Famiglia & Minori

Caro Renzi, questa è #lacattivascuola

Molte sorprese nel nuovo libro di Alex Corlazzoli, che a dispetto del titolo non è un attacco al ddl ma la richiesta di una riforma ancora più coraggiosa. Perché i punti veri da toccare sono altri, che nel ddl non sono nemmeno nominati: scuola media, inclusione, alunni stranieri.

di Sara De Carli

Si intitola #lacattivascuola, facendo palesemente il verso al nome con cui è noto il ddl di riforma della scuola in discussione in queste ore al Senato, ma non è un libro “contro”. Nemmeno è un libro per dire che la scuola italiana, quella di oggi, fa schifo. Il nuovo libro di Alex Corlazzoli, maestro e giornalista, uscirà per Jaca Book l’11 giugno e vuole innanzitutto «andare contro le belle parole della politica, con gli strumenti del cronista», perché il dibattito che pure è nato nelle ultime settimane attorno alla scuola «è pieno di retorica, distrazioni, illusioni, da una parte e dall’altra».

Il fatto è che la maggior parte di noi le scuole non le conosce: della scuola abbiamo i ricordi di quando gli alunni eravamo noi, mentre oggi ci resta un luogo di frontiera, «da una parte stanno quelli che la vivono ogni mattina, dall’altra, quelli che accompagnano i ragazzini fermandosi sulla soglia. Invece bisogna entrare nelle aule, nei laboratori, nelle palestre, nelle lezioni per capire che cosa accade davvero». Così Corlazzoli quella scuola ha voluto raccontarla dall’interno, in cinque capitoli: #lascuolachecrolla; #lascuolasconnessa; #gliultimidellaclasse; #lascuolavietata; #storiadiunariforma.

Il titolo crea l’aspettativa di un libro schierato contro la riforma #labuonascuola, leggendolo in realtà il libro non è questo. O sbaglio?

Non sbagli. Non è un libro contro il ddl perché io non sono totalmente contrario al ddl, perché sono dell’idea che un cambiamento sia necessario. Il punto è che poteva essere fatta una vera riforma, mentre questa è una riforma claudicante. La Fondazione Giovanni Agnelli anche pochi giorni fa al Festival dell’Economia di Trento ha ripetuto che l’anello debole della scuola italiana è la scuola media, che in questo testo non è nemmeno citata. Come non sono citati gli alunni migranti e come tutto il pacchetto dell’inclusione scolastica è rimandato a una delega al Governo. A mio parere una vera riforma sarebbe dovuta partire da qui, da questi tre punti, che invece sono praticamente inesistenti.

Cominciamo dagli alunni migranti e da quelli con disabilità, a cui sono dedicati i capitoli #gliultimidellaclasse e #lascuolavietata. Perché serve cambiare?

Partiamo dall’inclusione. Affidare il tema alla delega mi preoccupa molto, perché significa non discutere di una delle cose più necessarie alla scuola oggi. Serve fare un salto di qualità, perché noi oggi abbiamo una scuola che fa finta di essere inclusiva. È pesante? Sì, ma se guardo me e miei colleghi dobbiamo pur fare autocritica, cosa ne sappiamo noi di autismo? E una volta che ho detto che un alunno rientra nei BES, cosa ne sappiamo degli strumenti che ho per agire? È poi urgente mettere mano agli “assistenti”, quelle figure che stanno con i ragazzi quando non c’è l’insegnante di sostegno: persone importanti ma spesso sottopagate, non preparata ad hoc, bisogna fare chiarezza.

L’altro tema sono gli alunni con cittadinanza non italiana.

