Movimenti
In corteo per Gaza: nell’Italia che si ferma c’è voglia di attivazione
Esserci, per dare un segnale. Per dire da che parte si sta, per rendere visibile un disagio, perché è la prima occasione vera per far sentire la propria voce al di là dell'impotenza che tutti avvertiamo. Nel giorno dello sciopero, ecco il racconto delle manifestazioni per Gaza, con le immagini e le motivazioni dei partecipanti, da sette città d'Italia
di Redazione
Esserci, per dare un segnale. Per dire da che parte si sta: che sia con il proprio corpo in piazza o aggiungendo un numero alla conta delle statistiche. Per rendere visibile un disagio che da mesi serpeggia. Perché è la prima occasione vera per far sentire la propria voce al di là dell’impotenza che tutti avvertiamo fortissima. «Sappiamo che non si ferma il genocidio con una manifestazione, ma abbiamo voluto esserci perché sentivamo di doverlo fare» è il concetto che ritorna. “Blocchiamo tutto” era lo slogan dello sciopero generale per Gaza convocato per la giornata di oggi. Ecco il racconto, le immagini e le motivazioni dei partecipanti, da sette città d’Italia.
Qui Napoli. Il silenzio uccide, la nostra voce resiste

«Oggi sono in piazza e sto scioperando per solidarietà con il popolo palestinese e contro il genocidio. Un genocidio che poteva e doveva essere impedito e non solo non è stato fermato, ma è stato reso possibile dal silenzio, dall’appoggio, dall’indifferenza di molti Stati», afferma Andrea Morniroli, socio e amministratore della cooperativa sociale Dedalus di Napoli nonché co-coordinatore del Forum Disuguaglianze Diversità. Morniroli è in piazza Garibaldi, a Napoli, davanti alla Stazione Centrale.
«Gaza viene rasa al suolo. L’esercito israeliano avanza su Gaza City ordinando alle persone di fuggire, senza vie di fuga reali. La devastazione diventa lo strumento, la pulizia etnica il fine. Insieme alle case e alle vite spezzate, bruciano anche i principi del diritto internazionale, la promessa del “mai più”, l’illusione che la modernità avesse fornito strumenti per fermare simili atrocità».
E poi aggiunge: «Ma oggi sono in piazza anche come antifasciasta e per difendere i valori della mia Costituzione. Chi ci accusa di antisemitismo è falso e ipocrita. Lo dice perché non può giustificare il massacro di uomini, donne, bambini e bambine. Non può giustificare che un esercito faccia la guerra contro un popolo. La solidarietà non è un atto simbolico, ma un dovere. Il silenzio uccide. La nostra voce resiste». (A.S.)
Qui Milano. In piazza per far sentire il nostro dolore

A Milano il corteo avanza sotto il diluvio. «C’è tantissima gente, moltissimi studenti, tanti genitori con i bambini. È stato bello incontrare anche alcune delle “famiglie Ciai” e un nostro figlio grande»: Francesca Silva, direttrice operativa di Ciai, è in manifestazione a Milano. Insieme a lei ci sono una ventina di uomini e donne del Ciai, altri stanno sfilando nei cortei di Cagliari, Padova, Palermo.
L’home page del sito del Ciai si apre in nero, bianco e verde: «Oggi, 22 settembre, come ogni giorno, il nostro pensiero è con i bambini e le bambine di Gaza, perché per noi ogni bambino è come un figlio. Le donne e gli uomini di Ciai aderiscono allo sciopero generale per Gaza». Ovviamente l’adesione allo sciopero è individuale, ma il Ciai ha deciso aderire come organizzazione alla manifestazione: «Sentiamo forte la necessità di far sentire la nostra voce. Tutti avvertiamo un grandissimo senso di impotenza e un modo per esserci è quello di partecipare a questi momenti. Speriamo ce ne siano altri, da costruire insieme: soprattutto insieme a chi nel Terzo settore si occupa di infanzia, in modo da fare pressione sul Governo», spiega Silva.
Il sentimento prevalente è il dolore: «Essere qui oggi è un modo per esprimere il nostro dolore, il lutto, la tristezza per le atrocità che stanno colpendo la popolazione di Gaza e in particolare le bambine e i bambini».
È scritto anche nella risposta automatica di out of office che riceve chiunque oggi scriva a Francesca e al resto del personale Ciai: «Non rimaniamo in silenzio. Non vogliamo tacere e rimanere inermi di fronte al genocidio che è in corso, allo stesso tempo il senso di impotenza è forte. Sentiamo la necessità di rispondere personalmente e anche professionalmente. Ciai aderisce allo sciopero generale di lunedì 22 settembre». (S.D.C.)
Qui Palermo. La Palestina ci sta a cuore







