Attivismo civico & Terzo settore

Santo Versace: alla Calabria doneròi miei prossimi 30 anni

confidenze Lo stilista in campo per rilanciare la sua terra

di Redazione

La copertina di un vecchio Time magazine è ancora lì sul tavolo dello studio milanese. La data è quella del 19 gennaio 2004. L’immagine è quella di Sandra Savaglio. Il titolo recita: «Così l’Europa perde le sue star della scienza». Con Santo Versace la Savaglio ha in comune la cosa più importante. «Sapete di dov’è questa ragazza?», domanda. Poi si risponde: «È calabrese, laureata a Cosenza con il rettore Giovanni Latorre. Ed è finita sul Time». Anche lui da Reggio Calabria se ne è andato tanti anni fa. Per diventare uno dei creatori di marchi più famosi al mondo. Ma il legame con la sua terra non si è mai reciso. «Per questo voglio far sapere agli amici della cooperazione sociale che anche se il primo marzo non sono potuto intervenire di persona al corteo dell’Alleanza per la Locride e la Calabria, il mio cuore batte per loro».
Vita: I calabresi di successo però generalmente sfondano lontano dalla Calabria. Come si inverte la rotta?
Santo Versace: Questo è vero fino a un certo punto. Reggio Calabria è diventata una città bellissima. Grazie, prima a Falcomatà, sindaco di centrosinistra e poi a Scoppelliti, che viene dal centrodestra, ma ha continuato l’opera di Falcomatà e oggi è il terzo sindaco più amato d’Italia. Poi c’è il caso di Orlandino Greco, primo cittadino di Castrolibero. Eletto a soli 29 anni col centrodestra, ha deciso di non venire a patti con certe logiche. Ovviamente gli hanno fatto cadere la giunta. Lui si è ripresentato con una lista civica e ha vinto al primo turno. E oggi Castrolibero è un gioiellino. Andateci.
Vita: Ha citato due politici. È un caso?
Versace: No: la politica è cruciale, ma deve avere il coraggio di cacciare certi personaggi. La candidatura per i democratici di Luigi De Sena, ex prefetto anticosche a Reggio Calabria, mi sembra vada nella direzione giusta. Ricerca del bene comune e piattaforma di carità, questo deve essere la politica.
Vita: Quale invece il ruolo della Chiesa?
Versace: È una struttura funzionante che espressamente si dichiara contro la mafia. Il suo ruolo è importantissimo. Ma non basta.
Vita: A cosa allude?
Versace: In Calabria, ma anche in Sicilia, Puglia e Campania, serve l’esercito. A esperienze come quella del Goel e della cooperazione sociale nata sotto l’ala di Bregantini serve protezione. Io dico: mandiamo in quelle quattro regioni 100mila soldati con compiti di supporto alle forze dell’ordine e di avamposto di protezione civile. In questo modo riusciremo a spegnere gli incendi ancor prima che accadano e assicureremo la sicurezza necessaria allo sviluppo del turismo.
Vita: Una sparata alla Beppe Grillo?
Versace: Io ho un altro stile, ma Beppe Grillo pone un problema reale. In lui non vedo l’antipolitica, ma la richiesta di una politica, insisto, rivolta al bene comune. In questo siamo sulla stessa lunghezza d’onda.
Vita: Ogni quanto va in Calabria?
Versace: Spessissimo, l’ultima volta ci sono stato a gennaio per l’apertura dell’anno sociale in una scuola a Lamezia Terme.
Vita: E i suoi figli?
Versace: Loro sono nati a Milano. E Francesca si sente milanese, ma se chiede ad Antonio di dov’è, risponde che è calabrese.
Vita: Qual è l’aspetto che meno le piace della sua terra?
Versace: La burocrazia. Secondo l’Unione europea all’Italia la burocrazia costa 80 miliardi di euro. Molti di questi sono sulle spalle della Calabria. Che per me rimane un posto splendido.
Vita: Ha mai pensato di tornarci?
Versace: Io ho vissuto i miei primi 30 anni in Calabria. Poi ne ho fatti 30 in giro per i cinque continenti. I miei prossimi 30, con la mia Fondazione Operation Smile, li dedicherò ai ragazzi del Sud del mondo. E il mio Sud sono la Calabria e la Sicilia in primis, e poi Campania e Puglia.
Vita: Con quali obiettivi?
Versace: Ma lo sapete che in Lombardia mancano oltre 42mila aritgiani? Ai nostri giovani abbiamo insegnato a cercare un posto, ma non a costruirsi una professionalità. Il made in italy è figlio della cultura del fare, se non sai fare le cose non produci qualità. Se si incomincia a lavorare a 21 anni, si parte con 3-4 anni di ritardo. Uno deve lavorare tutta la vita. Pensate se Michel Jordan avesso preso in mano il pallone da basket a 18 anni… Non sarebbe mai diventato il campione che è stato. Abbandonare sui banchi di scuola ragazzi che non dimostrano interesse per gli studi è come condannarli a uno stato di coma perenne. Io dico: insegnamoli un mestiere: parrucchiere, chef, elettricista e così via. E invece si continuano a disprezzare le professioni manuali. Michelangelo, Raffaello e Canova non erano ingegneri, ma degli artisti nell’uso delle mani. La cultura del lavoro è decisiva. Ma mi permetta di raccontare ai ragazzi di Calabria un’ultima cosa.
Vita: Prego?
Versace: Quando sono arrivato per la prima volta a Los Angeles, il taxista che mi aprì la portiera era uno studente della Ucla che nel tempo libero si guadagnava il suo stipendio. È da qui che bisogna ripartire. Perché come diceva mio padre, non esistono problemi, ma solo soluzioni. A patto di ispirarsi a tre parole magiche: lavorare, lavorare, lavorare.


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