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Cooperazione & Relazioni internazionali

Le altre Rosarno, ecco la mappa

Quali sono le capitali del bracciantato al Sud

di Redazione

Le fragole nel Casertano, le patate a giugno a Cassibile,
i pomodori d’estate a Foggia e Cerignola. E a San Nicola Varco tutto l’anno, nelle serre… Costretti a vivere in capannoni abbandonati, senza luce né acqua. Impiegati in nero nei campi del Meridione, per una paga che raramente supera i 25 euro al giorno. Vittime del caporalato e emarginati dalla popolazione locale. Rosarno e non solo? Cerignola, San Nicola Varco, Castelvolturno, Cassibile. Nelle campagne del Sud Italia, di Rosarno ce n’è una per ogni regione e una per ogni stagione. Ma i protagonisti sono sempre gli stessi. Un esercito di migliaia di braccia da lavoro. Braccia a basso, bassissimo costo. Un esercito di uomini illegali. Emigrati africani entrati in Italia negli anni Duemila sulla rotta che dalla Libia portava dritto a Lampedusa, prima dell’epoca dei respingimenti, e in Italia rimasti impantanati, senza permesso di soggiorno, con un ordine di espulsione alle spalle e l’impossibilità tecnica di ottenere mai più un permesso di soggiorno, se non con una sanatoria che però non arriva. Girano il Sud al ritmo delle coltivazioni. A dicembre e marzo gli agrumi a Rosarno, poi le fragole nel Casertano, le patate a giugno a Cassibile e dintorni, in provincia di Siracusa, i pomodori d’estate a Foggia e Cerignola. E a San Nicola Varco tutto l’anno, nelle serre. Dopo la rivolta di Rosarno è difficile dire se la stessa cosa possa accadere nelle altre capitali del bracciantato. Ma quel che è sicuro è che la stessa cosa era già successa un anno fa a Castel Volturno, in provincia di Caserta, ovvero nell’enclave africana in Campania, una città dove a fronte di 22mila abitanti si stima vivano oltre 10mila tra nigeriani e ghanesi.
Qui la sera del 18 settembre 2008 i killer della camorra crivellarono con 130 colpi di kalashnikov sei lavoratori ghanesi davanti all’Ob Ob Exotic Fashion, al chilometro 47 della via Domitiana. Gli africani scesero in strada per far esplodere la propria rabbia. Fu la prima volta: due giorni di cortei, vetrine rotte, cassonetti incendiati e macchine rovesciate. Anche allora come oggi a Rosarno, a colpire l’opinione pubblica furono i danni della rivolta e non le sue ragioni contro la camorra e il razzismo che vuole i braccianti ma non li vuole vedere in giro.
La verità è che questo esercito di manodopera a basso costo fa comodo. Soprattutto all’agricoltura del Sud Italia sempre più in crisi. Rosarno ne è un esempio lampante. Qui il prezzo delle arance è crollato a 7 centesimi al chilo. Eppure nei supermercati si comprano a oltre un euro. Colpa dei tanti passaggi della trasformazione. E di un cartello di grandi produttori e industria della trasformazione che, in terra di mafie, ha bloccato lo sviluppo delle cooperative create negli anni passati dai piccoli produttori. Così lo sfruttamento si ripercuote come un domino sull’anello debole della catena: i lavoratori. E nelle coltivazioni di pomodoro del Tavoliere delle Puglie la situazione non è molto diversa.
Ogni anno però i governi annunciano nuovi decreti flussi per l’ingresso di lavoratori stranieri. Nel 2008 sono stati 170mila i visti rilasciati dalle nostre ambasciate per motivi di lavoro, più 80mila per il lavoro stagionale. Poco importa se migliaia e migliaia di lavoratori già vivono e lavorano in Italia, sfruttati nelle campagne di Rosarno, piuttosto che a Cassibile o a Castel Volturno. Ma forse è più importante mantenere basso il prezzo del pomodoro, delle arance e delle patate. Perché un bracciante in regola, non costa 25 euro alla giornata ma 40. Quasi il doppio.
Ma chi sono i regolari? Quelli che arrivano con i decreti flussi ogni anno, che fine fanno? Per vederlo basta andare a San Nicola Varco, la Rosarno di Salerno. Qui per anni hanno vissuto un migliaio di cittadini marocchini. Ragazzi tra i 20 e 35 anni. Stipati nelle baracche costruite attorno ai fabbricati abbandonati di un vecchio mercato ortofrutticolo costruito negli anni 80, costato decine di miliardi di lire e mai messo in funzione. Ognuno di loro aveva pagato 5mila euro a un intermediario marocchino per avere il contratto di lavoro da presentare all’ambasciata italiana. I soldi sono stati divisi tra intermediari e imprenditori agricoli italiani. Un giro di milioni di euro. Una vera e propria truffa in grande stile. Nessuno però pagherà per questo. Gli unici arresti li hanno subiti proprio loro, i braccianti, quando a novembre la baraccopoli dove vivevano è stata sgomberata, per fare posto a un grande centro commerciale. Ci sarà finalmente l’acqua e la luce. E loro non dovranno che spostarsi in un’altra campagna in attesa di un’altra stagione di ipocrisia.


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