I clacson, oggi a Palermo, hanno suonato quel tanto che basta per dimostrare di funzionare. Lungo il percorso che, partendo dal Teatro Massimo, ha attraversato la città, a raggiungere i piani più alti dei palazzi nessun sottofondo che potesse far intendere che la città non sapesse. Un unico slogan “Palestina libera”, gridato all’unisono per tutta la durata della manifestazione promossa in concomitanza con lo sciopero generale indetto da Usb, alla cui realizzazione hanno contributo le associazioni palermitane come Our Voice, Voci nel silenzio e la Rete solidale alla Palestina: in strada hanno portato circa 20mila persone. Un serpentone che ricorda l’energia della catena umana che il 23 giugno 1992, dopo un mese dalla morte di Giovanni Falcone, ha unito migliaia di cittadini palermitani, tenutisi per mano in una sorta di grande abbraccio comune.
Anche oggi la voglia di dimostrare che l’unione fa la forza, ha animato ogni passo della manifestazione palermitana. «È la prima manifestazione a cui porto mia figlia Aurora», grida per farsi sentire tra la moltitudine di persone, Francesca, lavoratrice part time che oggi ha scioperato per affermare la sua voglia di fare la propria parte. «Sono enormemente felice che faccia tante domande. Ha solo 10 anni, ma è molto sensibile».
Palermo oggi si è fermata, come tante altre cttà d’Italia, per dare un segnale concreto di presenza e di attivismo. «La necessità è quella di essere un pungolo nei confronti delle amministrazioni comunali e regionali», afferma Jamil El Sadi, 26 anni, giovane palestinese attivista dell’associazione “Our Voice”. «Certo, il genocidio non si ferma con le manifestazioni, ma il nostro essere in piazza serve a convincere le istituzioni a fare qualcosa, per esempio a tagliare accordi commerciali, accademici, diplomatici con Israele, magari cominciando proprio con lo smettere di vendere e acquistare armi. Esprimersi e condannare il genocidio significa intanto dirlo e riconoscerlo. Ci fa sentire bene vedere tanta solidarietà anche molto concreta, come quella dei portuali che, in numerose città italiane, hanno deciso di bloccare carichi di container che partivano non certo per andare in aiuto alla Palestina. Queste azioni, però, devono essere poi supportate, accompagnate da una politica – di qualsiasi partito sia – che dia seguito al sentimento popolare solidale con il popolo palestinese che c’è nel nostro Paese, in Europa e nel mondo».
Un sentire comune che non si ferma agli slogan e che, una volta conclusa la manifestazione, passa oltre: «La Palestina ci sta a cuore più di quello che pensiamo», chiede di parlare Brigida, 14 anni. «Oggi sono venuta da sola, ma ho trovato tanta gente con la quale ho fatto amicizia. Credo che la soluzione sia difficile, io non ho gli strumenti per dire cosa fare, ma ho voglia di gridare “Palestina libera” e lo farò anche quando tornerò a casa». (testo e foto di G.S.)
Qui Torino. La rabbia di fronte al massacro

La vicinanza di Torino al popolo palestinese si era già fatta sentire sabato pomeriggio, in occasione del corteo regionale a cui hanno partecipato migliaia di persone. E anche questa mattina la città non non ha mancato l’appuntamento con una presenza ancora più forte.
Studenti universitari e insegnanti, attivisti e sindacati: è una piazza variegata quella che si muove dalle principali sedi universitarie per raggiungere il centro. Andrea Polacchi, presidente Arci Piemonte, la descrive così: «Una partecipazione che non si vedeva da anni per uno sciopero che non è generale, è generalizzato, una chiara esplosione di rabbia di fronte al massacro della popolazione civile di Gaza».
Ci sono giovani, lavoratori e lavoratrici, ma anche persone di tutte le categorie e fasce d’età, ci sono tantissime famiglie con bambini. C’è un gruppo di insegnanti che da una scuola di provincia ha raggiunto Torino: «Oggi è giusto essere qui, come insegnante e come educatrice», dice una di loro. «Abbiamo scritto sul nostro striscione “La scuola educa anche quando sta ferma”. E oggi qui in piazza siamo in tantissime e tantissimi a manifestare. Di fronte a ciò che sta avvenendo a Gaza, di fronte all’inerzia e all’ipocrisia del governo, è impossibile per noi tacere».
A pochi chilometri dal punto di ritrovo per il corteo, c’è l’Arsenale della Pace nato nel 1964 su iniziativa di Ernesto Olivero. Sulle facciate delle case, le scuole e tutti gli spazi di incontro, i volontari hanno appeso un cartello. «Esprime il nostro essere solidali con tutte le vittime dei conflitti nel mondo, con tutte le persone che stanno subendo violenze inaudite, con tutti coloro che continuano a lavorare per la pace, il rispetto, il dialogo e credono in un futuro migliore. Soprattutto con i bambini».

