Attivismo civico & Terzo settore

Consulta Antiusura: un patto sconcertante

La Consulta Nazionale Antiusura manda a Vita un'importantissima lettera, firmata da Monsignor Alberto D'Urso, suo Segretario Nazionale. Una presa di posizione chiara e fondamentale sul protocollo siglato il 16 ottobre scorso da Mettiamoci con Gioco e Confindustria Sistema Gioco Italia. “Un protocollo sconcertante per incompetenza e ambiguità”

di Mons. Alberto D’Urso

Il 16 ottobre “Sistema Gioco Italia” (Confindustria) e don Armando Zappolini coordinatore di “Mettiamoci in Gioco” (un cartello di associazioni che vanno da Libera al Conagga di Matteo Iori, dalla CGIL al CNCA, ACLI e altre) hanno firmato un Protocollo d’intesa per intervenire congiuntamente su alcuni delicatissimi aspetti della materia del gioco d’azzardo. Pretermettendo per il momento una riflessione sul metodo con cui questo passo è stato compiuto da uno dei contraenti (“Mettiamoci in Gioco”), ciò che già immediatamente sconcerta è la manomissione delle parole e la grossolana manifestazione di incompetenza di entrambi sui nodi fondamentali della questione.

Nel Protocollo il gioco d’azzardo diventa “gioco con alea con posta in denaro”, e ciò non per puro gusto retorico. Come ebbe a cristallizzare la Corte costituzionale fin dal 1975, la libertà d’impresa sul gioco d’azzardo non è riconosciuta dal nostro ordinamento giuridico perché essa confligge con i valori di utilità sociale; ciò “per impedire che possa derivarne danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana, elementi con i quali mal si concilia, per gli aspetti che gli sono propri, il giuoco d’azzardo” (sentenza n. 237).

L’intento, neppure tanto difficile da disvelare, è dunque quello di negare la parola “azzardo”, insieme allo scenario che essa evoca, camuffandola con la perifrasi “gioco con alea con posta in denaro”, ciò al fine di dare un colpo di spugna al disvalore complessivo che il gioco d’azzardo riveste per il nostro ordinamento giuridico.

Colludere sul punto con i firmatari del Protocollo equivarrebbe a richiedere al Parlamento una sanatoria per le normative promulgate in venti anni violando il principio di legittimità costituzionale degli atti delle Camere.

L'attuazione del Protocollo comporterà l'inasprimento di una sofferenza sociale che nel nostro Paese è estesa già ben oltre il sostenibile. Si è facili e tristi profeti sostenendo che da adesso il gioco d’azzardo mieterà più vittime di quanto non abbia fatto fin qui, e che, lungi dall'attivare un qualche rimedio, questo Protocollo avrà il solo effetto di attrarre al mercato dell’azzardo coloro che, ancora, vi potevano opporre motivi religiosi e morali.

La resistibile ascesa di Sistema Gioco Italia strumentalizza la figura di grande riferimento qual è un prete che per anni è stato non a monte ma a valle della filiera: a fianco delle persone dipendenti da Gioco d’Azzardo Patologico (GAP).

Don Armando Zappolini all’intesa siglata con Sistema Gioco Italia porta in dote il capitale simbolico e valoriale che la Chiesa rappresenta; anzi: porta la chiesa proprio dentro i luoghi fisici e le piattaforme digitali dove si consuma l’azzardo, tra le Videolottery e i Casinò on line. Una legittimazione insperata, fino ad alcuni mesi fa, da chi su quel mercato prospera e ne ha fatto il suo core business.

