Attivismo civico & Terzo settore

Separare l’azzardo dalla vita quotidiana

In Regione Lombardia - IV Commissione - , alla presenza di Confesercenti e Confesercenti - si discutono i regolamenti attuativi sulla Legge No Slot approvata nel 2013. Come dividere azzardo e vita quotidiana? Semplicemente tracciando "una linea gialla" per terra, come propongono alcuni esercenti? Oppure chiamando alla responsabilità estrema quegli esercenti, che dovrebbero dotarsi di sale ad hoc, separate, controllate sicure e non ghettizzanti?

di No Slot

Partendo dal semplice, ma non più scontato presupposto che l'attività prevalente di un bar (o di un'edicola, di una tabaccheria, etc) dovrebbe essere quella per cui si è ottenuta licenza di commercio, riteniamo sia necessario, in sintonia con l'attività di formazione e responsabilizzazione degli esercenti avviata dalla Regione Lombardia, separare drasticamente lo spazio deputato a questa attività fino a prova contraria (ossia a un cambio di licenza e alla trasformazione del locale in sala giochi a tutti gli effetti) prevalente, da quello deputato all'azzardo legale.

Riteniamo che questa divisione non miri alla "ghettizzazione" del giocatore, per il quale d'altronde Regione Lombardia ha messo in campo altre forme di tutela e garanzia . Riteniamo invece che questa separazione sia necessaria per determinare sia la condizione eccezionale dell'azzardo in un locale inizialmente deputato ad altro (mescita bevande, vendita generi alimentari, etc), ma soprattutto miri a tutelare chi giocatore non è e, specie se minorenne, rischia di entrare in contatto con un sistema che, come dimostrato dagli studi socio-antropologici più recenti (cfr. il lavoro della ricercatrice del Massachussets Institute of Technology Natasha Dow Schull, Addiction by design, Princeton 2012), basa la sua forza espansiva e seduttiva su due componenti: a) il rapporto uomo-macchina, ossia la mediazione tecnologica; b) il fattore ambientale. Questi due elementi rappresentano ciò che Natasha Schull definisce "la zona". La "zona" è lo spazio entro il quale il giocatore mira a rimanere e dal quale il non giocatore si sente attratto.

Riteniamo si debba, in merito alla separazione, replicare il modello accolto persino nei casinò di Las Vegas, nelle sale deputate alle slot machines: per tentare di decostruire la "zona" si è ricorsi a un divieto: nessun minorenne (ricordiamo che negli USA la maggiore età si raggiunge a 21 anni) può non solo giocare, ma nemmeno sostare accanto a una macchina o nei locali che la comprendono. Lo spazio della macchina è interdetto anche al suo sguardo, per ragioni precise che la lobby dei casinò ha dovuto riconoscere, anche spinta dal timore di class action. Questa separazione, quindi, è vista anche in un sistema liberale e liberista come necessaria, proprio a tutela dei minorenni e delle fragilità crescenti.

Riteniamo che la responsabilità dell'esercente sia un fatto costitutivo della sua libertà d'impresa. La responsabilità, rispetto a una questione delicata come quella dell'azzardo legale, non può limitarsi a generici controlli, a una riga gialla tracciata per terra (questo si uno stigma ghettizzante per il giocatore, simile alla famosa "lettera scarlatta" di Nathaniel Hawthorne) o a un manifesto sul "gioco responsabile" da attaccare alla porta. Crediamo che la sua responsabilità si deduca anche dall'investimento che è disposto a fare in termini di sicurezza per il giocatore e per il non giocatore.

Riteniamo che il "come" di questa sicurezza, in particolare di questa separazione sia fondamentale e dirimente tanto rispetto all'efficacia, quanto rispetto alla necessità di evitare effetti distorsivi e non voluti come quelli creati dai "vetri oscurati" delle sale vlt o dall'iperpresenza di illuminazione artificiale. 

Riteniamo, pertanto, che in merito al "come" dovrebbero essere approntate a spese dell'esercente – che, ricordiamolo, liberamente sceglie di installare slot machines nel suo locale – sale ad hoc, separate dall'area principale, con controllo dell'identità all'ingresso, con illuminazione non artificiale e costante indicazione dell'orario, da effettuarsi sia appositi annunci sia con la presenza di orologi alle pareti. Al fine di destrutturare la "zona" (o "bolla") che lega il giocatore alla macchina, suggeriamo inoltre che le macchine vengano disposte una di fronte all'altra, di modo che il giocatore sia disturbato dalla presenza di altri giocatori. Questo – secondo quanto ci insegna ancora N. D. Schull – è un provvedimento non sufficiente, ma necessario per iniziare una seria attività di destrutturazione dello spazio dell'azzardo.

Riteniamo che, sull'interesse economico dell'esercente, debba prevalere l'interesse sociale e della comunità. Un bar non è un casinò e una tabaccheria non è una sala giochi. Anche per equità rispetto all'attività (che non condividiamo, ma rientra comunque nel “pacchetto azzardo legale”) di impresa di chi investe in casinò o sale giochi, con controlli ben più stringenti all'ingresso, riteniamo si debba alzare la soglia di accesso spezzando il vincolo perverso che, fino a oggi, ha permesso all'azzardo di penetrare nelle nostre comunità segnando – forse non ancora  indelebilmente – la vita quotidiana. 

PS Sarebbe interessante conoscere, oltre al numero di macchine AWP presenti sul nostro territorio, anche il flusso di giocate che riguarda ogni singola macchina AWP. L'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli possiede questo dato, ma non lo ha reso pubblico. Questo ci permetterebbe di capire l'entità del flusso di denaro e di giocate che, indipendentemente dal numero di macchine installate, circola in quel locale. In termini di controllo del territorio, sicurezza sociale e comprensione delle dinamiche produttive questo dato sarebbe fondamentale. Ci permettiamo pertanto di avanzare il nostro modesto invito alle istituzioni di questa Regione affinché possano richiedere il dato e metterlo a disposizione dei sindaci, creando una mappa della densità dei flussi di denaro che interessano i nostri luoghi e inoltre ci permetterebbe di monitorare e vigilare le zone maggiormente frequentate da soggetti più vulnerabili quali i minori che, per varie ragioni, abitano con maggior frequenza le zone più a rischio.

 


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