Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Politica & Istituzioni

Lega, la cresta dei conti

Il partito di Bossi sconvolto dalle inchieste su Belsito

di Franco Bomprezzi

La Lega travolta dallo scandalo dei  fondi pubblici. Indagato il tesoriere Belsito, e nella vicenda entrano anche storie di lavori alla casa di Bossi pagati con il finanziamento ai partiti. Un disastro, anche interno, per il partito che è nato proprio per combattere la corruzione di “Roma ladrona”. Ecco come i giornali raccontano le notizie giudiziarie e politiche di ieri.

“La Lega nello scandalo dei fondi” è il titolo di apertura del CORRIERE DELLA SERA. Molti i pezzi dedicati all’argomento e anche il commento di Antonio Polito, che parte in prima: “L’ultimo stadio di «Partitopoli»”. La notizia forse più interessante è in un colonnino a pagina 2: “È stato un esposto di un «militante della Lega» a dare il via all’inchiesta che ieri ha portato a una serie di perquisizioni, tra le quali quella dell’ufficio dell’ex tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito nella sede del Carroccio in via Bellerio a Milano. Lo scrivono i pm Alfredo Robledo, Paolo Filippini e Roberto Pellicano nel decreto di perquisizione notificato a Belsito e ad altri due indagati. «Sulla questione riguardante l’utilizzo dei fondi della Lega — si legge nell’atto giudiziario — negli investimenti in Tanzania e Cipro, questo ufficio aveva già in precedenza dato avvio ad un procedimento contro ignoti per il reato di appropriazione indebita aggravata in seguito all’esposto di un militante della Lega che aveva denunciato l’episodio, peraltro già pubblicizzato dagli organi di informazione»”. Resa dei conti interna, dunque, nel partito di Bossi e di Maroni. Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella frugano fra le carte dell’inchiesta milanese: «Lavori alla villa di Gemonio con i rimborsi della Lega». E Fiorenza Sarzanini, a pagina 3, affonda il coltello nella piaga: “C’è un uomo che secondo i magistrati rappresenta l’anello di congiunzione tra il tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito e la ‘ndrangheta. Si chiama Romolo Girardelli, ma per tutti è «l’ammiraglio». È genovese, ha 53 anni. Nel 2002 finì sotto inchiesta con Paolo Martino e Antonio Vittorio Canale «soggetti al vertice della cosca De Stefano di Reggio Calabria». L’accusa era di associazione a delinquere di stampo mafioso «per aver messo a disposizione del clan le proprie competenze finalizzate — oltre che a fornire supporto logistico alla latitanza di Salvatore Fazzalari, esponente di spicco della ‘ndrangheta calabrese attraverso la messa a disposizione di somme di denaro — alla negoziazione, allo sconto ovvero alla monetizzazione di “strumenti finanziari atipici” di illecita provenienza». Dunque, un procacciatore d’affari per la criminalità organizzata. Proprio il ruolo che svolgeva anche per Belsito, al quale risulta legato da almeno dieci anni”. A pagina 5 Alessandro Trocino ricostruisce la figura di Belsito, che è stato sottosegretario alla Semplificazione, con il ministro Calderoli: “La leggenda narra che sia riuscito a ingraziarsi Umberto Bossi e il suo cerchio magico portando focacce e vino in via Bellerio. Quel che è certo è che c’è riuscito soprattutto diventando l’ombra di Maurizio Balocchi, l’ex tesoriere, seguito e accudito anche durante la malattia, fino alla scomparsa del 2010. Macinare chilometri e deferenza ha portato bene al giovane Belsito, ma il percorso non è stato privo di intoppi: diplomi traballanti, lauree fittizie, abuso di Porsche, fallimenti societari, amicizie compromettenti. Il colpo più eclatante, qualche settimana fa, con la notizia dei sette milioni di fondi padani investiti creativamente in Tanzania e a Cipro. Infine, l’ultima accusa che lo ha costretto alle dimissioni. Alla Camera i maroniani alternano sorrisi di scherno a battute feroci: «Fosse per me — dice un deputato — sarebbe stato fucilato già da un pezzo»”. Il succo dell’inchiesta è riassunto in apertura di pagina 5 dai cronisti di giudiziaria del CORRIERE: “Rimborsi pubblici delle spese elettorali della Lega usati dal tesoriere «padano» Francesco Belsito per far fronte alle spese scolastiche di Renzo Bossi, pagare un’auto guidata da uno degli altri figli, liquidare le spese spicciole della moglie del Senatur o le esigenze di Rosy Mauro, insomma «i costi della famiglia in contante o con assegni circolari o contratti simulati»: «esigenze personali di familiari del leader della Lega Nord», il non indagato Umberto Bossi, certo «non riconducibili agli interessi del partito e contrarie ai suoi vincoli statutari». E poi altri e ben più robusti rimborsi elettorali che (come già rivelato dal Secolo XIX) sono stati trasferiti per investimenti milionari in Tanzania e Cipro, ma che poi (come solo ora si scopre invece grazie alle intercettazioni) in parte sono rientrati in Italia per essere consegnati in contanti e per strada proprio al tesoriere leghista, addirittura dentro un cappello e in una scatola di vini appena poche settimane fa”. Marco Cremonesi ha tutta la pagina 6 per spiegare il mal di pancia dei leghisti: “Con il passare del tempo, le voci sulle spese per la famiglia si erano allargate e certo esagerate. A sentire l’incontrollata voce della pancia leghista, oltre al denaro per Renzo sarebbero arrivati dalle casse padane i suoi macchinoni ed appartamenti a Brescia e a Milano. Fole, fino a prova contraria. Ma il leader padano non ha un figlio soltanto. Ecco allora i racconti sulla tenuta acquistata per soddisfare la passione per l’agricoltura di Roberto Libertà a Brenta, a due passi dalla natia Gemonio, ecco le leggende sulla sede in Sardegna del Sin.pa, il sindacato padano presieduto da un’altra esponente del «cerchio magico», Rosy Mauro. Sede che, giurano i malvagi, assomiglierebbe più a una residenza estiva che a una Camera del lavoro”. A pagina 9: “L’amarezza del leader «Devo dimettermi, attaccano la famiglia». Retroscena politico di Verderami: “Ieri si è definitivamente conclusa un’era, la lunga stagione segnata dall’asse tra Berlusconi e Bossi. Ma non è detto che in futuro non possa nascere un nuovo ciclo tra il Pdl e la Lega, un’altra intesa, con altri leader e magari con un’altra legge elettorale. Di sicuro l’inchiesta giudiziaria nella quale è stato coinvolto il capo del Carroccio spezza il filo del rapporto politico che il Cavaliere e il Senatur erano riusciti a mantenere, malgrado il giudizio sul governo Monti li avesse separati”. Infine Sergio Rizzo analizza i conti del Carroccio, ma in generale dei partiti, a pagina 10: “Se il finanziamento pubblico «nudo e crudo» ha garantito ai partiti dal 1974 a oggi una somma pari, in euro attuali, a oltre 5,6 miliardi, non è azzardato ipotizzare che le formazioni politiche abbiano assorbito in 37 anni almeno 10 miliardi di euro. Praticamente, è la pura verità, senza alcun controllo. Nessun partito, a eccezione del Pd, fa certificare il bilancio da un revisore esterno. Il collegio sindacale interno è composto da fedelissimi della segreteria e del tesoriere. E sebbene qui si stia parlando di denaro pubblico, la Corte dei conti non può metterci il naso. I giudici contabili hanno il solo compito di esaminare la correttezza formale dei rendiconti elettorali, senza alcun potere sanzionatorio. Più volte hanno sottolineato pubblicamente l’ipocrisia di chiamare «rimborso» un finanziamento che è quattro volte superiore alle spese documentate: 503 milioni contro 136, per le sole elezioni del 2008. Ma nessuno ha dato loro ascolto. E da questi pochi numeri si capisce perché. Nel 2008 il Carroccio ha dichiarato spese elettorali per 3 milioni 562 mila euro e ha incassato 41 milioni 384 mila euro”. 

