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Welfare & Lavoro

Il sindacalista della Fiom: «L’Ilva non deve chiudere»

Stefano Sgobbio è anche padre di un bambino: «non c’è lavoro senza un ambiente pulito, ma non c’è ambiente neanche se non c’è lavoro»

di Francesco Dente

«Aspetti un attimo, per piacere. Devo scendere per parlare». Stefano Sgobbio, responsabile Ilva della segreteria Fiom di Taranto, è in giro sulla moto quando lo raggiungiamo al cellulare. Il giorno dopo la decisione della magistratura ionica di disporre lo stop, senza facoltà d’uso, dell’intera area a caldo dello stabilimento siderurgico e gli arresti domiciliari per otto figure di vertice della più grande acciaieria d’Europa, gli ingressi e le uscite della città sono bloccati dagli operai. Sgobbio è appena rientrato da uno dei presidi.

Segretario, come commenta i provvedimenti del Giudice per le indagini preliminari, Patrizia Todisco?
Quello che noi temevamo, e cioè che la magistratura depositasse la notifica del sequestro degli impianti, purtroppo è avvenuto. Per cui, oltre gli otto arresti, il Gip ha disposto la fermata di tutta l’area a caldo degli stabilimenti affidando la custodia non all’azienda stessa ma ai funzionari dell’Arpa Puglia, l’Agenzia regionale per la prevenzione e la protezione dell’Ambiente. Lo stop comporterà di fatto la chiusura non solo dello stabilimento di Taranto ma, a valle, degli impianti di Genova, Novi Ligure e Racconigi. Lo stabilimento integrale di Taranto fornisce infatti tutta la filiera del Gruppo Riva.

Aveste preferito che la magistratura lasciasse in attività gli impianti, nonostante il sequestro?
Sì avremmo preferito che predisponesse ulteriori interventi migliorativi mantenendo però gli impianti in marcia. Perché nel momento in cui si chiudono gli impianti lo stabilimento diventa inservibile e non è facile rimetterlo in moto. Sarebbe molto più facile, inoltre, svolgere operazioni di bonifica tenendo in funzione gli stabilimenti.

Perché?
La chiusura rischia di innescare una bomba ecologia perché in tal caso sarebbe da bonificare l’intera area e perché i 300 milioni stanziati sarebbero una centesima parte di quanto necessario. L’area inoltre andrebbe presidiata dalle forze dell’ordine perché non si può certo lasciare un’area di questa estensione abbandonata a se stessa.

Che cosa proponete?
I lavoratori sono estremamente preoccupati perché nel momento in cui l’area a caldo dovesse fermarsi si bloccherebbe l’impianto intero. Sono a rischio migliaia di posti di lavoro non solo a Taranto. Con i lavoratori abbiamo deciso lo sciopero a oltranza per cercare di dare uno spiraglio alla vertenza, una vertenza complicatissima dal punto di vista giuridico perché l’unica possibilità che si può prevedere è il riesame della decisione della magistratura. Chiediamo con urgenza l’intervento del Governo. Ci sono tutte le condizioni per migliorare l’impatto ambientale dello stabilimento grazie alle tecnologie eco-compatibili. Negli ultimi dieci anni sono stati compiuti da questo punto di vista degli importanti passi in avanti. Noi riteniamo che la strada da percorrere sia quella di mantenere gli impianti in movimento continuando con queste azioni e chiamando a rispondere tutti gli attori che in questi 40 anni hanno contribuito a determinare la situazione attuale. I lavoratori non possono essere gli unici a pagare le scelte fatte nel passato. Oggi con interventi mirati in termini rapidi si possono rendere gli impianti eco-compatibili e consentire la convivenza di ambiente e lavoro.

Come spiega ai suoi figli la contraddizione tra tutela della salute e dei posti di lavoro?
I miei figli vivono in questa città. È per loro che dobbiamo lottare per dargli un futuro che coniughi ambiente e lavoro. Non è uno slogan: non c’è lavoro senza un ambiente pulito, ma non c’è ambiente neanche se non c’è lavoro. Mio figlio lotta insieme a me perché la città diventi pulita in tutti sensi secondo la strada che abbiamo intrapreso.


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