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Famiglia & Minori

Legame di sangue, sfatiamo un mito

«Oggi il regime di affidamento quasi sempre si prolunga troppo, a danno innanzitutto dei bambini. Per questo va cambiata la legge». Intervista esclusiva al presidente del Senato

di Sara De Carli

Urgente. Inderogabile. Un imperativo sociale. È questo crescendo che ci ha colpiti. Le espressioni le ha usate, nei mesi recenti, il presidente del Senato, Renato Schifani. Interventi puntuali, non di generico valore assiologico. Le tecnicalities di un fisco family friendly, per dire. Ma anche la richiesta, forte, di una «riforma del sistema adozioni» che superi «il concetto che debba essere privilegiato il legame di sangue»: un’affermazione che talvolta anche i guidici che si occupano di minori faticano a fare. Non si spiegherebbe, altrimenti, il dilagante fenomeno degli affidi sine die e il fatto che in Italia, su 31mila minori fuori dalla famiglia, solo 191 sono adottabili. Ecco perché lo abbiamo cercato.

Vita: Ci ha colpito il fatto che i suoi interventi sono entrati nello specifico. Come nasce il suo interesse per questi temi?
Renato Schifani: Proprio per evitare la dimensione degli “spot”, voglio prescindere da qualsiasi cliché, come potrebbe avvenire se le dicessi che la mia sensibilità sulla famiglia nasce dal mio essere cattolico o dal mio essere uomo del meridione. In primo luogo, anche se io sento profondamente ed orgogliosamente l’una e l’altra appartenenza, ed avverto come queste radici alimentino la mia sensibilità per i temi della famiglia, so bene che, per fortuna, si tratta di valori ampiamente condivisi dalla società intera. In secondo luogo, io intervengo su questi temi da uomo politico, mirando al bene comune attraverso gli strumenti delle istituzioni sociali e non con le pur forti suggestioni del mio sentimento individuale. Dunque, il motivo “politico” per cui io metto la famiglia al primo posto, in modo non rituale, è perché vedo nella famiglia il luogo di custodia più preziosa del futuro del Paese. Fare politica vuol dire in primo luogo guardare al futuro, e qual è il futuro se non i figli nel senso più ampio: i nostri figli, i figli che non sono nostri, i figli di tutti?
Vita: Lei ha definito il sostegno alle adozioni come un «imperativo sociale». Perché un’espressione così forte?
Schifani: Le adozioni si collocano in un settore particolare dell’intervento sociale, dove si incrociano due ambiti, la famiglia ed il bisogno, che devono figurare entrambi al più alto posto dell’agenda di ciascuna forza politica. Un presidente di un’assemblea parlamentare non può non vedere e non capire che la soluzione a questo tipo di questioni può non essere facile né rapida. Ma quando noi vediamo molte famiglie senza figli e troppi figli senza famiglie, qui io non credo che questo possa essere un terreno dove schierarsi, questo deve essere solo un terreno per seminare insieme, e seminare in fretta, in modo da cogliere i frutti prima possibile. Che senso ha lasciare figli che hanno bisogno di genitori da una parte e genitori che desiderano figli dall’altra? Il minimo di intervento sociale è mettere in contatto questi due bisogni.
Vita: A cosa pensa quando auspica una «riforma del sistema per le adozioni»?
Schifani: Come fine, penso essenzialmente a colmare quel solco paradossale cui facevo prima cenno: famiglie senza figli e figli senza famiglie. Come mezzo, penso essenzialmente al coraggio. La riforma deve mettere in comunicazione reale questi due mondi con la massima trasparenza, con profonda attenzione, ma anche con maggior coraggio. Non si tratta di negare tutte le cautele che merita una situazione dove non si confrontano domanda ed offerta, ma sangue ed affetti, ma va trovato un nuovo equilibrio ed un più equo contemperamento come accade per molti altri settori della complessità sociale.
Vita: Parlando di riforma delle adozioni, ci sono due nodi: infiniti tempi d’attesa e costi elevati. Che fare?
Schifani: L’imperativo sociale non si discute: l’ho detto e lo confermo. Questo non vuol dire privilegiare le scorciatoie. La riduzione dei tempi di attesa deve essere condotta avuto riguardo alla circostanza che in questa materia non si possono commettere errori: un figlio che esce dalla famiglia biologica ed entra nelle famiglia degli affetti entra ed esce per sempre. E quando ci sono i “sempre” la cautela è d’obbligo. La famiglia adottiva è già una seconda possibilità. È assolutamente da evitare che se ne renda necessaria una terza. A volte si ha però l’impressione che l’interesse del minore resti all’ombra dell’infinito accertamento dei requisiti della coppia adottante, capovolgendo nella prassi quella che dovrebbe essere la priorità logica. Le coppie che richiedono l’adozione vanno a volte incontro a dei veri e propri calvari, in cui il sogno iniziale può rischiare di trasformarsi in un incubo. Credo che lo Stato possa e debba fare di più.
Vita: Ci ha molto colpiti la sua affermazione sulla necessità di rivedere i criteri per la revoca della potestà genitoriale e sul superamento del favore pregiudiziale per il “legame di sangue”: perché?
Schifani: Mi permetta solo una parentesi tecnica, ma servirà a spiegare perché poco prima parlavo di “coraggio”. La legge oggi prevede che il distacco del minore in stato di abbandono dalla propria famiglia di origine – l’affidamento – non possa superare i 24 mesi. Solo eccezionalmente, tenuto conto dell’interesse del minore, questo periodo può essere ampliato. Questo periodo serve alla famiglia di origine per dimostrare di aver superato le difficoltà e di potersi quindi prendere cura del proprio figlio. Se questo non avviene, deve dichiararsi lo stato di abbandono, che rende possibile l’adozione. Le cose però non vanno così. I 24 mesi vengono prorogati troppo spesso ed il regime di affidamento si prolunga, senza che si realizzi né il ritorno del bambino nella propria famiglia né le condizioni per l’adozione nella nuova famiglia. Nel frattempo gli anni passano a svantaggio di tutti, perché con l’aumentare dell’età, aumentano le difficoltà ad adottare e ad essere adottato. Si lascia il bambino in mezzo al guado, perché, non avendo il coraggio di muoverlo dalla riva dalla quale proviene, e nella quale non può più comunque restare, non può conseguentemente essere portato al nuovo approdo.
Vita: Quindi che fare?
Schifani: I valori del legame di sangue sono evidenti a tutti e sono affermati in apertura della legge a lettere chiarissime. Nulla di questo è in discussione. Non possono però diventare un ostacolo pregiudiziale al benessere del minore solo perché sono esistiti in passato, pur avendo da tempo smesso di essere vitali. La legge sull’adozione si intitola «diritto del minore ad una famiglia», e questo deve essere perseguito – come dicevo – con coraggio. Quando ne ricorrono i presupposti, deve essere reciso anche il “secondo cordone” che lega il bambino ai genitori biologici, provocando sì un nuovo distacco, ma che gli consentirà di vivere una nuova vita dignitosa alla quale ha pieno diritto.


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