farne le spese sono i contribuenti economicamente più fragili. Per esempio, per il 20% «più povero» la spesa per la casa (mutuo o affitto) assorbe il 15,3% del reddito, mentre per il 20% «più ricco» appena il 3,2%. La forbice sociale evidenziata dal rapporto, del resto, è molto ampia: dividendo il campione in cinque parti in base al reddito medio, dal più basso al più alto, si passa da 6.507 euro annui a 37.003. In altri termini, il 20% più ricco guadagna sei volte di più del 20% meno abbiente.
Lavoro, istruzione e casa: più precarietà e più costi
All’analisi quantitativa, per la prima volta Over ha affiancato un’analisi qualitativa: un questionario online compilato negli ultimi mesi da oltre 23 mila cittadini, per il 92% dei quali è stato possibile risalire all’anagrafica fiscale. L’inchiesta si è concentrata, in particolare, su tre temi: lavoro, casa e istruzione. Più del 60% degli intervistati è occupato, ma il 27,8% (poco meno di uno su tre) ha vissuto cambiamenti lavorativi nell’ultimo anno, cioè ha cambiato lavoro, ha ridotto l’orario o lo ha perso. Alla precarietà diffusa bisogna aggiungere, poi, gli oneri di cura di figli o anziani a carico, che gravano sul 36% degli intervistati, in particolare donne.
Sul fronte dell’istruzione, Over evidenzia come si tratti di un bene sempre più costoso: il 60% di chi ha un figlio a carico dichiara di aver affrontato spese maggiori nell’ultimo anno. Per molte famiglie (27%) questo si è tradotto in una riduzione o totale annullamento delle attività extrascolastiche come sport, corsi di lingua, musica e così via. Per quanto riguarda la casa, invece, l’82,6% degli intervistati è proprietario, ma il 17,4% in affitto rappresenta la quota più fragile, cioè giovani, famiglie monogenitoriali e cittadini con redditi bassi.
La risposta delle istituzioni
Per evitare un aggravarsi della situazione, servono risposte da parte delle istituzioni. «Come ente locale – ha lamentato Lamberto Bertolé, assessore alla Salute e al welfare del Comune di Milano – abbiamo una funzione di prossimità che ci dà un vantaggio nell’intercettazione di un bisogno, in una logica di prevenzione. Eppure, siamo schiacciati da un sistema nazionale su una funzione che è solo riparativa: siamo poco responsabilizzati in termini di utilizzo delle risorse economiche nella parte preventiva». Per questo, a Milano il Comune ha dato vita a un’alleanza con il terzo settore «per provare a costruire sistema welfare basato su una logica comunitaria rafforzando le reti territoriali con progetti come QuBì [azione di contrasto alla povertà minorile avviata nel 2017, ndr]».
Anche a livello regionale, ha sottolineato Simona Tironi, assessore di Regione Lombardia a Istruzione, formazione e lavoro, esistono delle misure volte a limitare la vulnerabilità e stimolare la resilienza delle fasce più fragili della popolazione. Per esempio, Lombardia per le donne, un voucher per pagare l’assunzione di un babysitter o un caregiver assegnato a lavoratrici con a carico minori, anziani o persone con disabilità, altrimenti costrette (più degli uomini) a lasciare o ridurre il lavoro.
Si tratta sempre, ha però aggiunto Bertolé, di misure di tamponamento che aiutano le persone man mano che perdono potere d’acquisto, ma il modello non è scalabile. «Il problema sono i salari che non aumentano, ma su quelli solo a livello nazionale si può intervenire».
In apertura: foto via Pixabay
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