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Associazioni non profit: il manuale della buona autonalisi.

È stata pubblicata la Raccomandazione dei commercialisti sui bilanci sociali del Terzo settore. Importanti perché hanno doppia valenza

di Benedetta Verrini

Perché, in quasi quattro decenni, economisti e ricercatori non hanno trovato accordo su una definizione condivisa di ?bilancio sociale?, sulla sua portata nell?ambito della rendicontazione, sui suoi limiti? è con questa suggestione che si apre la settima Raccomandazione della Commissione aziende non profit del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, pubblicata il 28 ottobre scorso. Proprio con l?obiettivo di mettere a disposizione un modello di rendicontazione sociale ad uso di tutte le realtà del non profit che ormai da anni sperimentano, in modo più o meno articolato, la stesura del bilancio sociale (o meglio, di missione), la Commissione aziende non profit ha elaborato un testo agile e di estrema chiarezza, «il primo del genere in Italia, che arriva in un momento importante di sfida per le organizzazioni non profit», spiega Angelo Maramai, direttore amministrativo di Telethon e componente della Commissione. «Da sempre legate al valore intrinseco e incontestabile della propria mission, per anni le organizzazioni hanno rischiato di avvitarsi nell?autoreferenzialità. Con la stesura di un bilancio sociale completo, in grado di mettere in luce i risultati prodotti, l?efficienza e l?efficacia dell?azione, la sua coerenza con gli scopi, è evidente che le realtà del non profit potranno proporsi sempre più all?esterno con un?immagine credibile, dialogando con il pubblico e con le istituzioni». La Commissione parte da una premessa concettuale molto importante: la rendicontazione sociale ha una doppia valenza. Da un lato, come è ovvio, può aiutare a valorizzare l?associazione nell?ambito delle politiche di comunicazione e di marketing aziendale. Dall?altro, però, impone una sorta di ?autoanalisi? e permette di aumentare la conoscenza del proprio funzionamento e di migliorare i processi gestionali e produttivi. «Il concetto portante», prosegue Maramai, «è che l?associazione non profit è produttore di utilità sociale. Trova motivo di esistenza, riconoscimento, legittimazione nella sua capacità di impegnarsi per finalità di interesse collettivo. Da ciò ne consegue che non si può parlare di rendicontazione sociale se a monte non viene individuato un sistema di gestione che identifichi gli obiettivi da perseguire, sviluppi le azioni, metta in piedi un sistema di controllo dei risultati». Non a caso, la Raccomandazione individua precise fasi in cui si articola la predisposizione del bilancio sociale: l?individuazione degli stakeholder; l?esplicitazione dei valori aziendali e della mission; la progettazione di un sistema di indicatori per la valutazione dei risultati raggiunti; i sistemi di verifica per valutare la coerenza tra i risultati raggiunti e la mission. In questo senso, il documento sottolinea chiaramente che lo scostamento tra i risultati economico-finanziari e gli obiettivi misura l?efficienza gestionale dell?associazione, ed è un aspetto di valutazione particolarmente vero e rilevante per le raccolte fondi. «Riguardo all?esplicitazione della mission», conclude Maramai, «poi è evidente che bisogna fare uno sforzo di riflessione che vada oltre l?enunciazione del ?buon fine?, come la lotta alle malattie o alla fame nel mondo, ad esempio. è necessario invece enunciare il segmento di solidarietà su cui si intende puntare e i destinatari privilegiati, oltre a identificare le azioni che si svilupperanno. Solo sulla base di questi, infatti, è possibile ragionare sulle modalità di perseguimento degli obiettivi. Sfatiamo il pregiudizio che nel non profit non è possibile trovare indicatori per valutare i risultati raggiunti».


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