Media, Arte, Cultura

La protesta di Amina Sboui diventa un libro

Esce in Italia "Il mio corpo mi appartiene", l'autobiografia della blogger e femminista tunisina

di Redazione

La foto di Amina Sboui a seno nudo ha fatto il giro del mondo. Una ragazza tunisina figlia di un medico e di un’insegnante si mostra così, con un messaggio tatuato sul corpo: “Il mio corpo mi appartiene”.
È il 1 marzo 2013 e Amina, mettendo la sua immagine in rete, si fa portavoce della sua generazione, dei giovani che come lei hanno partecipato attivamente alla Primavera araba: più libertà in un paese ormai in mano agli integralisti islamici.

Questo gesto le costa quasi la vita: prima viene segregata dai suoi stessi genitori, scandalizzati e timorosi che le conseguenze di un atto così eclatante si ripercuotano su tutta la famiglia; poi, dopo l’adesione al movimento delle Femen, finisce in prigione.
Anche da dietro le sbarre Amina continua a battersi: in difesa delle detenute, sistematicamente percosse e angariate, e per la libertà di espressione.
 
Una volta scarcerata, proprio a causa della notorietà che la sua figura ha acquisito nel mondo, Amina non è ancora libera; deve lasciare il suo Paese, in Tunisia le sarebbe impossibile studiare e anche solo vivere, la famiglia teme ritorsioni.
 Così si rifugia a Parigi, dove decide di raccontare la sua storia: dall’infanzia segnata dagli abusi sessuali alla consapevolezza dei suoi diritti di persona e di donna, dalle prime rivendicazioni in famiglia agli scontri con l’autorità, dal gesto che ne fa il simbolo globale di una protesta contro ogni forma di dittatura militare o religiosa fino all’esilio. Con l’amarezza di un sogno infranto: quello di chi ha sperato che le Primavere arabe portassero democrazia e diritti.

La sua autobiografia è uscita a primavera 2014 in Francia e ora arriva in Italia per Giunti Editore. 160 pp. 12 euro.

Copertina del libro di Amina Sboui


 DAL LIBRO:
 
Mi piacerebbe vivere in un mondo in cui non esiste la «nostalgia di casa» perché il mondo intero è la nostra casa. E a questo proposito: ebbene, sì, la Tunisia non mi manca. Mi capita invece di stare male perché delle persone vengono arrestate e io sono del tutto impotente. Sogno un mondo senza razzismo, senza omofobia, senza xenofobia, un mondo d’amore, senza frontiere… un mondo di pace, di musica. Un mondo che abbia per slogan: «Libertà, dignità, giustizia sociale», il mio slogan preferito durante la Rivoluzione tunisina. Innanzitutto perché in Tunisia bisogna ancora gridarlo forte e chiaro, visto che i cittadini non godono né di libertà né di dignità e la giustizia sociale non esiste. Ma anche e soprattutto perché questo slogan è universale.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA