Cooperazione & Relazioni internazionali

Welfare State, se anche la Gran Bretagna alza bandiera bianca

Cameron lancia una legge che prevede l’individuazione di un tetto massimo pari all’1% oltre il quale i sussidi di maternità, l’indennità di disoccupazione, gli assegni per i figli a carico, et similia non potranno subire ritocchi determinati dal tasso d’inflazione che è del 2,7%

di Alceste Santuari e Alessandro Venturi

Should citizens of welfare state be transformed into “Queens”?
Chissà cosa direbbe Lord William Henry Beveridge, che con il suo Beveridge Report on the Social Services delineava le fondamenta del moderno welfare state, dell’approvazione in seconda lettura dd. 8 gennaio u.s. del Welfare Benefits Up-rating Bill (House of Commons Bill 116) da parte del Parlamento britannico.

Il Governo di David Cameron ha infatti ottenuto il via libera (con l’opposizione moderata del Labour Party) alla proposta di legge che prevede l’individuazione di un tetto massimo pari all’1% oltre il quale i sussidi di maternità, l’indennità di disoccupazione, gli assegni per i figli a carico, et similia non potranno subire ritocchi determinati dal tasso d’inflazione che è del 2,7%. Il ministro competente Iain Duncan Smith, durante la discussione parlamentare, ha sottolineato che la sua proposta mira a realizzare un sistema di welfare basato sulla “sostenibilità, integrità ed equità”.  
In altre parole quel welfare ideato dal liberale Beveridge, costa troppo e non aiuta chi dovrebbe aiutare. 
“Giustizia” ed “equità” devono procedere di pari passo se non si vuole pagare il prezzo di una frattura sociale incolmabile. Un welfare che non sia equo è mal sopportato e diviene nel tempo insostenibile.

E’ la realizzazione della Big Society, archetipo di stato leggero e società civile pesante caro al Prime Minister Cameron? Oppure è la presa di coscienza che anche Oltre Manica il sistema di welfare storico non riesce più a reggersi dal punto di vista finanziario? Indipendentemente dalle chiavi di lettura, il fatto rimane incontrovertibile: nella patria del welfare state, le istituzioni pubbliche denunciano la loro incapacità di fare fronte alle numerose istanze provenienti dalla società civile, e in particolare, dalle fasce più deboli della stessa. 
In molti si sono stracciati le vesti, invocando una maggiore tassazione dei redditi più alti per assicurare l’adeguamento all’inflazione dei sussidi statali. 
Il punto è un altro: una spesa pubblica che continua a lievitare per il welfare non è più sostenibile, non solo economicamente. 
I bisogni aumentano per quantità e qualità e la cultura del welfare pubblico, sapientemente tradotto dal costituzionalismo liberaldemocratico nei diritti sociali, ha educato intere generazioni all’irresponsabilità, tanto prima o poi qualcuno pagherà il salato conto, incuranti dei diritti delle future generazioni.
Non si tratta di smantellare il sistema universalistico che contraddistingue il welfare di matrice europea, ma di prendere atto che un sistema incentrato sul drenaggio di risorse pubbliche disincentiva le opportunità e iberna i bisognosi in uno stato di dipendenza.
La spesa pubblica alimenta l’incapacità del saper fare da sè in modo responsabile, induce la domanda di prestazioni assistenziali e deresponsabilizza la persona. Vale dentro la famiglia, vale nella famiglia allargata che è la societas.

La storia ci insegna che sempre nei momenti di grande difficoltà la forza creativa della persona ha sapientemente tradotto il sapere nel sapere fare insieme – è nata così, per esempio, la necessità sociale della fraternité che sin dai tempi del Rinascimento ha dato vita alle Misericordie e ai Monti di Pietà – è per questo che non si può e non si deve alimentare la spesa pubblica nè ricorrendo a nuove tasse nè alla leva dell’indebitamento, a prescindere dalla sua (in)sostenibilità. 
Il doloroso provvedimento varato dal Governo Cameron sembra  giusta direzione (il Labour Party, all’opposizione, non è salito sulle barricate, conscio che trattasi di un provvedimento che, anche se a fini meramente elettorali, potrà aiutare un futuro governo laburista), inverte una tendenza che nell’Europa continentale, Germania compresa, pare essere ben radicata, a fronte di una pressione fiscale divenuta insostenibile per le famiglie e le imprese.
La crisi finanziaria internazionale, che si è innestata sulla ben più grave e duratura crisi dello stato-nazione, ha rimesso in discussione la stessa capacità di autodeterminazione degli stati sovrani. In un simile contesto, l’unica possibilità, per non cedere definitivamente il passo al diritto dei più forti, è quella di accompagnare quel processo di “empowerment” di tutte le persone, indipendentemente dalla loro provenienza e dal contesto in cui sono cresciute, che con le loro domande e i loro bisogni devono diventare i protagonisti del nuovo welfare.
Il Welfare Benefits Up-rating Bill rappresenta dunque un passo nella direzione di riqualificare la presenza dello Stato nella vita dei cittadini e delle imprese. Non uno Stato dedito al government ma alla governance degli interventi sociali.
 

Articolo tratto da www.personaedanno.it


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