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La lezione di Rob Hopkins, il guru delle Transition Towns

Giovedì 13 la Fondazione Cariplo a Milano ospita la lecture dell'ambientalista inglese. Ecco come fare a partecipare. Prevista anche la diretta streaming

di Redazione

Il movimento delle Transition Towns è un fenomeno piuttosto recente, un tentativo di generare processi di riorganizzazione profonda dell’economia e degli stili di vita come risposta alla drammatica convergenza di situazioni di crisi che caratterizzano questa fase storica.

Uno dei fondatori del Movimento è Rob Hopkins (qui il suo blog). Il quotidiano inglese “The Indipendent” lo ha inserito nella classifica delle 100 personalità inglesi che si sono distinte per meriti ambientalisti. Giovedì 13 marzo Hopkins sarà ospite della Fondazione Cariplo (in allegato la locandina) per una lecture introdotta dal Segretario generale della Fondazione Pier Mario Vello, che potrà anche essere seguita in streaming (ingresso libero con prenotazione obbligatoria su www.fondazionecariplo.it, Per info: comunicazione@fondazionecariplo.it).

Ma cos’è il Movimento delle Transition Towns?

LE ORIGINI

Il movimento delle Transition Towns è un fenomeno piuttosto recente, un tentativo di generare processi di riorganizzazione profonda dell’economia e degli stili di vita come risposta alla drammatica convergenza di situazioni di crisi che caratterizzano questa fase storica.

Nel contesto delle Transition Towns si affrontano in modo completamente nuovi problemi che potremmo ormai definire “vecchi”. Almeno dagli anni ’70 abbiamo modelli piuttosto accurati del percorso che l’economia della crescita avrebbe seguito in assenza di una gestione oculata delle risorse.


LA CRISI

Oggi, come prevedibile, i nodi vengono al pettine e come possiamo leggere ormai in tutti i documenti ufficiali delle più importanti organizzazioni internazionali (IEA, IPCC, WORLD BANK, FMI, FAO, ecc.) certificano il convergere di una crisi energetica (picco della capacità estrattiva di petrolio e crollo dell'ERoEI), ambientale (riscaldamento globale / inquinamento) ed economica (debito / iniquità sociale / disoccupazione) che stanno modificando profondamente il nostro presente e le aspettative sul futuro.


L’IDEA DELLA TRANSIZIONE

Rob Hopkins immagina un processo di reazione a questo scenario che possa essere messo in atto partendo da piccoli gruppi di cittadini senza necessariamente attendere il coinvolgimento delle istituzioni (comunque auspicabile). Immagina un partire da “qui e oggi” con quello di cui disponiamo e un muoversi verso un futuro in cui le società umane saranno riorganizzate in modo da vivere in equilibrio con le risorse del pianeta e in cui le risorse stesse saranno divise in modo equo tra tutti. Questo percorso è la Transizione energetica, sociale, culturale, organizzativa che la nostra società deve affrontare.

Un pensiero che può sembrare un po’ utopico, ma che si concretizza in scelte e azioni estremamente concrete. È importante imparare dagli errori del passato, nella storia recente sono innumerevoli i tentativi per cambiare strada, ma sono tutti falliti. Consapevoli di questo, nel contesto delle Transition Towns si sceglie di governare il processo con principi nuovi. Al centro delle attività c’è il concetto di RESILIENZA, ciò che serve a rispondere a crisi multiple che sono già in atto. Non si usano approcci ideologici e TUTTI possono realmente diventare parte del processo.

Pensiero critico e metodo scientifico sono gli strumenti scelti per analizzare ciò che accade nel mondo, ma le emozioni e i processi empatici sono tenuti in altissima considerazione al fine di favorire la nascita di spazi di cambiamento personali, dei gruppi e più in generale della società: è così che si arriva all’azione, con un percorso che spesso viene sintetizzato come Testa-Cuore-Mani .

A disposizione di tutti i gruppi di Transizione c’è un ampio campionario di strumenti cognitivi e di facilitazione e una rete molto vasta di ricercatori in grado di tutelare la qualità e la correttezza delle informazioni. Il network della Transizione si occupa di fornire gli ingredienti, le comunità a livello locale decidono le ricette adatte alla loro specifica situazione.


