Politica & Istituzioni

I partiti ora vedono le stelle

Crollano Pdl e Lega, tiene il Pd, ma è solo Grillo che vince

di Franco Bomprezzi

Terremoto elettorale, o quasi, nel turno amministrativo, con il crollo del Pdl, meno previsto di quello della Lega, con l’avanzata delle liste di Grillo, la tenuta del Pd. In generale un voto di protesta contro i partiti, e la ricerca di novità. Ecco come i giornali oggi affrontano la difficile lettura delle elezioni.

“Il tracollo del Pdl”, titola REPUBBLICA in apertura, dando una chiave di lettura decisa allo spezzatino elettorale delle amministrative: “Vince il centrosinistra, boom di Grillo”. Al di là delle analisi numeriche del “boom” delle liste cinque stelle, nella difformità dei risultati emersi dalle urne è sicuramente il movimento dal basso dell’ex comico a polarizzare l’attenzione, anche se nessuno, sul quotidiano di Debenedetti, azzarda un’analisi che vada al di là della cronaca numerica. Sta alla larga dal fenomeno Grillo l’editoriale di Massimo Giannini, “Un’altra politica”, tutto concentrato sull’analisi del crollo di Pdl e lega, e sulla sferzata che i risultati hanno dato alla governabilità e alla tenuta della maxicoalizione dell’ABC. Dedicata a Grillo le pp. 10-11, ma anche qui non si va a fondo. «In generale i candidati stellati si fanno largo a spese di tutti, tirano giù i consensi del Pd, bruciano di slancio quote che il Terzo polo non è riuscito a strappare con le unghie e con i denti. Nei piccoli centri i grillini faticano di più dove sono in campo le liste civiche, ma quando i partiti ci mettono la faccia la perdono, e il simbolo pentastellato schizza in alto. Persino il ferreo ministro degli Interni Rosanna Cancellieri sembra preoccupata dal boom della protesta antisistema: “era nell’aria, succede nei momenti di disorientamento”». 

