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Politica & Istituzioni

Se 40 anni vi sembran pochi…

Il governo Monti intenzionato a stringere sulle pensioni

di Franco Bomprezzi

L’uscita dalla maggioranza della Lega sembra aprire la strada a una stretta ulteriore sulle pensioni di anzianità, tema sul quale il veto di Bossi aveva impedito al governo Berlusconi di agire nei mesi scorsi. E’ questa la principale indiscrezione sui contenuti della manovra che sarà varata da Mario Monti il 5 dicembre. E le pensioni diventano il titolo di apertura di quasi tutti i quotidiani in edicola.

“Si andrà in pensione più tardi”, titola in apertura il CORRIERE DELLA SERA, dando ormai per certa la misura a più alto impatto della manovra da 20 miliardi allo studio del governo Monti. «Serviranno più di 40 anni di contributi per la pensione. È questa la riforma che sta studiando il governo insieme all’ipotesi di una patrimoniale soft: 2 per mille sopra il milione e mezzo di euro». Una sintesi mediata di quello che anche ieri si è discusso a Bruxelles, ormai vera  e propria sede decisionale delle politiche economiche (e, di fatto, delle politiche complessive) degli Stati membri, con l’Italia sempre nei panni di osservata speciale. L’invito del vicepresidente della Commissione all’Italia è infatti ad «attuare misure aggiuntive a causa della bassa crescita, per rispettare il pareggio di bilancio nel 2013 ed evitare il rischio di fuga dai titoli di Stato». Per quanto riguarda le pensioni, si è ormai alla stretta finale di revisione del sistema previdenziale. Secondo quanto anticipa il Corriere, «l’adeguamento dell’età pensionabile delle donne a quella già prevista per gli uomini e per le donne del settore pubblico (65 anni a partire dal 2012) dovrebbe partire l’anno prossimo per chiudersi nel 2016 o al massimo nel 2020. Allo stato attuale l’adeguamento parte nel 2014 per arrivare a 65 anni nel 2026». Seconda misura, «della riforma dovrebbe far parte anche il possibile aumento della soglia minima dei 40 anni di contributi necessari ora per la pensione di anzianità indipendentemente dall’età anagrafica. Tra le ipotesi allo studio del governo c’è un innalzamento tra i 41 e i 43 anni di contributi per uscire dal lavoro a qualsiasi età. Sarebbe allo studio anche un aumento delle quote età contributi (adesso a 96 per i dipendenti con un minimo di 60 anni)».

“Arriva la stretta sulle pensioni”: LA REPUBBLICA riferisce poi nel sommario che “Per l’anzianità serviranno oltre 40 anni. Schaeuble: prestito Fmi all’Italia”. La manovra, scrive a pagina 6 Roberto Petrini, scivola verso i 20 miliardi e «allunga il passo la riforma delle pensioni e l’intervento si fa più profondo». All’esame dei tecnici: il blocco del recupero sull’inflazione, la stretta sull’anzianità e lo sfondamento della quota 40 (che potrebbe salire a 41, 42 anni lavorativi). In discussione anche l’aumento delle aliquote per gli autonomi, l’innalzamento dell’età pensionabile per le donne. A questo pacchetto ampio si sommerebbero le altre misure: dalla SuperImu alla patrimoniale all’Iva e la riforma del mercato del lavoro. Si andrebbe verso un contratto unico: con tre anni di ingresso con basse tutele (ed eventualmente una indennità) e successivo aumento delle tutele. Sul versante della crescita, la riduzione del cuneo fiscale. Nel frattempo il taglio ai vitalizi dei parlamentari è anticipato: dal 2012 il sistema contributivo varrà per tutti, e l’assegno arriverà solo a 60 anni (a 65 per chi fa solo una legislatura). Una decisione maturata ieri nell’incontro fra Schifani e Fini e il ministro del Lavoro, Fornero, ovviamente soddisfatta perché in questo modo i deputati danno una mano «in vista delle misure che stiamo per adottare per tutti gli italiani». In pratica mentre prima si godeva di vitalizio dopo una sola legislatura (circa 2400 euro netti al mese) il futuro pensionato con soli 5 anni di attività parlamentare avrà circa 1500 euro, con 10 anni meno di 4mila. Tra i neoeletti, quelli che nel 2008 sono entrati per la prima volta nel Palazzo, il panico, racconta Carmelo Lopapa.

