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In ovovia sul Canal grande
polemiche Il pasticciaccio del ponte di Calatrava a Venezia. Inaugurazione in sordina
di Redazione

Alla fine ci ha ripensato. Niente inaugurazione in pompa magna, alla presenza di Napolitano, ma semplicemente una apertura al pubblico, in sordina, per «non dare spazio alle strumentalizzazioni e alle polemiche». Massimo Cacciari, sindaco di Venezia, rinuncia alla festa per la sua creatura, il ponte che collega la terraferma (piazzale Roma) alla stazione ferroviaria, progettato da Santiago Calatrava e costato milioni di euro, ma ancora non accessibile a tutti, disabili compresi, come prescrive la legge. Infatti non è pronta la cosiddetta “ovovia” (attualmente, a quanto pare, non ancora omologata dal ministero dei Trasporti). Questa specie di cabina, progettata dopo le proteste delle associazioni nazionali e locali dei disabili, è la soluzione di ripiego scelta dal Comune di Venezia e costata un milione e mezzo di euro. A quel che è dato sapere il marchingegno ci metterà oltre sette minuti ad attraversare il Canal Grande correndo (si fa per dire) a fianco del ponte. Sette minuti che diventano una ventina se l’ovovia deve essere richiamata dalla sponda opposta, e se si tiene conto dei tempi di imbarco e sbarco della sedia a rotelle. E sarebbe stato a dir poco divertente assistere alla sua prima “corsa” il giorno dell’inaugurazione con il classico taglio del nastro.
Spiega Alberto Arenghi, ingegnere, tetraplegico, docente all’università di Brescia: «Si è passati dalla soluzione servoscala all’ipotesi vaporetto, per arrivare all’ovovia che, presentata dall’attuale Giunta nel luglio 2005, avevo definito un accanimento tecnologico», commenta Arenghi. «In tutta questa vicenda, e parlo da ingegnere civile e persona disabile in carrozzina, non si è mai voluto capire che l’inadeguatezza del ponte stava nella sua “lacunosità progettuale”, figlia di una cultura – o meglio subcultura – progettuale che ancora oggi fa vivere il tema dell’accessibilità e della fruibilità del costruito come una noiosa appendice burocratica».
E il consigliere comunale Pino Toso, delegato alle Politiche per la disabilità, protagonista in passato delle faticose trattative per arrivare a una soluzione dignitosa, ha rassegnato le dimissioni. Che sono state accolte. Il ponte, d’altra parte, è una struttura che rischia di creare nuove disabilità: le 288 lampadine al neon posizionate sull’arco inferiore del ponte e i nove fari aggiuntivi posizionati su tre supporti laterali non garantiscono una perfetta illuminazione dell’arcata pedonale. I fari bianchi, illuminando i gradini in vetro e pietra bianca, generano infatti giochi di luce che ingannano l’occhio. Lo ammettono i tecnici comunali: «Una volta che il ponte sarà aperto al pubblico», spiega l’ingegner Salvatore Vento, «faremo ulteriori aggiustamenti. Bisognerà prima fare una casistica sui punti dove la gente è in difficoltà a transitare e quali sono i punti di maggior rischio caduta. Sarà comunque quasi impossibile eliminare completamente le situazioni di cromatismo pericoloso». Anziani, ipovedenti e distratti sono dunque avvisati, meglio prendere il vaporetto. Ma è proprio questo il punto: è logico che un’opera pubblica di enorme valore simbolico, e di costi altrettanto enormi, non sia accessibile a tutti? La risposta, ovvia, è no.
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