 “Scandalo Lega, i soldi pubblici a Bossi”: apertura a tutta pagina per LA REPUBBLICA. La Repubblica. “Inchiesta sui 18 milioni. I pm: denaro per famiglia, alberghi e ville. L’ombra della ‘ndrangheta. Rimborsi elettorali usati per le esigenze personali del Senatur. Indagato il tesoriere Belsito che si dimette. Maroni: va fatta pulizia. Berlusconi: Umberto non c’entra”. Tantissima carne al fuoco, per uno scandalo che travolge l’ultimo bastione della “vecchia politica”.  Oltre all’ampia cronaca, gli interventi di Gad Lerner – negli anni ’90 “levatore” dell’allora fenomeno Lega, e di Roberto Saviano. Lerner riflette sulla “Nemesi Padana”, nemesi che colpisce la famiglia Bossi: «Il suo vero punto debole, la famiglia: da quando Bossi si è adoperato nel tentativo di perpetuare il suo carisma per via dinastica nell’inadeguata figura del figlio Renzo. Proprio lui che aveva fatto della sobrietà popolana – un’abitazione modesta, uno stile di vita scapigliato ma rustico – la sua cifra esistenziale, per sistemare la prole ha commesso leggerezze mai digerite dalla base militante». Saviano invece scrive del “Velo caduto in via Bellerio”. Parte dalle inchieste sulla camorra al nord, e arriva alle vicinanze tra la Lega e alcuni esponenti della malavita.  Il ragionamento di Saviano è: «Le mafie interloquiscono con tutti i poteri, anche al Nord, e quindi anche con la Lega. Un anno fa questa parola pronunciata in tv generò un putiferio». Data questa tesi, Saviano snocciola la sua nota competenza su processi in atto, boss, ‘ndrine e zone grigie tra criminalità e politica. La lega non poteva non sapere, anzi, non poteva non essere coinvolta, è il filo del suo ragionamento. «Ora la Lega non potrà più sbandierare la sua diversità sul tema mafia. Un tradimento, questo della Lega, che solo i suoi militanti e le sue parti oneste, che ci sono, potranno davvero affrontare ed elaborare. Da oggi la storia di questo partito movimento non sarà più la stessa».

