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Politica & Istituzioni

Che cos’è una lobby?

Tutti ne parlano, ma pochi sanno di che cosa stanno parlando. Eppure, le lobbies sono oramai una parte importante del processo decisionale. Un processo a cui prendono parte suggerendo, dettando, modificando provvedimenti che, dal punto di vista formale, saranno comunque ineccepibili. Ma, in Italia, il male è a monte: perché solo multinazionali e affaristi riescono a fare lobby? E la società civile?

di Marco Dotti

Giovedì – in una riunione ristretta delle commissione bilancio di Camere e Senato composta da 10 parlamentari, la cosiddetta "bicameralina" – verranno presentate le bozze dei decreti che arriveranno sul tavolo del Consiglio dei Ministri il prossimo 20 febbraio.

Sembra impossibile avere copia di quelle bozze, "segretissime e riservatissime". Ma come ogni segreto italiano, anche questo ha la maschera, se non proprio il trucco di Pulcinella. E così, sul tema dell'azzardo, tutti sanno che giovedì sul tavolo della "Bicameralina" verranno presentati anche progetti e documenti provenienti direttamente dalle lobbies dell'azzardo stesso. Normale concertazione, si dirà. E forse, coi tempi che corrono, è pure così. Ma che cos'è una lobby? Facciamo un po' di chiarezza.

Il sostantivo lobby deriva dal latino medievale laubia – "tribuna", da cui deriva "loggia" –  che fa la sua comparsa nella lingua inglese nella seconda metà del XIV secolo.

Lobby indica un lungo corridoio posto di fronte ad una stanza, adibita ad accogliere le persone. In ambito politico, il termine compare in Inghilterra nel 1640 a indicare uno spazio aperto, presente all’interno della Camera dei Comuni, in cui si potevano incontrare gli esponenti del governo, in modo tale da poter interloquire senza nessun disturbo. Intorno al 1808 questa parola viene utilizzata anche nel contesto istituzionale statunitense, fino al punto di diventare comune nel linguaggio politico. In particolare, divenne d’uso comune il termine di conio giornalistico lobby-agents, a indicare un gruppo di persone che ricercavano favori dai membri del Congresso. L'attività di questi attori è detta lobbying.

Oggi, il lobbying è considerato un processo, posto in essere da un soggetto rappresentativo di un interesse socialmente legittimato, finalizzato a influenzare gli orientamenti e le scelte del decisore pubblico e dei suoi influenti.

Il lobbying gode però di pessima reputazione presso l’opinione pubblica, perché spesso sconfina nell’attività  di chi, disponendo di maggiori risorse, investe danaro per piegare alla propria volontà l’operato dei legislatori e dei funzionari pubblici. È questa una delle accuse più ricorrenti rivolte alle lobby dell’azzardo.

Accuse provenienti anche da sedi istituzionali. Davanti ai continui, e riusciti, tentativi di disinnescare dispositivi di legge di contrasto alla cosiddetta ludopatia, il 19 dicembre del 2013, l’allora Ministro della Sanità Renato Balduzzi affermò: «siamo in presenza di un assalto delle lobby», riferendosi in particolare a quella dell’azzardo

La situazione non sembra cambiata se, esattamente un anno dopo le parole di Balduzzi, il 20 dicembre 2013, un altro ex Ministro, stavolta degli Interni, Roberto Maroni dichiarava: «la potente lobby gioco d'azzardo ha colpito ancora».

Il lobbismo può essere definito in termini generali come «l’insieme delle tattiche e strategie con le quali i rappresentanti dei gruppi di interesse- i lobbisti- cercano di influenzare a beneficio dei gruppi rappresentati la formazione ed attuazione delle politiche pubbliche» [Liborio Mattina, I gruppi di interesse, Il mulino, Bologna 2010, p. 154].

L’attività di lobbying è però un processo «più complesso della semplice trasmissione di informazioni perché prevede l’impiego di diversi mezzi di persuasione da parte dei lobbisti, alcuni dei quali possono essere preferiti ad altri, e tra loro coordinati con diverse modalità a seconda della necessità. Inoltre, l’attività di lobbying non si ferma alla fase di preparazione ed approvazione, ma può essere continuata anche nella fase di attuazione della politica pubblica, durante la quale l’interpretazione della legge si traduce spesso in un suo adattamento alle caratteristiche dei fruitori finali del provvedimento che si adoperano per adeguarlo alle loro specifiche esigenze» [Idem].

L’Unione Europea ha fornito una definizione di lobby e lobbismo, ma nulla dice sulla figura del lobbista: «Per lobbismo si intendono tutte le attività svolte al fine di influenzare l’elaborazione delle politiche e il processo decisionale delle istituzioni europee. Pertanto, i lobbisti vengono definiti come persone che svolgono tali attività e che lavorano presso organizzazioni diverse, come ad esempio le società di consulenza in materia di affari pubblici, gli studi legali, le ONG, i centri di studi, le lobby aziendali (rappresentanti “interni”) o le associazioni di categoria». 

Contrariamente avviene degli Usa, dove il Lobbying Disclosure Act del 1995 precisa che con il termine “lobbista” si intende qualsiasi persona dipendente o ingaggiata da un cliente dietro compenso finanziario per servizi che includano più di un contatto lobbistico  e che lo impieghino almeno il 20% del tempo di lavoro prestato a quel cliente in sei mesi. In particolare: 

«The term lobbyist means any individual who is employed or retained by a client for financial or other compensation for services that include more than one lobbying contact, other than an individual whose lobbying activities constitute less than 20 percent of the time engaged in the services provided by such individual to that client over a six month period».

In Italia, le lobbies agiscono nell’ombra sia per l’assenza di una specifica regolamentazione, sia per la centralità assunta nel sistema dai partiti politici. Non c'è mediazione, in Italia, che non passi da un partito o da un uomo di partito o da un funzionario di parastato comunque legato a un partito (il che spiega anche l'altissimo livello di concussione).

Da queste concause deriva «una sistematica mancanza di trasparenza del meccanismo decisionale, determinata spesso da un sempre più difficile riparto di competenze a livello sovranazionale, nazionale e sub-statale e una deriva in senso clientelare, quando non corruttivo, nelle relazioni tra sistema socio-economico e sistema politico» [M. C. Antonucci, M.C., Rappresentanza degli interessi. Il lobbying nelle istituzioni politiche europee e italiane, Carocci Editore, Roma 2011, p. 9].

 

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