Venti pagine del CORRIERE DELLA SERA di oggi dedicate al voto, tra tabelle, interviste, approfondimenti, commenti ed editoriali. Uno sforzo editoriale notevole per cercare di capire che cosa è successo. Il titolo in prima cerca di riassumere: “Crollano Pdl e Lega, la scossa di Grillo”, cui si aggiunge un lungo sommario: “Il Pd tiene, nei comuni prevale la sinistra. A Parma il movimento del comico al ballottaggio Alfano: basta vertici con gli altri segretari. Bersani: noi ora siamo più forti, Monti ci ascolti”. Il fondo è di Massimo Franco: “Non cercate alibi”. Un passaggio: “La percentuale del non voto è preoccupante ma non allarmante, visto lo sfondo di macerie della politica nel quale si inserisce. E il trionfo dei «grillini» riflette una protesta trasversale che probabilmente pesca oltre i confini della sinistra. È il contenitore di un «no» che prescinde dagli schieramenti e rispecchia confusamente, a volte con parole d’ordine irresponsabili, la voglia di spazzare via un sistema incapace di riformarsi”. E Dario Di Vico firma: “La solitudine politica del Nord” e scrive: “Da ieri il Nord è un po’ più solo. Se fino a qualche tempo fa godeva infatti di un solido punto di riferimento politico e culturale rappresentato dal binomio Pdl-Lega, il cosiddetto forzaleghismo, ora nei territori il consenso è davvero diventato liquido”. Dino Martirano a pagina 2 cerca di farsi largo fra i risultati: “ Il Pdl implode, il Pd tiene ma inciampa in Sicilia, la Lega che corre da sola perde molti sindaci in Lombardia, l’Udc e il Terzo polo deludono le aspettative, il Movimento 5 stelle ottiene uno strepitoso successo e in alcune città (a Parma il candidato grillino passa il turno) supera abbondantemente il 10 per cento. In questo quadro stravince al primo turno il leghista Flavio Tosi a Verona, sospinto dalle liste civiche che Bossi voleva bloccare, mentre a Palermo l’ex sindaco Leoluca Orlando (Idv e Rifondazione) umilia il candidato del Pd Fabrizio Ferrandelli. Marco Doria, il candidato del centrosinistra a Genova, ottiene un buon risultato personale (47%) ma dovrà attendere il secondo turno. Comunque, osserva Pier Luigi Bersani, «su 26 comuni capoluogo, la destra guidava 18 municipi e il centrosinistra 8: con questi risultati il quadro è capovolto, loro vincono in 8 capoluoghi, il centrosinistra in 18». In tutta Italia, intanto, è netta la flessione dell’affluenza che cala del 6,4%: dal 73,74% di 5 anni fa al 66,88%. Le comunali del 2012 verranno ricordate come un terremoto che ha già ha messo a soqquadro il sistema dei partiti. Il successo rilevante dei candidati del Movimento 5 stelle, molti illustri sconosciuti pescati da Beppe Grillo fuori dai circuiti della politica tradizionale, sembra aver penalizzato soprattutto il Pdl”. A pagina 5 l’analisi di Renato Mannheimer che individua nel voto tre tendenze: l’alta astensione, il fenomeno Grillo e il basso consenso ai partiti. Paolo Conti a pagina 10 cerca una spiegazione intervistando il sociologo Carlo Carboni: «Veniamo da vent’anni di crisi della politica italiana, minata da una crisi di fiducia in costante crescita tra i cittadini. Questa delegittimazione non istituzionale ma di affidabilità ha portato al risultato di ieri. L’impolitica si è nutrita anche per l’affermazione di un modello alternativo all’uomo pubblico: l’italiano che punta sul benessere personale, la sicurezza, l’agiatezza, e poi via via eccoci alla filosofia dell’iperconsumismo. Quanto di più lontano dal “cittadino politico”. In questo profilo si ritrovano pezzi importanti della società italiana. Per esempio una parte considerevole del ceto medio, che è anche ben informato su ciò che accade. C’è un po’ di snobismo, certo, ma anche una gran voglia di girare le spalle alla politica così come l’abbiamo vissuta».

IL GIORNALE apre a tutta pagina con il titolone “Sberla elettorale”. L’editoriale è di Alessandro Sallusti «Il Pdl paga le tasse e perde le elezioni amministrative, Poco consola che lo stesso si possa dire del Pd e del Terzo Polo di Casini e Fini, scomparso dalla scena». Il commento invece dell’ex direttore Vittorio Feltri che titola “Fisco da piangere? Ci tocca il comico”. «Si spera che adesso, dopo l’uragano elettorale, i partiti cambino linea, altrimenti saranno spazzati via dalla protesta popolare; e l’Italia, archiviata la Seconda Repubblica, non sarà in grado di costruire la Terza». Ma Feltri aggiunge anche «le forze politiche che hanno appoggiato il governo delle tasse sono state castigate dai cittadini» mentre «il movimento che ha ottenuto il successo più netto, è stato Cinque stelle, il cui leader Beppe Grillo, un comico, a forza di far ridere, di essere deriso, snobbato e sottovalutato, ha fatto breccia nel cuore dei cittadini bisognosi di qualcuno che interpreti i loro malumori e organizzi una protesta efficace». 