Di loro la riforma della «buona scuola» non parla. Provate a cercare la parola «stranieri» nel testo: troverete una sola citazione nel testo presentato alla Camera e due nella versione del documento presentata al Senato. Forse avranno usato il termine «alunni con cittadinanza non italiana» ma non c’è nemmeno quello. Forse hanno scritto «migranti». No, nemmeno quello. La questione dell’integrazione non esiste per il Governo. Come se non esistessero oppure come se nelle nostre scuole fossimo tutti formati ad affrontare l’integrazione di indiani, marocchini, romeni, tunisini, albanesi, cinesi… Ma la realtà di tutti i giorni è che questi ragazzini li stiamo perdendo! Il tasso di ripetenza degli alunni stranieri è particolarmente elevato; nella scuola secondaria di secondo grado raggiunge il 12,1% ed è in crescita. La loro storia è la stessa da anni.

E la scuola media?

È una questione antica. Doveva essere la scuola dell’inclusione, quella che avrebbe portato tutti i ragazzi, a prescindere da chi fossero figli, ad avere una formazione adeguata. Invece è il segmento della scuola dove i ragazzi li perdiamo. C’è un problema. Io non posso tollerare il 18% di dispersione scolastica, c’è una urgenza vera.

Quindi la riforma è una riforma zoppa, che non va a toccare i punti davvero necessari.

Non si è avuto il coraggio di farlo, essenzialmente perché la riforma è stata fatta troppo in fretta. Non è un problema di sindacati, diciamocelo chiaramente che anche tra chi ha scioperato la riforma l’hanno letta pochissimi. È una riforma da velocisti e la fretta è stata cattiva consigliera. I temi di cui i giornali parlano i giornali, a cominciare dal dirigente-sceriffo, non sono il problema della scuola. Mi piacerebbe vedere i sindacati fare delle proposte serie sulle scuola, ma sui temi veri: lo dice uno che la tessera della Cgil ce l’ha. La riforma doveva arrivare dagli insegnanti stessi, che invece non hanno fatto per anni proposte. Tra l’altro io sono a favore della chiamata diretta dei docenti.

Corlazzoli a favore della chiamata diretta è una sorpresa. Perché?

Credo sia un obbrobrio che fino ad oggi si siano scelti gli insegnanti attraverso graduatorie, mandando in classe gente che era mai passata davanti a un dirigente, a un colloquio. A me nessuno ha mai chiesto cosa sai fare, cosa hai fatto l’anno scorso… come puoi valorizzare le risorse delle persone? Dobbiamo andare verso una chiamata diretta, certo lasciare uno solo a scegliere, in questo paese così malato e complicato, è rischioso. Ci vorrebbe un comitato di garanzia accanto al dirigente, che scelga insieme al dirigente.

Due capitoli che ci sono nel libro sono #lascuolachecrolla e #lascuolasconnessa: per l’edilizia scolastica e per il digitale però il Governo di soldi ne ha messi.

È vero, ma non è abbastanza. Renzi investirà per il digitale 90 milioni di euro nel 2015 e 30 dal 2016, complessivamente 120 milioni: le istituzioni scolastiche però sono più di 8mila, vuol dire dare 14mila euro per singola istituzione, 2.800 euro a plesso. È qualcosa, va bene, ma non costruiamoci sopra una retorica, non illudiamo gli italiani che da domani avremo una LIM per ogni classe né un tablet per ogni alunno. Il problema è questo, che attorno al ddl c’è una retorica che sta distraendo tutti, da un lato e dall’altro: la questione del dirigente, l’edilizia scolastica, i tablet, la formazione… Prendiamo la formazione: mettere 40 milioni per la formazione degli insegnanti significa mettere a disposizione di ogni insegnante 55 euro a testa. Se c’è un corso a Roma non mi bastano nemmeno per fare il viaggio. E pure i 500 euro per la carta: sono due libri al mese, 41 euro al mese, è “carità di Stato”. Questi soldi valgono complessivamente 380 milioni di euro: secondo me sarebbe stato più coraggioso e onesto dire mettiamo questi soldi per formare un certo numero di insegnanti, in date aree, su due temi, due priorità, che secondo secondo me devono essere il digitale e le lingue. Invece c’è questa la pioggia pressoché inutile.


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