La presidente del Sermig, Rosanna Tabasso racconta una Torino che c’è sempre: oggi, come ogni martedì sera, da due anni a questa parte, nel cortile dell’Arsenale. «Alle 20 si spalanca il portone e chiunque può entrare e partecipare alla giornata di digiuno e di silenzio nel nostro cortile», racconta.
«È un silenzio che unifica credenti e non credenti, di ogni confessione religiosa: di fronte a un falò acceso, esprimiamo il nostro no alla violenza e alla guerra e diciamo sì alla vita, al dialogo, ai tavoli di pace». Alcuni volontari e operatori oggi prendono parte alla manifestazione, ma l’Arsenale resta aperto: «Siamo qui per dare una risposta a chi ha bisogno di aiuto. La nostra è una richiesta incessante di pace, crediamo che sia alla radice dell’essere umano». (D.C.)
Qui Roma








Piazza dei Cinquecento, a Roma, è proprio davanti alla stazione Termini. È qui che oggi si sono ritrovate centinaia di migliaia di persone, tanti giovani e giovanissimi, per esprimere il proprio supporto alla popolazione di Gaza e, contemporaneamente, alla Global Sumud Flotilla.
«Siamo in piazza perché è in corso un genocidio e questo ci riguarda. Siamo in tanti, dicono più di 300mila. Anche la scuola ha risposto con forza e questo è un segno di ciò che le persone vogliono e si aspettano: che il governo si impegni per il riconoscimento della Palestina ma anche per il disarmo», afferma Flavio Corsetti, del collettivo Liceo Russel. «L’Italia spende sempre di più in armamenti: noi chiediamo che quei soldi vadano dove davvero c’è bisogno, in particolare le scuole e la sanità».
«Siamo qui per mostrare il nostro supporto alla Palestina e anche il nostro dissenso nei confronti del Governo, che in questo momento non ci rappresenta, perché non riconosce lo Stato di Palestina, come stanno facendo altri Stati europei, ma continua a supportare Israele», aggiunge uno studente del collettivo liceo Levi Civita, che preferisce non dare il proprio nome. «Oltre a ciò, cerchiamo di dare supporto da terra agli attivisti che si trovano sulla Flotilla, in rotta verso Gaza». (testi e foto di C.L.)
Qui Trieste. Facciamo scuola attraverso l’esempio

«Siamo insegnanti della scuola secondaria di primo grado Bergamas a Trieste. Abbiamo partecipato oggi al presidio per Gaza nella nostra città perché pensiamo che la scuola si faccia anche attraverso l’esempio; insegnare non è solo trasmettere conoscenze, non è mero nozionismo, ma anche condividere valori e prendere delle posizioni»: così Giulia Canciani, Sara Kapelj e Katia Terpin
spiegano le ragioni del loro essere in piazza.
«L’indifferenza di fronte a un genocidio non è contemplabile: oltre che con le parole, vogliamo testimoniarlo con le azioni, per i nostri alunni ma anche per tutti i bambini e i ragazzi che oggi vedranno le immagini della manifestazione, chiedendosi perché tante persone siano scese in piazza. Pur nella consapevolezza che il solo effetto concreto di questo sciopero sarà un decurtamento del nostro stipendio, la nostra coscienza ci impone di essere qui: non potevamo fare altrimenti». (V.R.)
Qui Cagliari. Tiriamo su la testa



Era da tanti anni che a Cagliari non si vedevano tanti partecipanti a una manifestazione per le vie del centro cittadino, oggi paralizzato da un corteo di non meno di 20mila persone che si è snodato da piazza del Carmine sino al palazzo del Consiglio regionale, in via Roma. Giovanissimi, innanzi tutto, compresi molti adolescenti che di solito non aderiscono a certi eventi di mobilitazione. Non solo il mondo della scuola ha risposto presente all’invito lanciato dalle organizzazioni sindacali: pensionati, lavoratori della pubblica amministrazione e del settore privato (bancari, commercianti, artigiani).
«Spero che il Governo abbia finalmente il coraggio di chiamare le cose con il loro nome: a Gaza è in corso un genocidio», ha detto la presidente della Regione Sardegna, Alessandra Todde. «È un segnale molto importante la risposta che oggi sta dando la nostra Isola. Ed è altrettanto importante che tutti tiriamo su la testa e si dica che la situazione non è più sostenibile». (testo e foto di L.A.)
In apertura, la manifestazione a Roma (foto di Chiara Ludovisi)
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