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Famiglia & Minori

Essere “piccoli così” e così pieni di vita

Un bimbo su dieci nasce prematuro e lotta fin dal primo istante per sopravvivere. Il docufilm di Angelo Marotta racconta le loro storie, le ansie e la forza delle famiglie, la dedizione degli operatori.

di Sara De Carli

Rita sgrana gli occhi – azzurri, enormi, profondi – avvicina pollice e indice tanto che quasi si sfiorano e mormora «così, ero piccola così». Potrebbe finire lì il film che Angelo Marotta, regista e padre di Rita, ha dedicato ai bimbi nati prematuri. Si chiama “Piccoli così”, è stato presentato in anteprima italiana alla decima edizione di Biografilm Festival – International Celebration of Lives di Bologna, dove ha vinto il premio speciale Unipol Biografilm Collection e la menzione speciale della giuria Biografilm Italia. Dal 22 gennaio sta girando l’Italia, con grande successo (sulla pagina facebook tutta la programmazione).

Angelo Marotta partecipa praticamente ad ogni proiezione e ogni volta si commuove, quasi che anche il film – come i bimbi di cui parla – sia da accompagnare in timore e tremore ma allo stesso tempo abbia la sorprendente capacità di trasformarsi ogni volta e calamitarti all’interno di un mondo “altro”. Un bambino su dieci nel mondo nasce prematuro, prima cioè di essere arrivato alle 37 settimane di gestazione; le 25 settimane sono la linea d’ombra, quelle a partire da cui si può sperare che quel piccolo esserino vinca la battaglia della sopravvivenza. Nove volte su dieci va tutto bene. Le mamme lasciano la maternità nel giro di una manciata di giorni, orgogliose e felici, tornano a casa con un fagotto da annusare e sbaciucchiare. Una su dieci invece scopre la TIN – Terapia Intensiva Neonatale, un reparto di cui le altre nove quasi ignorano l’esistenza. Ma che per lunghissimi giorni – che emozione quando nel film i genitori di Aisha se la portano a casa dopo 102 giorni! – diventerà la loro casa.

“Piccoli così” è un documentario che vuole raccontare alle nove famiglie su dieci cos’è un bimbo prematuro e  cos’è la TIN. Lo fa con le parole dei genitori e degli operatori, in un racconto corale, delicato, onesto, senza finzioni e senza illusioni. È facile dire piccolo, ma è difficile immaginare quanto sia davvero piccolo un bambino nato di 25 settimane, che pesa poco più di 500 grammi.  Un bambino di cui per giorni e giorni l’unica cosa che una madre può dire, per rispondere a quanti, fuori, chiedono “come sta?”, è ripetere ossessivamente una serie di numeri, di misure giocate sul filo dei grammi e dei millimetri, sapendo che in realtà bisogna pregare per altro. Un bambino nascosto da un pannolino più grande di lui, dal cappellino sghembo sulla testa, l’accesso venoso nel cordone per la nutrizione parenterale, la mascherina della C-pap o il tubo per l’ossigeno, le bende sugli occhi per la fototerapia, il saturimetro al piede. Con l’ambu a portata di mano. Con gli allarmi che suonano in continuazione. Con il gel per disinfettarsi le mani prima di infilarle nei due oblò dell’incubatrice e fare qualche piccola carezza a quel pulcino violaceo. “Piccoli così” lo fa capire. Perché lo mostra, pur senza esibire la fragilità di quei piccoli corpi che sussultano di vita. Perché verbalizza, nelle testimonianze di chi ci è passato, ciò che in quel momento è così difficile da dire e spiegare. Per questo serve alle nove famiglie su dieci che non hanno avuto un figlio nato prematuro ma anche a quell’una su dieci che invece ce l’ha e a cui le storie degli altri regalano forza, speranza, sorriso.

Per questo ha fatto bene Angelo Marotta a chiudere il film qualche secondo dopo quell’immagine così forte, incisiva, icastica di sua figlia Rita, nata a 23 settimane e rimasta per 4 mesi in un’incubatrice al San Camillo di Roma, divenuta non a caso la locandina del film: perché c’è ancora un dopo e con i suoi 4 anni e mezzo Rita è già cresciuta ma crescerà ancora e  lo faranno anche gli altri bambini. E ancor meglio ha fatto Angelo Marotta a lasciare che l’ultima immagine che corre sullo schermo, alla fine di tutto, sia la dedica a tre bambini che non ci sono più. L’ultima parola di questo piccolo pezzo quindi vuole essere un omaggio a Sofia Amelie, che la scorsa estate stava in un'incubatrice della TIN dell’Ospedale Valduce di Como e adesso non c’è più. Ma se ieri sera a Como tante persone hanno potuto vedere questo film, è merito suo.

 


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