IL GIORNALE apre con il titolo a tutta pagina “Tiro alla Lega”. L’editoriale è di Alessandro Sallusti, che spiega «io credo che il problema della Lega, più che con la magistratura, sia al suo interno. Veleni, spie, malelingue e trabocchetti: la guerra tra le varie anime ormai è senza quartiere e non mi meraviglierei se si scoprisse che le procure hanno avuto qualche aiutino dall’interno del movimento». Luca Fazzo e Enrico Lagattolla fanno il quadro della situazione firmando “Lega, tre procure contro il cassiere: soldi pubblici alla famiglia Bossi”. Stefano Filippi con il suo “L’ora più difficile del patriarca Bossi” fotografa la situazione dal punto di vista politico. Stefano Zurlo invece entra dentro la Lega per raccontarne le dinamiche interne firmando “E la base si divide fra complottisti e delusi”. Con risvolti sia politici che interni al partito il tema dell’articolo di Paolo Bracalini “E Maroni ne approfitta: adesso pulizia”. A chiudere il commento di Vittorio Sgarbi che propone “Ma il vero truffatore è lo Stato che gira i nostri soldi ai partiti”.

La foto di Bossi senior, Bossi junior, Rosy Mauro al cospetto della famosa statua di bronzo che ritrae Ambrogio da Fossano è l’apertura de IL MANIFESTO che titola “la famiglia”. Luca Fazio scrive: «È il crollo di un mito che infatti era falso. La banda degli onesti con le mani nel sacco è una sceneggiatura divertente. Oppure drammatica a poche settimane da amministrative decisive per stabilire l’assetto con cui il centrodestra si presenterà al voto del 2013. Il partito che sventolava il cappio in Parlamento è finito sotto al tiro incrociato di ben tre Procure e sono gli stessi leghisti a ammettere che la situazione è diventa imbarazzante insostenibile». Fazio conclude: «Ieri sera Belsito è stato chiamato a rapporto per l’ultima volta. E fatto fuori per decenza. Ma scaricarlo, oltre che pericoloso, ormai potrebbe non bastare».