IN PRATICA

Dopo i primi esperimenti pratici, tutto sembra confermare che è molto importante preoccuparsi di COME si governa il processo e non tanto di COSA fare. E, paradossalmente, questo atteggiamento fa diventare subito la Transizione un movimento che fa, e fa tantissimo. Ormai c’è un’intera collana di libri e documenti che serve solo a raccogliere gli esperimenti sul campo in ogni ambito: produzione di cibo, riqualificazione edilizia, mobilità, ricostruzione dell’economia del territorio, REconoy, ecc.

La Transizione è altamente contaminante e virale, è realmente inclusiva e quindi facilmente sposta la sua azione dal livello personale, a quello di piccolo gruppo operante in una comunità, a livelli differenti: amministratori pubblici, imprenditori, istituzioni.


IL PREMIO EESC

Nel 2012 il Comitato Economico e Sociale Europeo manda i suoi commissari a osservare 13 iniziative di Transizione in altrettanti paesi europei per osservare gli effetti del processo sul campo, in quell’anno conferisce al Transition Netwok il suo premio per l’innovazione sociale. È il segnale di un’attenzione sempre crescente degli ambienti istituzionali al fenomeno della Transizione.


OGGI NEL MONDO

Ci sono oggi poco meno di 2.000 esperimenti ufficiali di Transizione in tutto il mondo, in paesi e contesti molto diversi e la propagazione continua.


IN ITALIA

Anche in Italia molto lavoro è già stato fatto. Una trentina di gruppi sono attivi, con una particolare densità in provincia di Bologna. Le attività coinvolgono spesso le amministrazioni pubbliche in percorsi di collaborazione o, in alcuni casi, in vere e proprie partnership strategiche.

Anche qui assistiamo ai vari stadi di evoluzione di questo processo. Dal cambiare le proprie abitudini personali attraverso azioni dei singoli o di piccoli gruppi, al modificare collettivamente scelte e percorsi di una comunità più ampia. Grazie all’approccio aperto e flessibile del processo di Transizione, molti strumenti possono essere reinterpretati e adeguati per facilitare le scelte delle comunità.

È il caso ad esempio del Patto dei Sindaci proposto dall’UE, che può essere una buona base da cui far partire processi di profonda transizione energetica e decarbonizzazione dell’economia. ANCI EMILIA ROMAGNA collabora costantemente con Transition Italia (l’hub italiano del movimento) e con le iniziative locali della provincia di Bologna, per sviluppare percorsi e metodi di coinvolgimento e progettazione dei PAES.

Sempre più frequenti e strutturate sono le collaborazioni con i centri di ricerca universitari che hanno visto la nascita del gruppo di ricerca Alma Low Carbon all’università di Bologna o lo sviluppo di progetti come Strade in Transizione supportato dal CURSA.


RESILIENZA DELLE COMUNITÀ

Interessanti anche gli effetti culturali correlati al processo di Transizione che impone un nuovo modo di pensare e interpretare la democrazia per arrivare alle decisioni in modo “diverso” e sperimentare nuovi strumenti istituzionali.

In Italia, ad esempio, abbiamo visto un primo tentativo di inserire il concetto di “resilienza” in uno statuto comunale (Comune di Valsamoggia, nel bolognese). La stesura degli articoli è stata frutto di un lavoro collaborativo all’interno della rete mondiale della Transizione con contributi di esperti di vari paesi. Sono passaggi fondamentali per cominciare a costruire un nuovo sistema normativo, adatto a regolare una società sostenibile.

Nelle prossime settimane a San Giovanni in Persiceto (Bo) sarà avviato un primo esperimento di processo di RI-ECONOMY sul modello delle attività già svolte in Uk.

L’interesse sempre maggiore di imprese e istituzioni per questi nuovi approcci fa ben sperare in successive e sempre più profonde esplorazioni delle potenzialità del processo di Transizione. Altri percorsi, come quelli delle monete complementari, potrebbero essere sperimentati in modo più intenso anche in Italia come già accade, fra gli altri,  a Bristol, Brixton e Totnes.


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