Sostenibilità sociale e ambientale

Protocollo di Kyoto: l’Italia l’ha firmato ma non ci crede

Ecolex (a cura di Andrea Masullo)

di Redazione

Con la legge 120 dell?1 giugno 2002, il nostro Paese ha ratificato il Protocollo di Kyoto approvato l?11 dicembre 1997. Tutto a posto, allora? Purtroppo no. A seguito della ratifica sarebbe stato logico aspettarsi politiche coerenti con l?obiettivo di diminuzione delle emissioni dei cosiddetti ?gas serra?, politiche di incentivo e disincentivo nei comparti industriali e trasportistici, politiche tese a promuovere efficienza e risparmi energetici, politiche atte a contenere una crescente domanda di consumi, insomma a governare una domanda energetica senza permettere che questa cresca costantemente incentivata da un?offerta che rispondo solo a logiche di mercato e di profitto. Le cose sono andate e vanno, invece, in modo significativamente diverso. Il principale elemento di contraddizione è costituito dal decreto legge 7 febbraio 2002 n. 7, detto Marzano o sbloccacentrali, convertito nella legge n. 55 del 4 aprile 2002. Paventando il pericolo di interruzione di fornitura elettrica sul territorio nazionale, si dichiara come di ?pubblica utilità? la costruzione e l?esercizio degli impianti di energia elettrica superiori a 300 megawatt termici. Si prevede così una procedura semplificata che passa attraverso una autorizzazione unica rilasciata dal ministero delle Attività produttive che «sostituisce autorizzazioni, concessioni ed atti di assenso comunque denominati». Tale autorizzazione ha effetto di variante urbanistica di piani regolatori e piani portuali, supera di fatto eventuali pareri espressi dalle amministrazioni preposte, ma soprattutto innesca un processo per cui abbiamo assistito a un incredibile proliferare di proposte avanzate da privati per la costruzione di nuove centrali. Circa 700 sono state le domande avanzate e di queste circa 60 sono ritenute idonee. Stando a quanto dichiarato dal ministro Marzano, a oggi le autorizzazioni rilasciate aumenteranno la produzione energetica, una volta costruite le centrali, di circa 12mila megawatt. E il punto sta proprio in questo aumento di produzione e, conseguentemente, di emissioni. Certo si tratta di centrali ben più efficienti rispetto a quelle del passato (sono in prevalenza centrali a ciclo combinato che utilizzano gas) che aumenteranno i 76mila megawatt di potenza installata nel nostro Paese. Ma la potenza installata, come si sa, non corrisponde a quella realmente messa in rete, che è di circa 50mila megawatt e da qui l?esigenza di nuova potenza visto che quest?estate, con l’aumento dell?uso dei condizionatori, si è raggiunto un picco di 53mila megawatt di potenza consumata (si tenga presente che abbiamo un importazione di energia pari ad oltre 6mila megawatt). Come conciliare tutto questo con Kyoto? L?Agenzia nazionale per l?ambiente (Anpa) aveva commissionato uno studio all?Ipse, che è un istituto californiano sullo sviluppo sostenibile; dalle analisi risulterebbe che intervenendo sull?efficienza (cioè sul sistema di utilizzo dell?elettricità dalle industrie agli elettrodomestici di casa) si potrebbe recuperare il 47% dei consumi energetici. Alcuni considerano questa stima come esagerata o solo teorica. Proviamo a dare loro ragione e dire che il risparmio possibile è ?solo? di un terzo di quel 47%, cioè del 15% dei consumi. Si tratterebbe in questo caso di oltre 10mila megawatt, cioè di una cifra di poco inferiore alla manovra energetica autorizzata dal ministro Marzano, con la differenza che questa non produrrebbe alcun gas serra. Le nuove centrali si aggiungeranno dunque alle vecchie e, come se non bastasse, queste sono state autorizzate a emettere in atmosfera più gas di quanto la normativa non consentisse. Infatti, dopo aver aumentato da 2 a 4 gradi centigradi (a seconda delle situazioni) i limiti di temperatura degli scarichi con il decreto legge 3 luglio 2003 n. 158, il