Education & Scuola

Cari dirigenti, fate i fundraiser

La scuola pubblica deve fare fundraising? Le dichiarazioni del ministro Carrozza hanno acceso il dibattito. Alcune esperienze di punta già ci sono. Eccole

di Sara De Carli

Uno sponsor per i laboratori teatrali a Monza, una rottamazione di vecchi banchi a Novara, cinquanta computer a Roma: domenica il Corriere della Sera citava questi tre esempi per dare corpo al «computer e lavagne sponsorizzate, a scuola è partita l’era dei privati», con cui accompagnava l’annuncio del ministro Maria Chiara Carrozza di voler lavorare per la defiscalizzazione delle donazioni alle scuole. Ed è ripartito il dibattito sull’opportunità che le scuole facciano fundraising.

La realtà però è già molto più avanti. Pur con l'attenzione a non trasformare il sostegno in una sussidiarietà impropria che si sostituisca ai doveri dello Stato. A Milano già lo scorso marzo Radiomamma con la Fondazione Lang Italia aveva realizzato un workshop e un manuale per insegnare ai genitori come raccogliere e come gestire soldi a beneficio delle scuole frequentate dai figli. A Mantova invece Cristina Bonaglia, dirigente dell’Istituto Fermi, con il fundraising ha ristrutturato l’intera nuova ala della scuola, che da settembre ospita dieci classi del liceo delle scienze applicate. «Si tratta di dieci aule che erano al grezzo e che oggi sono aule 3.0», spiega la dirigente. Cioè aule con il wi-fi, la Lim, i banchi mobili, quattro videoproiettori, quattro schermi e quattro lavagne tradizionali, in modo che ogni gruppo di lavoro – come pure ogni singolo alunno – possa proiettare e interagire con tutti. E al posto della cattedra? C’è un maxi touch screen. «L’unico contributo pubblico arriverà dalla Provincia di Mantova, che sistemerà il selciato all’ingresso», precisa. Il resto è arrivato dalle donazioni di privati, attraverso il fundraising gestito in proprio dalla scuola e quello promosso da e tra i genitori, attraverso l’associazione FermiTutti, nata lo scorso anno.

«Ci vuole proattività, non possiamo aspettare di muoverci solo quando ci sono soldi del Miur altrimenti la scuola implode, noi dirigenti dobbiamo imparare a fare fundraising», dice la dirigente Bonaglia. «Ho letto le dichiarazioni del ministro, non sono certo una rivoluzione, però ben venga un intervento sulla defiscalizzazione: la realtà è che ci sono ancora troppi intoppi burocratici che vanno nella direzione contraria». Le donazioni fatte all’associazione di genitori, ad esempio, non sono per nulla detraibili, benché proprio quella sia la strada che al Fermi hanno scelto per gestire i contributi volontari (210 euro per questo anno scolastico) chiesti ai genitori: «è una scelta che abbiamo fatto per due ragioni. La prima è di trasparenza, perché è giusto che i soldi chiesti ai genitori siano gestiti in un budget a parte e che vadano a obiettivi precisi. In anni passati sono stati usati per pagare i supplenti, non è a questo che devono servire e se l’utenza non vede con chiarezza la destinazione di questi contributi è disincentivata a versarli», spiega. Quest’anno i contributi volontari serviranno per io laboratori, per acquistare i libri di testo che vengono dati in prestito a chi non può comprarli o al potenziamento della didattica curricolare con gli assistenti di madrelingua. La seconda ragione è pragmatica: «con la spending review del 2012 tutti i fondi delle scuole sono passati dalla Banca Tesoriera dell'Istituto alla Banca d'Italia, e di conseguenza tutte le scuole hanno perso tutti gli interessi maturati. Per noi si tratta di circa 6.000 all’anno, con cui pagavo la formazione degli insegnanti. Non ci piaceva l’idea di chiedere soldi ai genitori e poi essere obbligati a metterli in un conto che non è della scuola, non va nella direzione della rendicontazione sociale».

Attraverso l’associazione, racconta la preside, si sono aperte possibilità che non immaginavamo, perché i genitori si sono immediatamente sentiti responsabilizzati e hanno messo a disposizione competenze che altrimenti sarebbero rimaste invisibili alla scuola: c’è chi ha fatto interventi di piccola manutenzione, chi ha mandato i suoi tecnici a cablare la scuola, chi ha donato un camion di ghiaia. «Del fundraising gestito dalla scuola mi occupo io in prima persona», dice Bonaglia: «bisogna però capovolgere l’ottica, non si tratta di una classica raccolta fondi ma di presentarsi avendo la fiducia di essere noi scuola una risorsa per il territorio, che si mette in dialogo con altre risorse, perché la scuola forma un capitale sociale di cui il territorio poi beneficia». Un esempio? C’è una società che fa corsi di autocad all’interno dei locali della scuola, la sera: in cambio dà alla scuola licenze, manutenzione, frequenza gratuita dei corsi per alunni e docenti. «L’accordo prevede che metteremo il loro logo sul sito della scuola, ma non lo considero affatto un problema: se un ragazzo sa che in questa scuola può avere gratis una certificazione di una competenza che fuori gli costerebbe parecchi soldi, è un vantaggio per lui e per la scuola». Un do ut des pragmatico in cui Bonaglia non vede nulla di scandaloso. Ma aggiunge: «E comunque c’è sempre anche un’altra strada, quella dei bandi, a cui però non siamo per nulla abituati a guardare».

 


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