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Cooperazione & Relazioni internazionali

Somaliland: dopo la Tonelli, altri due morti. Annalena è finita nel mirino di Bin Laden

La regione più sicura della Somalia è diventata una no go zone per le ong. "Obiettivo facile e mediatico dei terroristi".

di Carlotta Jesi

Quattro volontari uccisi in 37 giorni. E un indiziato che fa tremare: il terrorismo di matrice islamica. Il Somaliland, la regione settentrionale della Somalia che s?è dichiarata indipendente dal resto del Paese nel 1992 e che fino a quest'estate era considerata una delle zone più tranquille del Corno d'Africa, è diventata una no go zone. Nel gergo delle Nazioni Unite, un'area ad alto rischio attentato. Ad esclusione della capitale Hargeisa: 231mila abitanti, più un centinaio di operatori umanitari e funzionari Onu, che dal 21 ottobre devono rispettare il coprifuoco e che non possono circolare in più di due persone per macchina. Perché tre persone, fanno già un commando. E perché il 21 ottobre, quando due volontari inglesi dell?ong Sos Kinderdorf International sono stati uccisi a Sheikh, si è capito che a mettere gli operatori umanitari nel mirino poteva essere il terrorismo.

Invece di qualche balordo, come pareva il 15 settembre quando è stato ucciso il volontario kenyano Oyaw Abdiwahid dell'Adventis Development Relief Agency. O di un regolamento di conti, come dicevano tutti il 5 ottobre, quando è morta Annalena Tonelli. "A Borama e Sheikh, le città in cui sono stati uccisi a distanza di sei giorni la Tonelli e i due volontari inglesi, sono state segnalate frange di estremisti islamici", spiega Efrem Fumagalli del Coopi, che opera in Somaliland dall'inizio degli anni 90 gestendo degli ospedali e che il 21 ottobre ha richiamato i suoi sei cooperanti dalle città di Boroma, Berbera e Burau ad Hargeisa con l'intenzione di spostarli a Nairobi il più presto possibile. "Contro i volontari non sono state attuate fini strategie di terrorismo, credo che a colpirli siano state cellule indipendenti tra loro".

Il movente? Secondo Giorgio Cancellieri, dell'ong Una che sta ricostruendo l'acquedotto di Hargeisa e che partecipa a un progetto di salute mentale a Berbera, nel mirino dei terroristi potrebbe esserci il governo del Somaliland "aperto all'Occidente e all'Etiopia, che è il Paese più anti integralista dell'Africa". Prova ne sia che il suo leader, Dahir Rayale Kahin, si è immediatamente lanciato a caccia degli assassini dei volontari e, il 23 ottobre, ha chiesto agli stranieri senza regolare permesso di lasciare il Paese entro 45 giorni. "L'uccisione a freddo di volontari, in Somaliland non si era mai vista", confessa il responsabile dell'Una, "potrebbe essere una conseguenza del clima politico internazionale e delle violenze contro gli operatori umanitari che si susseguono in Iraq e Afghanistan".

La pensa così anche Claudio Croce, dei Villaggi SOS Italia che aderisce a Sos Kinderdorf International. "I volontari sono un obiettivo facile e ad alto impatto mediatico per chi vuole destabilizzare il Somaliland evitando che venga riconosciuto dalla comunità internazionale", racconta Claudio da Nairobi, dove ha portato le salme di Enid e Richard Eyeington, la coppia di volontari inglesi uccisi il 21 ottobre. Claudio ha chiuso la scuola di Sheikh dove Enid e Richard sono stati uccisi richiamando tutti i suoi cooperanti in patria e nella capitale del Somaliland. Come hanno già fatto anche Save The Children e l'Onu. L'unica a non aver ancora preso posizione sull'accaduto, è l'Unione europea. Un po' perché su queste cose Bruxelles si muove sempre con ritardo rispetto all'Onu. E un po' perché, denuncia Giorgio Cancellieri, "l'Europa in Somaliland ha grandi interessi. Primo fra tutti: la ristrutturazione della strada che porta dal porto di Berbera all?Etiopia. Un appalto europeo cui partecipano aziende internazionali". L'impatto di questa emergenza sicurezza sulla popolazione del Somaliland? Difficile dirlo. Le ong che hanno evacuato il loro personale ad Argheisa raccontano che la popolazione locale era preoccupata per la loro salute. Esattamente come le organizzazioni non governative che operano in Somalia. Medici senza frontiere, è una di queste. E lamenta: "A proteggere il personale umanitario, in Somalia c'è solo una risoluzione dell?Onu di fine agosto che, purtroppo, non viene applicata".


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