Otto pagine e la prima pagina sono dedicate alla tornata elettorale in Italia e negli altri paesi europei. IL MANIFESTO titola: “Battere il rigore” e nel sommario la lettura dei dati del quotidiano: “Con il voto in Francia, Grecia e Italia salta la centralità dei mercati. Dopo la festa alla Bastiglia, Hollande annuncia: «L’austerità non è più una fatalità». Exploit della sinistra greca di Syriza, ad Atene il leader del centrodestra Samaras fallisce e rinuncia all’incarico. E nel nostro paese travolti Pdl e Lega”. Due i commenti in prima pagina, il primo “La Francia chiama” a firma di Rossana Rossanda, mentre il secondo guarda a casa nostra “L’Italia allo specchio” ed è firmato da Norma Rangeri. « Da Genova a Palermo, queste elezioni amministrative rinnovano una bella fetta di classe dirigente, selezionano gli amministratori locali, gli avamposti istituzionali, la prima linea di fronte alla crisi sociale. (…) Non c’era bisogno che nove milioni di cittadini si recassero al seggio per capire quanto fosse profondo il distacco tra elettori ed eletti» scrive Rangeri che prosegue «Il successo della protesta grillina offre ancora un contenitore ricco di speranza così come gli scandali leghisti indeboliscono la forza del Carroccio che salva la pelle grazie al voto personale per Tosi, ma l’exploit lepenista in Francia e l’ingresso nel parlamento di Atene dell’estrema destra indicano un possibile drammatico sbocco della crisi economica anche in Italia (…)». Vale un editoriale la vignetta di Vauro dal titolo “La metamorfosi” dove sotto il disegna di una grande grillo nel suo letto si riporta la frase firmata Kafka: «Gli italiani svegliatisi una mattina da sogni agitati, si trovarono trasformati nel loro letto, in un enorme insetto immondo». Per il voto italiano in prima pagina il focus viene fatto su “Cicloni Doria e Orlando L’exploit dei grillini” e più in piccolo sulla “disfatta del Pdl” il richiamo recita: “Silvio vola da Putin e La Russa sbotta: «Basta candidati con la faccia carina»”. Da pagina 2 a pagina 5 si analizzano i risultati italiani mentre da pagina 6 a 9 occhi puntati e analisi sul voto in Francia, Grecia e Germania.

IL SOLE 24 ORE apre a tutta pagina sulle elezioni “Europa-Italia, protesta e voglia di crescita”. L’editoriale di Roberto Napoletano si intitola “Senza più alibi”: «Il dato politico italiano non si distingue molto da quello francese e da quello greco, ma i partiti che sostengono il governo commetterebbero l’errore più grave se sottovalutassero il voto di protesta che si è espresso con un forte assenteismo, il boom delle liste di Grillo e una contrazione differenziata ma netta dei propri consensi elettorali (tiene con fatica solo il Pd). In questo contesto, la strada stretta di Monti ha due percorsi obbligati. Uno in casa, l’altro fuori. In Italia non ha più alibi, deve fare poche cose, ma subito. Si inventi lo strumento, lo trovi, e restituisca alle imprese la liquidità dovuta dallo Stato. Dica, ad esempio, alla Cassa Depositi e Prestiti di non perdere tempo dietro progetti che rischiano di “ripubblicizzare” ciò che si vuole mettere sul mercato (la rete di Snam) e di individuare il modo per farsi garante presso gli istituti di credito e sbloccare le somme dovute dalla Pubblica Amministrazione. Sono tempi che impongono priorità. Spieghi bene che l’Imu preserva criteri selettivi e di equità, ma si ricordi che il nuovo fardello si aggiunge a un carico mostruoso di tasse e rende, quindi, eticamente improponibili ulteriori rinvii nei pagamenti pubblici. Aggredisca gli sprechi, selezioni i sussidi, riduca il perimetro dello Stato: si libereranno risorse per abbassare i prelievi contributivi e fiscali. Dichiari guerra alla burocrazia e agisca in profondità su corruzione e finanziamenti ai partiti. Aiuterà (molto) le forze politiche della sua coalizione, non potranno che ringraziarla. Ritrovi lo spirito dei primi trenta giorni e prenda le decisioni giuste». Stefano Folli, parla di “Messaggio chiaro alle forze politiche”: «Il sistema politico italiano è agli inizi di una possibile eruzione. E da parte di qualcuno c’è la tentazione di scaricare tutto sul governo Monti, in nome del consenso elettorale da riguadagnare. Sarebbe l’ultimo errore, in grado davvero di spingere l’Italia verso una forma di ingovernabilità alla greca. È noto, in ogni caso, che a sinistra si sognano le elezioni anticipate. Ma solo se la destra fosse così ingenua da provocare essa stessa la caduta di Monti. Sarebbe quello sbocco “populista” che Alfano e lo stesso Berlusconi hanno fin qui evitato con decisione. Ma le pressioni interne ed esterne aumentano. Forse perché una campagna elettorale è più facile e meno onesta di un serio lavoro di auto-riforma che coinvolga l’intero sistema politico. Alfano, Bersani e Casini sono in ritardo su tutte le tabelle di marcia, riguardo al rinnovamento. Ma scaricare le inadempienze sul governo Monti vorrebbe dire accentuare l’irresponsabilità della politica. Alimentando, invece di contenere, nuovi successi dei “grillini”, il bau-bau dei partiti».