“Tocca alle pensioni. Era ora”. Titola IL GIORNALE in prima pagina. Il rimando è al pezzo (sostanzialmente una scheda sui possibili provvedimenti che prenderà il Governo) di Antonio Signorini a pag 3. L’editoriale è affidato al vicedirettore Nicola Porro (“L’italia cresce poco, ecco perché”). Ragiona Porro: «Negli ultimi dieci anni la nostra ricchezza è cresciuta dello 0,2 per cento l’anno, mentre la media europea è stata cinque volte più generosa. Nei medesimi dieci anni sono state fatte una ventina di manovre finanziarie (solo quest’anno quattro) per un valore (considerando l’inflazione) di 270 miliardi di euro…Converrebbe convincersi che le due cose vanno insieme. Cresciamo poco perché tassiamo tanto e tagliamo male… I governi Berlusconi sono stati più che complici di questo modo di pensare. E ci sarà continuità anche con l’esecutivo Monti, che è in predicato di fare un nuovo intervento da 20 miliardi… Il caso eclatante è quello delle pensioni. Chi scrive ritiene che sia il capitolo (essendo con i suoi 230 miliardi il più corposo) su cui intervenire con maggiore decisione. Ma come si fa a cambiare dieci volte le regole del gioco? Come si può pretendere dai cittadini che i risparmi (che ripetiamo si debbono fare) si ottengano con escamotage contabili e un po’ truffaldini come le finestre di pensionamento? La previdenza è il caso eclatante del fallimento del metodo delle manovre. Tutti sanno che lì si deve andare perché c’è la «ciccia». E tutti i governi danno un colpetto. Ma nessuno ha il coraggio di mettersi al tavolo e ridisegnare un vero e nuovo patto sociale tra generazioni: l’unico che risolverebbe alla radice una spesa che fino al 2026 appare troppo onerosa per le nostre casse. Continuiamo pure con le manovre. Avremo la certezza di meritarcene un’altra l’anno prossimo e che a pagare saranno i soliti». 

IL MANIFESTO relega il tema della riforma delle pensioni in una breve corrispondenza da Bruxelles a pagina 6 (l’apertura e le prime pagine dello sfoglio sono riservate alla morte in una clinica svizzera di Lucio Magri): «il commissario europeo agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, ha presentato il rapporto sull’Italia, dopo la missione degli ispettori dell’Unione europea a Roma. Si chiedono esplicitamente «misure aggiuntive per assicurare che siano raggiunti gli obiettivi annunciati di riduzione del deficit», in soldoni un’altra manovra da almeno 11 miliardi. Monti gli ha risposto subito, se è vero che l’ha portata a 20. Le misure richieste «dovrebbero essere predisposte per salvaguardare gli obiettivi di bilancio annunciati a fronte di una crescita economica più debole in Italia e altrove». Rehn entra nel merito: la spesa per le pensioni dovrebbe essere «velocemente» ridotta, accelerando per esempio l’entrata in vigore dei nuovi parametri del sistema previdenziale (riducendo il divario uomini donne nell’età di pensionamento nel settore privato), stringendo le regole sul pensionamento anticipato penalizzandolo o eliminandolo, rivedendo i regimi pensionistici più generosi, sospendendo automaticamente l’indicizzazione delle pensioni in caso di crescita economica negativa eccetto che per le pensioni basse».  

“Pensioni di anzianità, avanza la stretta”. IL SOLE 24 ORE apre sul tema pensioni e ne sottolinea l’importanza con un corsivetto siglato a.o. (Alberto Orioli) dal titolo “segnale utile”: «Buon segno. Nella stagione dell’«equità per sottrazione» (nulla da distribuire se non sacrifici per tutti) l’annuncio che deputati e senatori modificheranno il sistema dei vitalizi e si affideranno al sistema contributivo, è l’esempio che serve. Serve soprattutto per quei milioni di ex lavoratori destinatari di una manovra previdenziale realmente abrasiva che bloccherà l’adeguamento all’inflazione anche per i trattamenti minimi: non avranno la sensazione di pagare da soli il prezzo della crisi planetaria. Servirà anche a quanti passeranno rapidamente al sistema contributivo, con un’ inevitabile – necessaria – riduzione dell’assegno finale. Il Sole 24 Ore aveva chiesto più volte (l’ultima lunedì) un gesto fattivo alla politica. È arrivato, ben venga. Ma niente trucchi».

“Pensioni, la paura fa 41, 42, 43. Stretta sulle anzianità: 40 anni non basteranno” titola ITALIA OGGI che  al di là della cronaca nota: «se per la maggioranza dei comuni mortali occorrerà aspettare fin quasi a 70 anni, dagli onorevoli e senatori l’assegno verrà incassato a 65 anni per chi ha fatto una sola legislatura ( ma già a 60 anni per chi ha più contributi). Ma mentre per la  casta degli eletti  si profila una stretta, non c’è riferimento alcuno a modifiche ai sistemi previdenziali dei vertici e dei dipendenti  degli organi costituzionali, fra cui Camera e Senato. Ben presto gli italiani normali saranno chiamati a ulteriori sacrifici sulle loro pensioni. Ci sarà qualche migliaio di fortunati nel cuore dello Stato, che ne resterà fuori?». Intervista a Paolo Ferrero, leader di Rifondazione : «La manovra di Monti, un suicidio. Porterà l’Italia a fare più velocemente la fine della Grecia» e ancora «C’è una evidente subalternità a quello che decide la Germania. Sarkozy aveva proposto una strada diversa. La Merkel ha detto di no sia a cambiare i trattati che a una modifica della Bce. E Monti si è schierato più con la Merkel che con Sarkozy». E allora cosa si può fare? Ferrero risponde: «Essendo l’Italia troppo grande per fallire bisogna dire oggi ai tedeschi che noi non restituiremo i soldi che dobbiamo alle loro banche. E così la Merkel sarebbe costretta a cambiare la politica sulla Bce». 

“Giro di vite su pensioni e vitalizi”, apre a tutta pagina AVVENIRE. «Monti a Bruxelles spiega ai partner dell’Unione Europea la manovra, che sale a 20 miliardi. Non basteranno più 40 anni per gli assegni di anzianità. L’Italia all’esame dell’Eurogruppo. La previdenza piatto forte delle misure da varare il 5: possibile anche lo stop a tutti gli aumenti 2012 e contributi più alti per gli autonomi». Questo il pacchetto di prima pagina che riassume i contenuti approfonditi a p. 5-6-7, dove la stretta sulle pensioni (tra l’altro «si lavora anche sul blocco totale nel 2012 degli aumenti per il recupero dell’inflazione su tutti gli assegni di anzianità) è inserita in un’analisi allargata del contesto economico europeo che non tende a migliorare: “Salari fermi, prezzi su. Un’altra sforbiciata al potere d’acquisto. Stenta l’occupazione, famiglie in difficoltà”, è il quadro non certo roseo dell’economia italiana tratteggiata dall’Istat a pochi giorni dal varo, il 5 dicembre, della manovra Monti da – pare – 20 miliardi.

«Ieri mattina, mentre al Quirinale giurava la pattuglia dei sottosegretari – “una squadra snella e forte” – l’asta dei Btp triennali segnava rendimenti del 7,89%, il massimo dal 1996. Per capirsi: gli interessi che venivano pagati quando c’era ancora la lira. Nelle stesse ore, da Tokyo, arrivava notizia della decisione della banca d’affari Nomura di vendere l’83% dei titoli italiani e il 62% di quelli spagnoli» Comincia così il resoconto della STAMPA della delicata giornata di Mario Monti a Bruxelles. Scrive il corrispondente Alessandro Barbera: «L’entità complessiva della manovra sarà certamente superiore ai circa dieci miliardi che, secondo Bruxelles, sono necessari a rispettare gli obiettivi di finanza pubblica del precedente governo: molto probabilmente l’intervento si aggirerà ai 25 nel biennio. Ci sarà la super-Imu, di fatto una patrimoniale sugli immobili: varrà almeno cinque miliardi di euro. Ci sarà anche l’aumento dell’Iva, e probabilmente colpirà le due aliquote agevolate finora risparmiate: quella al 4% e quella al 10%». La Stampa in prima pagina pubblica anche un commento di Enzo Bettiza sul ruolo della Merkel. Un commento che sin dal titolo imputa alla leader tedesca la responsabilità di quanto sta accadendo: “La ‘Gioconda nordica’ salvi l’Euro”. Scrive Bettiza: «Tanti oggi sperano che la zarina dell’Unione, che sulla scrivania tiene un ritratto settecentesco di Caterina la Grande, trovi il coraggio di tuffarsi in extremis fra i marosi per trarre in salvo l’euro. Basterebbe, per esempio, che cessasse di opporsi a quello che i politici più responsabili e gli osservatori più acuti chiedono da tempo: concedere alla Banca di Francoforte il ruolo di prestatore di ultima istanza ai Paesi indebitati».

E inoltre sui giornali di oggi:

IRAN
LA REPUBBLICA – Due pagine sull’assalto alla ambasciata inglese di Teheran. I manifestanti hanno protestato contro le sanzioni imposte da Londra all’Iran a causa del suo controverso programma nucleare. A penetrare per primi nel complesso dell’ambasciata sono stati alcuni studenti che hanno scavalcato il muro di cinta, aprendo poi la porta agli altri. Sei persone sarebbero state prese in ostaggio e poi rilasciate.

CASTA
LA STAMPA – In prima pagina anche i tagli ai vitalizi dei parlamentari. L’articolo è di Marcello Sorgi, che elogia il nuovo ministro Elsa Fornero per il coraggio della decisione: «Diciamo la verità, ci vuole un certo coraggio a tagliare i vitalizi dei parlamentari proprio alla vigilia di una riforma sulle pensioni che gli stessi deputati e senatori dovranno votare di qui a poco. Ma d’altra parte non c’era via d’uscita: era impossibile ridimensionare le pensioni dei lavoratori comuni salvando i privilegi degli onorevoli, specie in tempi di polemiche quotidiane sulla Casta e di delegazioni vocianti nella piazza di Montecitorio. Elsa Fornero, la ministra del welfare che è anche una delle maggiori esperte del sistema della previdenza, non ha dovuto faticare molto per convincere i presidenti delle Camere… Così, ciò che fino a pochi mesi fa sarebbe stato impensabile, o salutato come un’ingerenza nell’autonomia delle Camere da parte dell’esecutivo, ieri incredibilmente è avvenuto».

CARCERE
IL SOLE 24 ORE – “Carceri, Severino rilancia il braccialetto elettronico”: «La Severino parte dal carcere e dai numeri del sovraffollamento (68.968 detenuti e 39.121 poliziotti a fine 2010), “non sostenibili e non compatibili con il rispetto dei diritti fondamentali della persona”. Occorrono misure stabili, e l’amnistia non lo è. Occorrono interventi “immediati”, e la costruzione di nuove carceri non lo è (tra l’altro, bisognerà «valutare la compatibilità del piano di edilizia con i problemi economici gravanti sul Paese»). E allora: più spazio alla detenzione domiciliare, porte aperte alla “messa alla prova”, via libera a una “carta dei diritti e dei doveri dei detenuti”, e – a sorpresa – rilancio del braccialetto elettronico, un “successo” in Europa e negli Usa, un “fallimento” in Italia. Dal 2001, lo Stato continua a pagare (alla Telecom dal 2003) 11 milioni di euro l’anno per 450 braccialetti (il contratto è in scadenza) senza di fatto averli mai utilizzati per un problema tecnico che sembra “irrisolvibile” (la rintracciabilità del segnale) ma che ora la Severino e il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, vogliono verificare, in funzione di un ampliamento delle misure alternative, distinguendo, ha aggiunto il guardasigilli, tra carcere preventivo e definitivo. “Se il problema non è irrisolvibile come sembra, si potrebbe varare un progetto per l’uso del braccialetto, con risparmi notevoli – osserva il guardasigilli –. È evidente che il suo costo sarebbe compensato dai risparmi derivanti dalla mancata detenzione. E sarebbe – insiste – un risparmio notevole”. Il governo punta quindi sulle misure alternative. A cominciare dalla detenzione domiciliare.

PENA DI MORTE
AVVENIRE – Dedicata pag. 8 alla Giornata internazionale “Città per la vita” promossa dalla Comunità di Sant’Egidio in più di 1.400 centri in 87 paesi contro la pena di morte. Oggi si riuniscono a Roma 20 ministri della Giustizia per discutere sul tema della condanna a morte, ancora in vigore in 58 stati nel mondo, che «è la sintesi di tutte le debolezze dei sistemi giudiziari, nega il potere di riabilitazione della pena, favorisce gli abusi sui detenuti, crea altre vittime, diffonde dolore tra i familiari dei condannati», scrive il quotidiano della Cei. Nel 2010 sono state 5mila le esecuzioni in Cina, 546 in Iran e 46 negli Stati Uniti. In appoggio, una lunga intervista a don Virgilio Balducchi, nuovo ispettore generale dei cappellani delle carceri italiane, che dice: «Ci vuole una riforma strutturale del codice penale, così da alleggerire il ricorso alla detenzione».


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