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Stefano Malfatti, i segreti del fundraiser dell’anno

È stato premiato ieri al Festival del Fundraising. Ha 47 anni e da 20 lavora alla Don Gnocchi. È un pioniere in Italia sul fronte dei lasciti. «Del mio mestiere amo soprattutto la possibilità di costruire belle relazioni»

di Giuseppe Frangi

È lui il Fundraiser dell’anno: Stefano Malfatti, da 20 anni alla Fondazione don Gnocchi. Lo ha votato una giuria qualificata ed è stato premiato ieri nel corso del settimo Festival del Fundraising. Malfatti ha una parabola particolare, in quanto alla Don Gnocchi era stato chiamato per fare controllo di gestione: aveva conosciuto l’attuale presidente, Angelo Bazzari, facendo il servizio civile alla Caritas ambrosiana. Poi entrato Bazzarri alla Findazione lo aveva chiamato nel suo staff. Come fundraiser “nasce” nel 2009, quando la Rai manda in onda la fiction su Don Gnocchi e lui intuisce che quella leva mediatica deva aprire una nuova stagione ed avviare una strategia di raccolta fondi che non aveva mai avuto. «La nostra è una realtà particolare. Perché per la normale gestione non ci sarebbe bisogno di fare fundraising. La Don Gnocchi è un’impresa che si autosostiene. Quello che le raccolte fondi portano è la possibilità di innovare e di mettere in atto strategie di sviluppo. Cioè di crescere. Così abbiamo iniziato e oggi siamo tra i sei e i dieci milioni di euro l’anno di raccolta».

Perché una forbice così ampia?
«Perché una voce fondamentale sono i lasciti che fanno in genere il 50/60& della raccolta. Quindi un anno con lasciti importante fanno schizzare la raccolta. E naturalmente viceversa. Qui in Don Gnocchi non siamo partiti dal fundraising per arrivare ad affrontare le eredità. Il percorso è stato contrario: è stato il flusso di lasciti a far intuire quali potenzialità avessimo più complessivamente».

Cosa le piace di questo mestiere?
«Io vengo ddalla provincia. Sono nati ad Acqui Terme, in Piemonte, e sono arrivato a Milano per studiare. La cultura delal provincia è una cultura di relazioni, quindi mi piace rapportarmi con le persone, conoscerle, convicerle della bontà della scelta che fanno, nel caso vogliano lasciare un pezzo di patrimonio alla Don Gnocchi. Soffro a stare alla scrivania, a fare stategie e a lavorare sui database. Anche s eè un lavoro importante».

Lei rispetto alla gran parte dei suoi colleghi ha legato il suo nome a un “brand” come quello della Don Gnocchi. Si immagina a lavorare per altri?
«Non ci ho mai pensato anche perché qui in Fondazione ho sempre trovato spazio per fare le azioni in cui credo. È una condizione ideale per il lavoro che faccio. Per il resto non credo che ci siano molte differenze, se non il fatto che lavorando molto sui lasciti ho la “fortuna” di stringre relazioni che sono sempre umanamente molto coinvolgenti. Aggiungo che non penso alla mia attività come ad un “fortino” da difendere e credo molto nella condivisione delle pratiche con chi fa il mestiere come il mio».   

Anche il 5 per mille della Fondazione è affidato alle sue mani?
«Sì. Ci sta dando buone soddisfazioni, anche se non siamo riusciti a cora entrare nei top 20. Ma tra associazioni e ricerca scientifica, alla Fondazione arrivano in media tra i 550 e i 600mila euro all’anno».
 


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