“I partiti nel tritacarne”. È questo il titolo di apertura di ITALIA OGGI. Questa la chiave interpretativa del quotidiano giallo: «(I partiti) hanno contro i non votanti, le schede nulle e 5 stelle. Vera disfatta del Pdl. Il Pd umiliato a Palermo (da Orlando) e a Genova (da Doria)». “Troppi tecnici e il fisco è finito a Spoon River” è il Punto di Edoardo Narduzzi: «Dalla nascita del governo Ciampi, a cavallo tra le due repubbliche, con la sola eccezione della breve stagione di Ottaviano Del Turco (ministro delle Finanze con Vincenzo Visco contestualmente ministro del Tesoro) ad oggi, quindi dal 1993, i ministri delle Finanze della Repubblica sono sempre stati dei tecnici», e, ragiona Narduzzi, «Uno si aspetterebbe di avere oggi, al tramonto della cosiddetta Seconda repubblica, un sistema fiscale riformato, efficiente, concentrato su poche imposte, in grado di intercettare la vera capacità contributiva e capace di favorire lo sviluppo economico e l’occupazione. Invece è tutto l’opposto. La miglior riforma partorita è l’Irap, una tassa unica al mondo che sfido chiunque a spiegarla con successo a qualsiasi imprenditore o manager non italico… Se il confronto si fa senza esclusioni di colpi e su scala planetaria per attrarre i migliori fattori produttivi, capitale umano specialistico e risparmio globale, e si decide, a ridosso del lancio dell’euro, di varare l’Irap che questi fattori penalizza, allora significa che i professori mandati al governo avevano una visione strategica limitata, andavano bene per scrivere paper e fare modelli alla lavagna o al computer, non per tracciare una rotta competitiva e di sviluppo». Sempre a  pagina 2 Marco Bertoncini firma la Nota politica sotto il titolo “L’antipolitica adesso non si può più negare”: «i rileva che mettendo insieme chi non è andato volontariamente a votare, chi ha espresso scheda bianca, chi ha annullato volutamente la scheda, e chi ha votato per liste e candidati avvertiti come antipolitici, non si giunge a livelli greci, ma insomma a un margine preoccupante, per i partiti del palazzo. Attenzione: càpita che fra i portacolori dell’antipolitica non ci siano soltanto i grillini, ma vengano percepiti come tali uomini da decenni inseriti nella politica politicante (il caso di Leoluca Orlando, davvero oltre le attese, insegna). Non si esagera asserendo che un italiano su due, o non votando o votando in certo modo, si è espresso contro il sistema politico attuale.» 

