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Sostenibilità sociale e ambientale

Kyoto, l’Italia emette fumi e confusione

La denuncia delle associazioni: lo scorso anno abbiamo aumentato del 12% l’emissione di sostanze clima-alteranti. Le imprese sono in ritardo. E accusano: «Mancano le regole»

di Christian Benna

Protocollo di Kyoto, chi era costui? Per otto italiani su dieci, secondo un sondaggio Doxa, l?accordo sottoscritto in Giappone nel 1997, entrato in vigore a partire dal 2005, è ancora un oggetto del tutto sconosciuto. Tra questi probabilmente anche molti imprenditori italiani che, in base alla direttiva europea sull?Emission trading, dovrebbero ridurre entro il 2012, anche attraverso lo scambio quote, del 6,5% delle attuali emissioni di gas serra nell?atmosfera (232 milioni di tonnellate di CO2 nel quadriennio 2005/ 2008). E invece quest?anno, l?Italia che produce ha sfoggiato l?ennesima maglia nera aumentando del 12% le sostanze clima-alteranti. La colpa però non è da addebitare al tessuto industriale. Anzi. All?appello manca un quadro normativo di riferimento nazionale. Un?assenza che, secondo gli operatori, avrà pesanti conseguenze sulle piccole e medie imprese perché chi sarà fuori dai parametri di Kyoto dovrà compensare i suoi ?eccessi? acquistando carbonio (circa 22 dollari a tonnellata) sul borsino europeo. Sul tavolo delle trattative emerge la disputa tra governo e associazioni di categoria dei settori coinvolti (energia, carta, vetro, cemento) sulla ripartizione delle quote da attribuirsi ai vari comparti. «Qualche segnale, seppure in notevole ritardo, incomincia a vedersi», sostiene Maria Grazia Medulla, responsabile clima e campagne internazionali di WWF Italia. «Eppure il regista di una vera e propria strategia non c?è. In Germania è in pieno sviluppo il fotovoltaico, mentre in Spagna hanno diminuito del 39% l?energia a carbone. Da noi è in corso un logorante dibattito dove il ministero dell?Ambiente è in evidente posizione subalterna a quello delle Attività produttive. E tutto ciò andrà a detrimento delle pmi, che si troveranno a dover comprare sul mercato quote di CO2, aggravando i bilanci in modo insostenibile». A questo proposito il governo è corso ai ripari istituendo un fondo presso la Banca mondiale – l?Italian Carbon Fund – dove poter acquistare ?crediti? ad un costo cinque volte inferiore rispetto al prezzo corrente. E ha imbastito un programma internazionale per sostenere uno sviluppo sostenibile nei paesi più poveri, che dovrebbe coprire il 55% del totale delle emissioni italiane. I costi comunque restano pesanti per la salute dei cittadini dello Stivale. Ed è soprattutto un?opportunità persa per l?industria. La pensa così Alberto Marinis, di Rga associati, società di consulenza socio-ambientale. «In altri paesi il protocollo viene visto come un?occasione per razionalizzare e per analizzare l?efficienza energetica dei propri processi attraverso il costo della tonnellata di CO2 nel mercato dell?Emissions trading system». E poi spiega: «Da noi, invece, per la riduzione delle emissioni si attende ancora il piano di allocazione nazionale. Tanti cercano di adeguarsi ai parametri di Kyoto trasferendo tecnologia pulita in centrali o stabilimenti all?estero. Un?opzione che va bene per le grandi multinazionali, e penso all?Eni o all?Enel che si stanno già attrezzando, ma i piccoli inevitabilmente rimarranno scottati. E se l?aria del pianeta ne beneficerà, l?inquinamento italiano continuerà a crescere». Le sigle ambientaliste imputano ad Assoelettrica, l?associazione di Confindustria delle imprese elettriche, le più forti resistenze per concedere il via libera al piano di allocazione del governo. Ma Giulio Cicoletti, analista dell?associazione di viale dell?Astronomia, respinge le accuse al mittente. «La posizione di Assoelettrica è chiara. Non intendiamo caricarci, come ci è stato proposto, di una quota superiore al 55%, che è pari al totale del rilascio di emissioni del nostro comparto. Il resto sono scelte politiche, di cui non siamo certo responsabili. Anzi, i ritardi ci stanno mettendo in notevole difficoltà». Intanto a Londra… L’ira di Blair Se il protocollo di Kyoto in Italia non se la passa bene, altrove rischia di annegare in un mare di polemiche. Il premier britannico Tony Blair, uno dei suoi più grandi sostenitori, è sceso in campo per dire che le strategie attuali che coinvolgono 140 Paesi non possono funzionare se Cina, Usa, India non vi aderiscono. La dura presa di posizione, pubblicata sull?Observer, ha incrinato ancora una volta il fronte del patto per l?ambiente, che si ritroverà litigioso come non mai a Montreal, dal 28 al 10 dicembre, per un summit sul clima.


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