“Il tramonto del Senatur” è l’inequivocabile titolo del Punto di Stefano Folli in prima pagina de IL SOLE 24 ORE.  “La vicenda Belsito dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio che il partito di Umberto Bossi, nella sua veste attuale, è ormai morente. L’assetto di potere che lo ha retto negli ultimi anni è destinato a disintegrarsi di fronte alle accuse che colpiscono l’improbabile tesoriere e chi ne ha appoggiato le iniziative. Certo, da un punto di vista legale occorrerà attendere che l’inchiesta trovi riscontri definitivi. Ma sul piano politico quello che emerge è inquietante. Altro che trasparenza. Lo scandalo che investe il vertice del Carroccio rivela un panorama che dire opaco è eufemistico. Sembra di assistere all’ultimo capitolo di una saga politica che già da anni era entrata in una crisi irreversibile, parallela al declino fisico del leader storico. Del resto, la falsa bandiera della secessione conteneva fin dall’inizio i germi di un’ambiguità che nel tempo non poteva non logorare la Lega, sospesa fra i falsi miti celtici evocati nel «pratone» di Pontida e una gestione spesso spregiudicata del potere concreto, quello garantito dal lungo sodalizio di governo con Berlusconi. Sta di fatto che l’alternativa alla pseudo-secessione, cioè il federalismo fiscale e istituzionale, alla fine si è risolta in un fallimento, oltre che in un potenziale aggravio dei conti pubblici. Un gioco politico a somma zero dietro il quale, nel frattempo, si allargava la zona grigia su cui oggi i magistrati vogliono far luce. Ieri sera tutti garantivano che Umberto Bossi è estraneo al marciume. Questo è possibile e al momento non ci sono riscontri che contraddicono tale convinzione. Ma si tratta di un aspetto persino secondario perché Bossi è un uomo provato dalla malattia che da tempo ha perso il suo antico, ferreo controllo sul partito. E in ogni caso, anche se non tocca il vecchio leader, l’indagine travolge un «establishment»: tutti coloro che fingevano di non sapere o si voltavano dall’altra parte. Per lo stesso Maroni, che si presenta come oppositore del «vecchio regime» e uomo del domani, non sarà facile imporsi come il rifondatore del Carroccio. Perché non c’è dubbio che nel prossimo futuro la Lega avrà bisogno di essere ricostruita dalle radici, anche sul piano ideale, ripartendo dalla buona amministrazione negli enti locali. E non è detto che ci sia una classe dirigente davvero innovativa, in grado di attraversare subito il fiume”.

ITALIA OGGI dedica ampio spazio all’affaire Lega Nord. Si comincia con Sergio Soave che firma “Le procure fanno saltare la tregua tra Bossi e Maroni”, in cui  il giornalista sottolinea che «un primo effetto politico, però, è già evidente nel commento di Roberto Maroni che, a differenza di quel che aveva fatto nei confronti del presidente del consiglio lombardo, cui aveva espresso solidarietà, ha ricordato di aver chiesto a suo tempo una verifica attenta del comportamento dell’amministratore del partito». Marco Bertoncini, anche lui sul tema, firma “Andrea da Giussano è stato malmenato”. La cronaca dei fatti la riporta Franco Adriano in “Tesoriere indagato, Bossi nel fango”. In basso Alessandra  Ricciardi torna su l’ex ministro degli Interni con “Colpo al Cerchio magico, nel partito è l’ora di Maroni”. Luigi Chiariello per chiudere intervista Paolo Scala, investito in pieno dallo scandalo in “Si, i soldi della Lega sul mio conto”.

Per AVVENIRE il caso Belsito ha portato ieri Lega «a un passo dal baratro» e il Senatur «a meditare le dimissioni». A sera, con una «base disorientata» e una Lega «spaccata in quattro», con molti che rinfacciano a Maroni di non aver «pensionato Bossi e il suo giro quando c’erano i voti per farlo», giunti «sulla soglia del punto di non ritorno che può sfociare nella scissione», prevale comunque la «voglia di compromesso», anche se è senza dubbio «la fine del sogno romantico della Lega». In prima pagina AVVENIRE mette un editoriale di Gianfranco Marcelli che si intitola “La prova del nove”. Impressiona «lo spettacolo del gotha lumbard rinchiuso per ore nel bunker di via Bellerio, da qualcuno ieri assimilato a un novello “Hotel Raphael”» e tuttavia la bufera giudiziaria che ha investito la Lega Nord è «un nuovo drammatico campanello d’allarme che squilla sullo stato di salute dei partiti italiani». Non si vede infatti all’orizzonte alcuna novità sulla «vita interna ai partiti, sui metodi di selezione dei loro vertici, sulla trasparenza della gestione economica». I partiti sono ai minimi storici di credibilità, e dunque «siamo alla prova del nove: la restituzione di onore e ruolo pieno alla politica e ai politici potrà venire solo da una svolta sostanziale nei comportamenti dei partiti (e di uomini e donne di partito), dentro e fuori le istituzioni. Che cosa potrà altrimenti convincere milioni di elettori scoraggiati e furiosi a tornare ai seggi? Certo non basteranno nuovi “cappi”, magari di segno politico o geografico opposto, tristemente agitati nelle aule parlamentari». 