Due titoli efficaci oggi su AVVENIRE in prima pagina per raccontare le elezioni amministrative. L’apertura è dedicata ai “Partiti in polvere e alla prova”, con la sottolineatura dell’astensionismo arrivato al 35% e il “crollo” della Carroccio al Nord (eccezion fatta per la Verona di Tosi). L’editoriale di Marco Tarquino, il direttore, si intitola invece “La macchina delle sberle/2”, che sottolinea come poco sia cambiato rispetto a 
un anno fa, «a conferma che il tramonto senza gloria dei partiti continua», con il 7% in più di astenuti. La sua sintesi è questa: «Vincono più le facce che i partiti, che spesso finiscono in polvere. Perde peso il Pdl post 
berlusconiano ma non ancora alfaniano, ma il Terzo Polo imperniato sull’Udc e su scelte di allaenza a macchia di leopardo non riesce a giovarsene. […] Il Carroccio un po’ traballa e un po’ tracolla […] e il Pd si ritrova detentore di un primato malinconicamente residuale, da “usato sicuro”». Beppe Grillo e il suo Movimento 5 stelle ha «risultati così così». Nelle pagine interne, intervista al sociologo Daniele Marini, direttore della Fondazione Nord Est, che invita a non interpretare il voto al Movimento 5 Stelle «solo come rifiuto della politica. In questo voto trova espressione anche la domanda di una politica onesta e di autentico rinnovamento che non va lasciata cadere». 

«Cadono Pdl e Lega, boom di Grillo» è il titolo di apertura de LA STAMPA. Diversi i commenti. Secondo Gramellini è «un no ai partiti, non alla politica».  Scrive il vicedirettore: «Si può buttarla sul ridere e dire che Grillo non è una sorpresa: in fondo sono vent’anni che gli italiani votano un comico. Oppure strillare contro la vittoria dell’antipolitica, come fanno i notabili del Palazzo e i commentatori che ne respirano la stessa aria viziata. Ma conosco parecchi nuovi elettori di Grillo e nessuno di loro disprezza la politica. Disprezzano i partiti. E credono, a torto o a ragione, in una democrazia che possa farne a meno, saltando la mediazione fra amministrati e amministratori». Per Marcello Sorgi invece è un voto che «non è aiuto al governo». Ma ci sono dei dati certi: «Il maggior sconfitto è il partito maggiore, il Pdl ridotto al lumicino e battuto a Palermo, la città da cui partì undici anni fa l’offensiva del 61 a zero nei collegi, e dove il segretario Alfano, che viene dalla scuola siciliana del centrodestra, non era riuscito neppure a presentare un candidato del Pdl. Il paradosso dell’ex-partito del presidente è che con Berlusconi è impresentabile, ma senza è diventato inesistente. E soprattutto che i voti berlusconiani in libera uscita non vanno al Terzo polo, altra promessa tradita di queste elezioni». Mentre Federico Geremicca sottolinea che l’unico a reggere è il Pd, «argine contro la disperazione». «Ci si potrà interrogare a lungo intorno al risultato ottenuto dal partito di Bersani: si potrà, cioè, andare a cercare il pelo nell’uovo oppure dettagliare complicate spiegazioni circa la sua capacità di resistenza di fronte alla slavina che ha investito l’intero sistema politico. Ma forse varrebbe la pena di accontentarsi – per il momento – di analisi semplici, a cominciare da quella che riguarda – in fondo – la natura stessa del Pd: l’unico partito realmente strutturato lungo tutta la penisola e che – erede di due forze storiche e diversamente ideologiche (la Dc e il Pci) – gode di un residuo “voto di appartenenza” che ne permette la tenuta anche in momenti difficili come quello in questione». A mettere il risultato italiano in un contesto globale è Gianni Riotta. Il suo fondo si intitola «È il  momento dei veri leader». Scrive Riotta: « Tocca ai leader, a veri leader, ritrovare equilibrio fra Rigore e Sviluppo. Devono però parlare ai cittadini con calore e onestà, ai cuori non agli algoritmi. Nei paesi sviluppati, come in quelli in via di sviluppo, leader illuminati devono guidare le opinioni pubbliche a conti seri e alla New Economy. Prezzo del fallimento è l’ascesa indignata dei populisti alla Grillo o Syriza che, davanti alla realtà, svaporerà presto lasciando nuovo disincanto. Più aspro sarà sradicare gli estremismi alla Alba Dorata in Grecia a alla Orban in Ungheria, una volta che rimetteranno le radici velenose dell’odio. Perché le riforme servono all’economia, ma anche alla democrazia».


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