Proseguirà senza remore, difatti, l'arruolamento della popolazione al gioco d’azzardo, con ovvi e prevedibili riverberi soprattutto tra le sacche più vulnerabili. Una riflessione si impone, a questo punto. Il fatto stesso di attribuire alle persone dipendenti da GAP lo statuto di rappresentare una minoranza (“la maggior parte dei giocatori non ha problemi di dipendenza, ma che allo stesso tempo esiste un numero di persone che instaurano un approccio problematico”, si legge nel Protocollo), già conduce a una costruzione sociale del tema dell’azzardo tale per cui lo stigma della dipendenza patologica che ricade su una minoranza deviante assorbirà la disfunzione arrecata all'intera società, alle famiglie, ai gruppi e ai singoli dal gioco d’azzardo.

Ribadire, come si legge nel Protocollo, che l'alea per la stragrande maggioranza delle persone non costituisce un problema, significa obliterare il danno complessivo. La “dipendenza” e la “patologia” verranno attestate solo dalla diagnosi “specialistica” (che peraltro non è chiaro come sarà condotta dai firmatari del protocollo), a tutto detrimento, così facendo, di una visione “relazionale” del danno che il gioco d'azzardo provoca ad amplissimo raggio. In questo Protocollo esiste solo il problema dei patologici e non un complesso (aggiungiamo: sistemico) di sofferenze e disfunzioni che riguardano l'intera società italiana, nelle sue differenti sfere: dei rapporti economici, culturali, interpersonali, familiari, educativi.

La firma di “Mettiamoci in gioco” fornisce proprio questa certificazione: di un’ampia compatibilità del gioco d'azzardo – anche nelle sue forme contemporanee di gioco industriale di massa – con il bene comune dell'Italia, anche quando il Paese patisce la più lunga recessione economica dal Dopoguerra (recessione che anche nella dissipazione di ricchezza in azzardo trova, a un tempo, causa ed effetto).

La grave incompetenza scientifica, etica e giuridica dei sottoscrittori, affascinati dal tema, ma ancor più gratificati dall'appeal mediatico che conferisce loro, si rivela passo passo dal testo dell'accordo firmato.

Risponde, per esempio, don Armando Zappolini a chi gli chiede se direbbe a un ragazzo della sua comunità che il gioco legale non fa male: “No, io non dico che non fa male. Io dico che fa male se lo fai in modo incontrollato e illusorio. È come l'alcool. Se lo bevi in modo controllato non fa male. Se ne bevi dieci fiaschi in un giorno fa male. Il gioco illegale mette la gente in mano alle mafie mentre il gioco legale si può normare”. Già solo per questo passaggio, è chiaro come a don Zappolini sfugga che l’arruolamento di massa all’addiction deriva proprio dal cosiddetto “gioco moderato” (vale a dire: puntare piccole somme frazionate, ma ripetutamente), e che sono state norme promozionali di Stato a indurre a un volume di consumo di gioco così abnorme in un popolo, quello italiano, tradizionalmente poco propenso all’azzardo e molto, invece, al risparmio.

A conclusione di queste riflessioni, lanciamo due interrogativi, e non all'altra parte della barricata, non ai concessionari, dunque.

Nei mesi trascorsi a negoziare con Sistema Gioco Italia, oltre a don Armando Zappolini e a Matteo Iori, tutte le altre componenti del Cartello “Mettiamoci in Gioco” sono state rese edotte del fatto che queste segretissime trattative erano in corso? Se non per tutti è andata così, o se una o più tra le sigle del Cartello non concordasse con il Protocollo, avrebbe il dovere morale e intellettuale di farlo presente con limpidezza e pubblicamente.

Infine, non si richiederebbe una maggior prudenza, soprattutto a chi si occupa di problemi educativi? Prudenza oltremodo necessaria quando si rischia di venire fatti oggetto di un negozio comunque commerciale in virtù di ciò che si rappresenta? All'Udienza generale del 29 gennaio, a cui partecipammo con una folta rappresentanza di ex giocatori d'azzardo, Papa Francesco sull'usura utilizzò parole fermissime e non altrimenti declinabili. Non è che sono state già tradite?

Mons. Alberto D’Urso

Segretario Nazionale Consulta Antiusura

 

Bari, 19 ottobre 2014


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