“Lavoro serve un sì veloce”, l’apertura della STAMPA di oggi è dedicata all’intervista del direttore Calabrese al premier Mario Monti che occupa le pagine 2 e 3. Il caso Lega slitta in taglio medio sotto il titolo “«Soldi della Lega per Bossi»”. I servizi interni alle pagine 8/11. I commenti invece sono affidati a Giovanni Cerruti (“Da Roma ladrona a Padania ladrona”) e a Federico Geremicca (“La quaresima della classe politica”). Partiamo da Cerruti: «Basta leggere le pagine della Procura e si può capire l’impaccio della Lega. Otto anni di baldoria con la cassa, proprio da quel 2004 del coccolone, da quando Umberto Bossi non è più quell’Umberto Bossi. E, attorno, quella famiglia allargata che già un anno dopo era definita «Cerchio Magico». La moglie Manuela, i figli allora ragazzini, l’immancabile Rosi Mauro più un paio di favoriti di turno con relativi clienti. Bossi, in questo come Bettino Craxi, ha sempre avuto pochi spiccioli in tasca, ma qui torna buona una vecchia battuta del socialista Rino Formica: «Il convento è povero, ma i frati sono ricchi…». Continua Cerruti: «La Bmw di Renzo Bossi, chissà a chi è intestata. E un appartamento appena comprato a Milano, si dice in piazza Cinque Giornate, pieno centro, sempre per Renzo. Una cascina per Roberto Libertà, l’altro figlio che la Lega di Famiglia vorrebbe candidare alle prossime elezioni politiche. E una casa in Sardegna per Rosi Mauro, o almeno così sospettano in Procura. Insomma, otto anni di spese in conto Lega. Che potrebbero costare carissime, al futuro della Lega. O Bossi non ha capito, e sarebbe già grave; o Bossi sapeva, e sarebbe ancora peggio. E prima o poi rischia davvero di trovarsi quella scritta sul muro di casa: «Gemonio Ladrona». Palla a Geremicca: «Lo “scandalo dei tesorieri” (prima Lusi, Margherita, e ora Belsito, Lega) ha soltanto aggravato una situazione di difficoltà che era già sotto gli occhi di tutti. Difficoltà che, in parte, sono addirittura oggettive: se solo si pensa, per esempio, alla complessità di condurre una campagna elettorale contro partiti che sono avversari magari a Palermo o a Verona – per dire ma alleati (seppur di malavoglia) a Roma. O, ancora, al fatto che nessun candidato – né di centro, né di destra e nemmeno di sinistra – potrà stavolta esser sostenuto da ministri e sottosegretari col solito corteo di auto blu (con tutto quel che significa in termini di clientela, promesse e consenso). Non è forse mai accaduto, in Italia, nemmeno ai tempi del governo «tecnico» di Ciampi. Il fatto è che la «classe politica» – per usare un termine che andrebbe cancellato – è in piena Quaresima: ma con una Pasqua che appare ancora lontanissima… I partiti, insomma, arrivano senza potere e senza quasi più onore all’appuntamento elettorale che avrebbe dovuto invece decidere della durata del governo Monti e che – al contrario – si va caratterizzando come un esame delicatissimo circa le loro possibilità di ripresa e di rilancio. Il proliferare di liste civiche e l’enorme numero di candidati in campo, forse riuscirà a mascherare le difficoltà di questo o quel partito rendendo praticamente quasi impossibile separare vinti e vincitori. Ma c’è un dato che sarà difficilmente aggirabile: il livello crescente di disaffezione elettorale». 

E inoltre sui giornali di oggi:

WELFARE
IL SOLE 24 ORE  – “Welfare cattolico sotto pressione – La Cei teme che l’austerity porti a un concetto distorto di sussidiarietà nel settore sanitario”. Un interessante approfondimento sulla sanità cattolica firmato da Roberto Turno: «Il motore, la prima forza trainante sono le parrocchie. Sono diffusi per la metà al nord, Lombardia in testa, ma nelle “regioni rosse” per eccellenza, Toscana ed Emilia Romagna, l’offerta per abitante è maggiore che nel resto d’Italia. Possono contare su un esercito di 420mila operatori, il 67% volontari no profit e solo 134mila laici retribuiti. Ospedali grandi e piccoli, case di riposo per anziani e case famiglia, centri per disabili, servizi di ambulanza, fondazioni anti usura, strutture e mense per gli immigrati e per i poveri, comunità alloggio per mamme e bambini, centri per le famiglie di detenuti, comunità per la pronta accoglienza. Eccolo il Welfare della Chiesa. Una galassia di 14.214 servizi sparsi per il Paese, il 2% nati prima del Novecento, quando la Chiesa era leader incontrastata nell’assistenza socio-sanitaria, prima che lo Stato decidesse a fasi alterne di occuparsene come proprio compito e dovere. È un universo di grandi e piccole realtà, di missioni spesso sconosciute e di volontari invisibili, quella che emerge dall’identikit appena tracciato col censimento delle «Opere sanitarie e sociali ecclesiali» promosso dall’ufficio nazionale per la pastorale della sanità della Cei e dalla Consulta degli organismi socio-assistenziali. Una foto di gruppo capillare, voluta e realizzata per misurare l’attività attuale con le necessità imposte da un Welfare pubblico che cambia. (….) Il dubbio, la preoccupazione, è di essere relegati a un ruolo di «supplenza del pubblico». E allora: «Se il ruolo di supplenza del pubblico poteva avere un senso in un diverso quadro di ordinamento e di presenza (nel 1960) di una spesa pubblica pari al 2% del pil e di una spesa per protezione sociale del 15%, lo è molto meno oggi con al spesa pubblica che assorbe più della metà del pil e la protezione sociale più di un quarto». Di qui il pericolo fiutato dalla Cei, con tanto di non casuale rimando alla Costituzione (articoli 2, 4 e 118): «L’impressione è di essere davanti a un concetto distorto di sussidiarietà e a una utilizzazione del dovere di solidarietà strumentalmente dettati da esigenze di finanza pubblica e dalle inadeguatezze della pubblica amministrazione». Un atto d’accusa neppure velato al sistema in atto. E a quello che potrebbe nascere dopo le riforme in itinere con la crisi che morde. Ma anche a una burocrazia e a uno stato invadente nel quale non sempre la risposta ai bisogni socio-sanitari è il motore dell’attività e dei servizi pubblici». 

IMMIGRAZIONE
AVVENIRE – Morti altri 10 migranti africani, su un gommone proveniente dalla Libia. Lo hanno raccontato i 48 sopravvissuti. Laura Boldrini, portavoce in Italia dell’UNHCR, racconta di come nelle traversate sia cambiata la strategia dei trafficanti «che ora non rischiano nemmeno più con uno scafista a bordo e affidano il timone a un passeggero inesperto. Perciò è necessario rafforzare i controlli». Niente allarmismi, però, secondo la Boldrini su nuove ondate di arrivi: «La percezione degli italiani è che per tutto il 2011 siamo stati invasi, ma dalla Libia sono arrivati in Italia 28mila persone, quindi il problema è gestibile».

SORRIDERE
CORRIERE DELLA SERA – “Perché dovremmo sorridere almeno altri 25 minuti”: a pagina 29 Rossella Burattino riferisce di una ricerca della Sorbona: “Charles Baudelaire (che non si può certo definire un poeta del buonumore) sosteneva che «il sorriso esprime la gioia di crescere». Perché la risata, quella sana, liberatoria e rassicurante è un toccasana non soltanto per l’animo, ma anche per l’organismo. Cinquant’anni fa ridevamo per 15 minuti. Adesso il tempo si è ridotto a 5. Eppure gli esperti dell’Istituto Riza di medicina psicosomatica (www.riza.it) non hanno dubbi: la dose quotidiana di buonumore deve essere di almeno mezz’ora. I vantaggi? Lo stress diminuisce, l’insonnia migliora. Cuore, fegato e polmoni stanno meglio quando ci divertiamo. Per non parlare dello spirito. È così, anche alla Sorbona di Parigi («ribattezzata» Sorbonne drôlatique), ci si sbellica dalle risate (a fin di studio) e si può frequentare un corso sull’importanza del riso come strumento per migliorare la società”.

COLOMBIA
AVVENIRE – Apertura in prima pagina con il titolo “Fine della guerriglia, le Farc liberano tutti». Michela Coricelli racconta di come le Farc abbiano rilasciato, dopo 14 anni di prigionia, gli ultimi dieci ”scambiabili”, ovvero gli ultimi militari sequestrati. Sono stati liberati grazie a un’operazione condotta dalla Croce Rossa internazionale e dalla Ong Colombiana per la Pace (Ccp). «È un passo nella direzione giusta, ma le Farc devono liberare i civili», ha detto il presidente Santos. E racconta della «mutazione genetica» di un gruppo in cui l’ideologia è stata sostituita dagli interessi nel controllo dei traffici di droga.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA