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I nostri figli autistici vogliono visi sorridenti

Dopo "Se ti abbraccio non avere paura", il 20 novembre uscirà il libro che racconta l'intera storia di Franco e Andrea Antonello e la loro vita con l'autismo.

di Sara De Carli

«Andrea, puoi dire qualcosa per tutti quei genitori che hanno un ragazzo con autismo che non riesce a comunicare? Ci sono genitori che non hanno mai avuto un solo pensiero dal loro figlio». «Ciao genitori belli di tutti sono graditi visi sorridenti».
Anche Andrea è un ragazzo autistico, ma da mercoledì 20 novembre sarà ufficialmente anche uno scrittore. Quel giorno uscirà infatti “Sono graditi visi sorridenti” (Feltrinelli), che proprio da questa frase di Andrea prende il titolo. Una parte della storia di Andrea – quello straordinario viaggio di tre mesi in moto, lui e suo papà, in giro per l’America – è già stata raccontata da Fulvio Ervas in “Se ti abbraccio non avere paura”, che l’anno scorso fu un sorprendente bestseller: questo secondo volume è scritto direttamente da Andrea e da suo papà, Franco Antonello, per ripercorre tutta intera la loro storia, ancora prima di quella sera in cui Franco tornò a casa con un vassoio di tortellini in mano e trovò il suo borsone da calcio zuppo d’acqua, sul pavimento di casa, sua moglie Bianca in lacrime e Andrea che fissava i cubetti delle costruzioni sotto la pioggia, con lo sguardo vuoto. Abbiamo incontrato Franco in Feltrinelli, mentre firma copie del libro emozionato e felice, prima dell’uscita: «Mi dicevano che ero pazzo a fare quel viaggio, ne è uscita una delle cose più belle della mia vita».

Franco, “Se ti abbraccio non avere paura” è nato quasi per caso. Come ha vissuto questo successo?
Il libro è nato completamente per caso. Ervas è stato favolso, mitico. Pensa che io avevo già in mano un preventivo di 3mila euro per far stampare 500 copie: le davo agli insegnanti e ai compagni di scuola di Andrea, ai miei amici, a quelli che conosciamo. Per me era già un risultato fantastico.

Qual è l’obiettivo di questo secondo libro?
È stata una proposta che ci è arrivata da Feltrinelli, ci hanno chiesto di non raccontare una parte della nostra storia ma tutta la nostra vita, per intero. È stata Feltrinelli che ci ha preso per mano. Sapere che io e Andrea siamo due scrittori è bello, ci piace giocare con questa cosa, ma l’obiettivo ora è coinvolgere il più possibile aziende e privati. Sai cosa? Per l’altro libro non hai idea di quanti complimenti ci hanno fatto, ci è arrivato mille volte di più. Però non è arrivato niente di concreto. Questo secondo libro è una sfida: è bello quando emozioni le persone con una storia, adesso questo libro dice “facciamo qualcosa”. Infatti la parte a cui tengo di più è la seconda, in cui parlo delle attività per aziende e per privati della Fondazione I bambini delle Fate, che ho creato. Sono curioso di vedere se farà la stessa strada dell’altro [la testimonianza dell’impegno di Franco Antonello nel sociale sarà raccontata sul numero di VITA di dicembre, ndr].

Andrea è stato coinvolto in questa avventura: come la vive? Nel libro racconta dell’emozione di vederlo entrare ad una presentazione, quasi fendendo la folla, acclamato…
Tu non hai idea di quanti sensi di colpa e quanta vergogna ho provato negli anni, quando uscivamo con Andrea e c’era sempre da giustificare qualche suo comportamento. Adesso ne vado fiero, e se ne vado fiero è giusto parlarne e se ne parliamo cominciamo a costruire qualcosa. Ad Andrea essere scrittore piace, si diverte, è fiero di sé, ha voluto scrivere l’introduzione e la parte finale, ci sono brani scritti da lui e riportati esattamente come lui li ha scritti… La cosa che mi fa impazzire di lui è che continua a dire che vuole che la sua storia serva a chi è meno fortunato.

C’è una frase di Andrea che mi ha molto colpito: «Vita bella sembra la nostra ma molto soffriamo ogni giorno. Io vorrei che la gente vedesse anche questo».
Lui mi ripete  “voglio che mi vedano del mio problema, papà non raccontare le favole, racconta la verità”. Quando andiamo in televisione io gli dico sempre “mi raccomando Andrea, non toccarmi la pancia, non mettermi il braccio in bocca, non fare uhuhuh”. Lui non lo dice, non è che dialoghi con me in questo modo, ma fa quella faccia sorniona che vuol dire “non vuoi questo? Io questo ti faccio, perché devono vedere cos’è l’autismo”. È proprio per questa consapevolezza che secondo me i ragazzi autistici hanno che poi ci dicono «dateci visi sorridenti».

Il libro precedente ha avuto un enorme successo, ma anche qualche critica, per il fatto che lei abbia raccontato di diversi metodi alternativi a cui avete fatto ricorso, come alimentando le false speranze dei genitori. In questo libro parla del nesso fra autismo e vaccini, un tema delicatissimo: perché ha voluto affrontarlo esplicitamente?
Io non sono un esperto, non dico che l’autismo è causato dai vaccini. Questo però è ciò che tante famiglie pensano e adesso che ho visibilità io lo dico, perché è quello che tutti vorrebbero dire. So che è un tasto delicato, ma mi piacerebbe che ci fosse un’informazione giusta su questo. Mi hanno scritto 6mila genitori su questo tema, qualcosa deve esserci. Quanto ai metodi alternativi… io dico che bisogna non aver paura di niente e provare qualsiasi cosa. Il viaggio in America con un ragazzo autistico per tutti era una pazzia, non si doveva fare, invece ne sta uscendo una delle cose più belle della mia vita. Come dice Ligabue, che cito anche nel libro: “informati bene sulle cose, ma poi trasgredisci qualcosa, infrangi qualche regola perché infrangendo qualcosa potrai fare un passo avanti”. Poi non c’è dubbio che sono il primo a dire che il Teacch e l’Aba sono le due cose che ci hanno dato dei risultati, non certo le strade alternative.

In questo periodo diversi libri sull’autismo stanno avendo successo. Come se lo spiega?
Sai che a Castelfranco Veneto ci sono 100 ragazzi con autismo su 35mila abitanti? In tutto il mondo è così, solo che nessuno ci crede. Sono tutti nascosti. Una volta i matti si tenevano in manicomio, oggi si tengono in casa: è giusto? Adesso l’autismo di colpo è di moda, se ne parla tantissimo. Io non so perché, ma dico “era ora!”. Non mi piace quando i racconti e le interviste vanno a descrivere un presunto mondo fantastico che c’è dietro l’autismo, come se chissà quali capacità eccelse questi ragazzi avessero. Ma accetto anche questo se serve per parlare di loro… Insomma, finalmente se ne parla, se se ne parla si può cominciare a fare qualcosa di concreto e io… se c’è da ballare il tip tap, ballo il tip tap.

Colpisce che siate tutti papà. Le mamme dove sono?
Le mamme sono in prima fila. I papà arrivano dopo, sempre e comunque. Però anche le mamme scrivono. Non lo chiamerei protagonismo dei papà, anche qui è solo un togliersi la vergogna e la paura di parlarne, non hai idea di quanti sensi di colpa e quanta vergogna in questi anni, quando uscivamo con Andrea e c’era sempre da giustificare qualcosa. Adesso ne vado fiero, e se ne vado fiero è giusto parlarne. Se ne parliamo cominciamo a costruire qualcosa.


 


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