governo presenta un nuovo decreto legge (29 agosto 2003 n. 239) per la sicurezza del sistema elettrico intendendo con questo dare una risposta al rischio di blackout. In realtà il decreto (convertito in legge n. 290 del 27 ottobre 2003 che comprende anche l?aumento dei limiti degli scarichi termici) consente alle centrali elettriche, sino al dicembre 2004, di derogare alle normative sulle emissioni. Al di là di ogni considerazione sulla tutela della salute, si tratta di sostanze che contribuiscono ai gas serra e quindi il provvedimento contraddice gli impegni italiani sul Protocollo di Kyoto. Nel frattempo, in Parlamento si discute di un disegno di legge, sempre proposto dal ministro Marzano, sul riordino del settore energetico. Anche questa nuova proposta, già approvata dalla Camera e ora al Senato (AS 2421), si discosta dal protocollo di Kyoto. L?abolizione della separazione tra soggetto gestore e proprietario della rete di distribuzione nazionale, l?abolizione della carbon tax, l?individuazione di irrealistici meccanismi compensativi semplificano le procedure di autorizzazione e di valutazione di impatto ambientale per le reti di distribuzione nazionale, e sono scelte tutt?altro che funzionali alla diminuzione dei gas serra. Lo scenario che si prospetta è quello di un Paese che investe sull?uso dei combustibili fossili e tratta il tema delle fonti rinnovabili in modo poco convincente e incoerente. Ancora: sempre in Parlamento, per l?esattezza al Senato, c?è l?atto di recepimento della direttiva 2001/77/CE relativa ai rifiuti. Con quest?atto, in contrasto con la normativa comunitaria, il governo prevede l?estensione dei benefici previsti per le fonti rinnovabili per lo smaltimento dei rifiuti se questi vengono usati come fonti energetiche. Dietro l?apparente buon senso dell?incenerimento dei rifiuti con recupero energetico si nasconde un ciclo perverso. Costruire più impianti di incenerimento senza prima avere una forte raccolta differenziata significa pregiudicarla: il calore, e quindi l?energia, si produce negli inceneritori con materiali che potrebbero essere riciclati, quali ad esempio le plastiche. Ma l?energia prodotta da un chilo di plastica bruciata è meno della metà rispetto a quella che serve per produrre quello stesso chilo di plastica. Quindi, indirettamente, incenerire materiale e poi produrne di nuovo significa consumare energia, cioè produrre nuove emissioni. Abbiamo detto del comparto elettrico. Ma anche il settore trasporti incide sulle emissioni per quasi un terzo del totale dei gas serra. Diminuire questa percentuale significa investire sulle ferrovie, sul cabotaggio, e soprattutto sul trasporto metropolitano, cioè su alternative credibili all?uso dell?automobile. La cosiddetta legge obiettivo del ministro Lunardi privilegia ancora il comparto stradale e, come se non bastasse, la Finanziaria prevede incentivi al traffico merci su gomma. Che gli investimenti nelle aree metropolitane e l?applicazione dei Piani urbani del traffico stiano andando a rilento sembra non interessare a nessuno. Messe nel cassetto anche le domeniche a piedi (abolite, tranne che nelle città che decidono di organizzarle, perché considerate inutili) che almeno aumentavano la sensibilità pubblica sul problema, ormai anche le limitazioni del traffico sono viste solo come limitazioni allo sviluppo economico. Non si coglie che la vera limitazione a qualunque sviluppo, economico, sociale, della qualità della vita, del nostro futuro, è il consumo irreversibile dell?ambiente e della natura. Abbiamo sempre riconosciuto al governo di aver sostenuto a livello internazionale il Protocollo di Kyoto. Proprio per questo stupisce e dispiace che poi le politiche concrete, quelle su cui si misura la coerenza delle dichiarazioni fatte, sono così distanti dalle azioni che andrebbero poste in essere per diminuire davvero le emissioni dei gas serra.


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